Il misterioso parrocchetto che si aggira camminando tra i roveti delle notti australiane

Un pensiero che riemerge, la potente sensazione, come un senso che precorre o in qualche modo anticipa gli eventi. Quel sospetto evocativo, dal profondo, che un qualcosa di altamente improbabile sia, pur sempre, possibile, ovvero un dente della macchina dai multipli ingranaggi che conduce al susseguirsi delle ore. Perciò non è proprio come l’emersione di un cucù, dalla guisa del domestico orologio, preciso e inalienabile, che il suono può verificarsi al volgere dell’alba in mezzo agli appuntiti cespugli: “dee-de-dee-de” come un canto mormorato e sommesso e poi di nuovo: “de-dee-de-dee”. Poiché è imprescindibile ed intrinseco nella natura stessa degli uccelli, l’affermazione della propria stessa esistenza tramite l’impiego delle onde dello spettro udibile sapientemente modulate per i propri alati colleghi. Anche quando la capacità di passare inosservati costituisce, in ultima battuta, il proprio punto di forza principale. Ed è tanto difficile trovarlo, il Pezoporus occidentalis o cosiddetto pappagallo notturno, che per quasi 100 anni dalla sua scomparsa nel 1915, ogni singolo studioso interessato giunse alla non confutabile impressione che dovesse necessariamente essere estinto. Almeno finché nel 2007 un ranger del parco di nome Robert “Shorty” Cupitt, potando le siepi ai margini di un sentiero per gli escursionisti nel Queensland non trovò sotto le fronde il corpo tristemente decapitato di un piccolo uccello verde a strisce nere, chiaramente andato a sbattere contro una vicina recinzione fatta con il filo spinato. Che avrebbe potuto essere, ma effettivamente non rappresentava affatto, un membro delle due specie relativamente rare di P. wallicus e P. flaviventris, due dei quattro tipi di pappagalli ecologicamente inclini a camminare sul terreno mentre si procacciano il cibo, assieme al ben più grande ed altrettanto notevole kakapò (Strigops habroptila). Ma si rivelò ben presto ad un’analisi più approfondita, grazie all’esperienza dello scopritore, l’improbabile membro dalla coda più corta della sopracitata e quarta categoria, ormai da tempo rimossa dalle guide all’avifauna dell’intero continente australiano. E questo nonostante il presunto areale di tale creatura, in base all’inferenza e le casistiche pregresse, dovesse un tempo estendersi da un lato all’altro dell’arido entroterra continentale, con particolare concentrazione in presenza di macchie dell’erba spinifex del genere Triodia, pianta graminacea capace di raggiungere fino al metro d’altezza. Formando i caratteristici cespugli, dal nome di tussock, tanto densi e acuminati da contribuire a scoraggiare qualsivoglia tipo d’esplorazione da parte degli scrutatori umani. Fattore determinante, difficile negarlo, nella lunga mancanza di avvistamenti per il nostro piccolo protagonista di oggi. Il che avrebbe dato luogo, successivamente, ad una sorta di paradosso. Poiché pur non generando l’immediata corsa alla fotografia che ci si sarebbe potuti aspettare (probabilmente, in molti non credettero che la casistica documentata potesse corrispondere a verità) alcuni esperti cominciarono effettivamente ad aggirarsi tra le lande, perseguendo l’ambizioso obiettivo, finché nel maggio 2013 il naturalista John Young non riuscì a catturare un video di 17 secondi in un’altra zona rigorosamente mantenuta segreta del Queensland. In cui si vedeva un Pezoporus Occidentalis disturbato dalla sua presenza, che si aggirava saltellando in mezzo agli ostacoli del bush. Una contingenza paragonata, dalle riviste di divulgazione, a “Fotografare Elvis che cucina gli hamburger in un fast-food di periferia”…

Le riprese del pappagallo notturno disponibili online sono estremamente limitate. Cionondimeno, pare che l’uccello stia misteriosamente diventando più comune nel corso degli ultimi anni. Forse perché un maggior numero di persone hanno iniziato a notarlo?

L’opportunità di mettere in chiaro le cose e finalmente dimostrare in modo incontrovertibile l’esistenza ai nostri giorni di questo misterioso quanto interessante pennuto, documentato per la prima volta nel 1861 dal grande illustratore britannico John Gould a partire da un esemplare catturato nello stato dell’Australia Occidentale. Se non che lo stesso autore delle nuove fotografie John Young fosse collegato a una diatriba pregressa in merito ad alcune foto fittizie pubblicate per altre specie di pappagalli, gettando più di un’ombra sull’autenticità della sua ennesima strabiliante scoperta. Il proverbiale genio, tuttavia, era ormai uscito dalla bottiglia e gli avvistamenti cominciarono a moltiplicarsi. Nel gennaio del 2017 gli studiosi Watson e Carter udirono un richiamo di tipologia incerta nei Territori del Nord, che furono pronti ad attribuire ad un P. Occidentalis vivo e vegeto, sebbene non riuscirono a fotografarlo. E due mesi dopo quattro ornitologi di Broome ne fotografarono quello che poteva esserne soltanto un esemplare vivente. E di nuovo in varie situazioni negli anni a seguire, suoi simili furono documentati tra tutti gli stati fin qui citati mediante l’uso di fototrappole, dimostrando non soltanto la continuativa sussistenza della specie che rimane ad ogni modo tra le più rare del mondo, ma anche il mantenimento del vasto habitat che anticamente doveva averla caratterizzata. Con una varietà di contesti utili ad elaborare, almeno in linea di principio, la limitata quantità di nozioni a nostra disposizione sull’effettiva natura e comportamento di questo uccello. Che contrariamente a quanto si potrebbe pensare dalla sua qualifica di pappagallo “terrestre” e come sappiamo dalla ricerca durata cinque anni del Dr. Stephen A. Murphy dell’Università di Darwin, dimostratasi capace di seguirne due esemplari mediante l’uso di un braccialetto con localizzazione GPS, è in realtà un abile volatore ed effettivamente incline a spostarsi anche di 29 Km nel corso di una singola notte alla ricerca di cibo. Compiendo occasionali migrazioni stagionali di fino a 200 Km verso zone dove i recenti incendi hanno eliminato la vegetazione eccessivamente densa, staccandosi da terra esclusivamente e rigorosamente durante l’orario notturno. Questo perché in base alle osservazioni effettuate sull’effettiva configurazione del suo cranio, sappiamo che il pappagallo in questione possiede una vista relativamente poco sviluppata, facendo quindi affidamento in modo particolare all’udito al fine d’individuare i pericoli e i predatori. Una teoria ulteriormente supportata dal lavoro del 2022 di Elen R. Shute e colleghi, mirato ad annotare il possesso di una sostanziale asimmetria dei padiglioni auricolari dell’uccello, analoga a quella di molte tipologie di gufi. Così da poter localizzare la provenienza di un suono mentre lo si sta guardando direttamente, un adattamento in questo caso valido a trovare i propri simili o eventuali predatori. Trovandoci, effettivamente, di fronte ad una specie primariamente erbivora, che è solita aggirarsi in cerca di semi o teneri germogli da cui trarre il proprio sostentamento.

L’asimmetria cranica del pappagallo è decisamente meno pronunciata rispetto a quella di un tipico rapace notturno. Rappresentando una funzione per lo più difensiva, comunque molto efficiente e paragonabile, per il suo ruolo evolutivo, all’eccezionale olfatto del kakapò.

E per quanto concerne l’effettivamente ecologia del pappagallo, basterà sottolineare la quantità d’informazioni estremamente limitate in nostro possesso. Per un tipo di animale che semplicemente elude la stragrande quantità degli avvistamenti, e per cui possiamo principalmente immaginare alcuni aspetti in base ai dati di cui disponiamo per le specie simili, anch’esse tra l’altro piuttosto difficili da documentare. Il che ci porrebbe di fronte a una creatura per lo più solitaria o incline a muoversi a coppie, che vola bassa tra la vegetazione posandosi frequentemente a distanze di circa 100 metri tra una meta e l’altra. Prima di procedere zigzagando in mezzo all’erba, in cerca di possibili fonti di nutrimento. Un’attività condotta principalmente verso il vespro e l’alba, quando è solito anche emettere il suo delicato richiamo, e in base ad alcuni detti degli aborigeni potrebbe essere incline a compiere un udibile decollo, dai luoghi umidi dove è solito abbeverarsi prima di un periodo di attività maggiormente intensa. E per quanto concerne la riproduzione, benché nessun nido sia stato identificato o fotografato dagli umani, è probabile che questo prenda la forma di una semplice depressione o area deputata sul terreno spoglio, ove i maschi potrebbero recarsi per nutrire periodicamente la compagna. Prima che quest’ultima finisca di covare nascituri, che poi lascerebbe, idealmente, al suo consorte per l’educazione e il nutrimento fino al raggiungimento dell’età indipendente. Ma qui è necessario sottolinearlo, persino nel caso del più “comune” P. flaviventris, esemplari immaturi sono stati fotografati per un gran totale di due volte negli ultimi 90 anni. Lasciando largamente misterioso ogni spunto d’analisi in merito al comportamento di questi uccelli.
La cui presenza persistente insiste nondimeno con pressante preminenza sulla mera cognizione dello stato dei fatti attuali. Poiché non sempre ciò che apparentemente aveva cessato di esistere, poi rimane in tale stato sospeso eppure in qualche modo rassicurante. Quando talvolta ricomincia, come niente fosse, a sussurrare. Ed allora chi potrà tra noi, davvero, dire di aver fatto tutto il possibile per continuare a preservarne il prezioso e inconfondibile contributo al valore totale dell’Esistenza!

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