Si dice che il calabrone non abbia un profilo aerodinamico capace di garantirgli caratteristiche aerodinamiche, eppure non sapendolo, riesca a volare lo stesso. Ma vi siete mai chiesti che cosa potrebbe capitare se, d’un tratto, qualcuno si mettesse ad informarlo della propria triste condizione? Probabilmente, le distese fiorite primaverili potrebbero godere di un ronzante volatore in meno. Ma per terra, in mezzo all’erba, camminerebbe la più feroce, variopinta e velenosamente arrabbiata di tutte le formiche…
Attorno alla fine dell’estate del 2007, verso la punta estremo-meridionale del continente Americano, naturalisti inviati dalla Fondazione Omora, ente di gestione per quello che è probabilmente il principale parco etnobotanico cileno, si trovavano presso il canale di Beagle in piena Terra del Fuoco. E fu allora che videro una scena tanto rara da meritare, quanto prima, una trattazione scientifica accurata. Si trattava del caso di un gabbiano del kelp o zafferano meridionale (Larus dominicanus) intento a praticare attività di furto alimentare nei confronti di un gruppo d’anatre tipiche di queste parti, dalla riconoscibile livrea grigio chiaro e qualche macchia bianca sul collo ed in prossimità delle ali. Ora, l’anatra vaporiera (steamerduck) è normalmente solita nutrirsi di molluschi, granchi ed altre piccole creature, da lei pescate in prossimità della costa o presso scogli di collocazione per lo più marina. Così lo scaltro pirata dei cieli, aspettando il momento giusto, calibrò la propria picchiata esattamente mentre l’altro uccello riemergeva dalla superficie ondeggiante delle acque, colpendolo sulla testa coi propri piedi palmati. Il che causò da parte di quest’ultimo, l’apertura del suo becco e conseguente caduta del boccone tanto faticosamente trasportato in superficie, sottrattogli dal mascalzone in un singolo, fuggente attimo di ribellione. Il che normalmente, in altri luoghi e tempi, avrebbe costituito l’inizio della fine: poiché i gabbiani sono animali intelligenti, o per lo meno sufficientemente scaltri da comprendere le prospettive di un proficuo approccio nutritivo. Così che, come da programma, una volta consumato il lauto pasto il nostro amico si rimise ad aspettare, e nel giro di qualche minuto, tornò nuovamente all’attacco. Ma egli non aveva fatto i conti con la capacità di adattamento e solidarietà reciproca delle cineree guardiane della marea: poiché aspettando questa volta un tale tentativo, il gruppo d’anatre si strinse attorno all’evidente bersaglio del bandito. E non appena quest’ultimo giunse a tiro, lo circondarono da ogni lato, iniziando a colpirlo con le proprie corte ali, mentre alternandosi, lo spingevano dall’una all’altra parte, minacciando di farlo annegare. Il gabbiano dunque, posto innanzi ad una tale situazione svantaggiosa, non poté far altro che ritirarsi. Dimenticando, pressoché immediatamente e possiamo soltanto presumere a lungo termine, una simile presunta opportunità di cibazione…
Ma è più che altro spostando la nostra attenzione da questi siti estremo-meridionali, abitati dalla specie esteticamente simile dell’anatra vaporiera fuegiana (Tachyeres pteneres) che ritroviamo forse la variante maggiormente significativa dell’intera famiglia, quell’anatra delle Falklands (Tachyeres brachypterus) il cui nome latino significa, per l’appunto, ala-corta. Proprio perché attraverso i secoli, in funzione dell’isolamento letterale ed evolutivo, essa sembrerebbe aver perso completamente l’abilità di volare. Il che potrebbe in linea di principio sembrare davvero un pessimo affare, se non fosse che la natura, in linea di principio, non compie gesti privi di un significato o qualche tipo di funzione, così che l’animale in questione, oltre ad essere costruito come un letterale carro armato (65 cm capaci di renderlo più simile ad un’oca, per dimensioni) riesce a sopravvivere in maniera perfettamente, nonché sorprendentemente adeguata?
La classificazione genetica delle anatre vaporiere, così chiamate per i rumori straordinariamente forti che producono con l’acqua durante il nuoto e soprattutto le loro frequenti baruffe territoriali combattute usando le corte ali come fossero dei veri e propri tirapugni, costituisce ad oggi una delle annose questioni più a lungo discusse dalla biologia. Poiché le quattro specie oggi prese in considerazione, nei fatti, sembrerebbero talmente simili tra loro che per lungo tempo si è pensato che potessero appartenere tutte alla stessa variante, mentre un maggior spazio era stato riservato alla presenza o assenza della capacità del volo. Spesso nello stesso territorio, in effetti, vaporiere con ali sufficientemente grandi convivono assieme ad altre quasi del tutto incapaci di staccarsi da terra o dalla superficie del mare per più di qualche decina di metri, possibilmente al fine da sfuggire ad un pericolo o l’assalto di un predatore. Con il fondamentale distinguo che gli esemplari esclusivamente terrigeni, in effetti, risultano essere notevolmente più imponenti e nerboruti, riuscendo quindi a scacciare i loro simili verso le pozze d’acqua dolce situate nell’entroterra, molto meno ricche di opportunità di nutrimento soprattutto in inverno, quando tali terre sperimentano processi di glaciazione. In tale disquisizione fa eccezione, ad ogni modo, la già citata vaporiera delle Falklands, proprio per la sua distinzione genetica piuttosto evidente, ritenuta risalire al momento, di all’incirca 15.000 anni fa, in cui una popolazione di queste creature attraversò l’Atlantico lungo i ponti dell’Ultima Grande Glaciazione, prima che questi ultimi sparissero, isolandole coi propri stessi geni. E caso vuole che ci siano almeno un paio d’ottime ragioni per cui un volatile possa ritrovarsi, attraverso le successive generazioni evolutive, totalmente privo della propria originaria prerogativa: prima fra queste, il risparmio d’energia che deriva non soltanto dall’assenza dei potenti muscoli necessari per un tale gesto, ma anche l’accantonata necessità di rimpiazzare lunghe e dispendiose remiganti ad ogni cambio di stagione. Ed infine, come non menzionare nuovamente la questione, già data ad intendere, della stazza dell’animale? Poiché nel sistema ecologico delle Falklands, non sussiste nessun tipo di creatura carnivora capace di arrecare danno a simili gigantesse dell’alta, bassa o media marea. Mentre persino un gatto, dinnanzi a simili compatti e nerboruti dinosauri dal peso di 10 Kg o più, finisce per interrogarsi sulle proprie scelte di vita e forse scegliere un bersaglio dal minore potenziale di resistenza.
Una vista assai frequente, dunque, lungo l’intero arcipelago argentino (nessuna specie di steamerduck risulta essere, nei fatti, a rischio d’estinzione!) la T. brachypterus è solita deporre tra le 5 e le 10 uova verso i mesi di settembre-ottobre (ricordate che nell’arcipelago meridionale, le stagioni sono invertite) che arrivano alla schiusa poco dopo il mese di Natale. Trattandosi per ovvie ragione di animali non migratori, essi a quel punto iniziano a pattugliare con fiera postura alcuni specifici spazi raggiunti dalle onde dell’oceano, scacciando vigorosamente chiunque possa essere abbastanza sciocco, o impreparato, da trovarsi alla portata del loro corto becco appuntito. Tutto ciò, per quanto possibile, lontano da coste scoscese o letterali scogli che affiorano in prossimità di queste, data la loro goffaggine deambulatoria sul terreno accidentato, simile a quella di un ronzante insetto volatore che dovesse, un giorno, ritrovarsi a camminare assieme in mezzo ai propri cugini prigionieri della gravità.
Il primo scienziato europeo a descrivere l’anatra delle Falklands fu quindi, neanche a dirlo, il più famoso passeggero della Beagle, quella stessa nave britannica da cui avrebbe ereditato il nome proprio il canale cileno citato in apertura: sto parlando, tanto per dargli un nome, di Charles Darwin in persona. Che investì un paio di paragrafi nel suo celebre diario di viaggio, proprio sotto il capitolo dedicato all’anno 1833, per questi esseri tanto rumorosi da vantare il soprannome di “cavalli da corsa” (probabilmente, i vascelli a vapore non erano ancora ben conosciuti dagli abitanti del posto) Le quali pur non riuscendo a prendere a tutti gli effetti il volo, si seppero dimostrare straordinariamente abili nel fuggire alle pericolose attenzioni gastronomiche dei marinai.
Fu dunque proprio quello, con il mestolo e il coltello, l’inizio della leggenda di una creatura decisamente insolita, che avrebbe portato il nome ufficiale di simile creature in lingua italiana ad essere cristallizzato nell’ingiusto “anatre inette”. Nonostante a conti fatti, esse sembrassero poter vantare quello stesso dono d’efficienza che ogni altra creatura, a suo modo, aveva ormai da tempo ricevuto dai processi intrinseci della Natura.