L’ingegno di chi costruisce il suo forcone da un singolo arbusto della Spagna rurale

Lo sguardo saggio e indomito, la mantella di lana che si staglia in controluce di una forma incorniciata tra gli svettanti alberi della vecchia collina. Un braccio verticale parallelo al corpo e l’altro teso verso l’esterno, la mano stretta attorno all’impugnatura di un riconoscibile implemento dalle aguzze punte divergenti. Sei forse il Dio Nettuno con il suo tridente, in trasferta temporanea nell’entroterra? O Plutone in persona, fuoriuscito dalle tenebre del sottosuolo, intento nel produrre il più solenne e ineluttabile dei memento mori? Ma è con l’accorciarsi delle distanze che innegabilmente colgo il sacrosanto simbolo e significato della tua presenza, non più sovrannaturale o invincibile, superna. Bensì l’espressione mera e pura delle circostanze, dell’agricoltore che supervisiona l’attuale stato delle sue terre. Un luogo dove coltivare, tra le altre cose, i cereali dai cui culmi giungerà il più immediato ed economico alimento. Utile a nutrire gli animali della fattoria. Paglia, è quello di cui parlo, chiaramente, il cui trasporto ed immagazzinaggio possono avvenire unicamente grazie all’utilizzo di un apposito strumento. Che non è in effetti un’arma, né il potente simbolo di una divinità latina. Risultando più che altro l’estensione pratica di un arto, terminante in una mano rigida e altrettanto implacabile nella sua efficienza. Forca, forcone o forchettone, uno strumento che risponde alla più evidente ed innegabile delle esigenze: sollevare fibre o improvvidi grovigli, nello stesso modo in cui erano inclini a farlo i nostri nonni, e trisavoli ed intere schiere di ancestrali coltivatori. Il che parrebbe sottintendere, al giorno d’oggi, l’utilizzo di un minimo di due componenti. Da una parte il manico di legno e all’altra estremità, il pettine appuntito realizzato necessariamente in qualche tipo di metallo, l’unica soluzione valida a poterne mantenere l’indefessa integrità nel lungo incedere dei giorni e mesi a venire. Eppure lecita rimane la domanda, retroattiva, di quale semplificazione pratica possa togliere gli ostacoli al poter disporre di un simile attrezzo senza nessun tipo di coinvolgimento esterno. Ovverosia partendo da costui soltanto, il suo terreno, le piante che ivi crescono in totale autonomia. Presenze come il flessuoso e al tempo stesso indistruttibile bagolaro, altrimenti detto l’albero dei rosari per la natura coriacea dei noccioli all’interno dei frutti (poco nutrienti) da lui prodotti. Perfetti nel ruolo di perline perforate dal passaggio del filo di un’ininterrotta preghiera, magari mentre si realizza la commestibile conserva derivante dalle piccole bacche relativamente insapori. Una versatilità innegabilmente insita nel tronco stesso di questo essere vegetale, i cui rami se tagliati in tempo utile prima che possano raggiungere la propria altezza massima di 25 metri potranno assumere l’aspetto di una geometria frattale ricorsiva, tanto eccezionalmente simile alla configurazione pratica del già citato strumento. Un lungo bastone, in altri termini, accuratamente scortecciato fino all’ottenimento di un ligneo candelabro candido e perforante. Pronto ad agire come leva, nel sollevamento dell’archimedèo globo terracqueo del suo legittimo contesto d’appartenenza. La fattoria…

Alcune forche spagnole prendono l’aspetto di un bidente, con due soli propaggini utili ad effettuare la raccolta della paglia o altri cumuli di materiale derivanti dall’allevamento animale. Tale progetto, ancorché meno efficace per singolo sollevamento, risulta molto più leggero e maneggevole nella maggior parte delle circostanze.

Il forcone in legno (horca de madera) dunque rappresenta, come possiamo agevolmente desumere da una certa quantità di fonti digitali e relativi video dimostrativi, un aspetto raramente menzionato dell’artigianato europeo, in modo particolare associabile a determinate regioni della Spagna, tra cui Valencia, Catalogna, Molleda. Geograficamente e relativamente distanti, benché accomunate da una singolare comunione paesaggistica, corrispondente ai dolci declivi dove, in epoca pre-moderna, i coltivatori erano soliti piazzare i propri terrazzamenti. Utilizzati di concerto ai campi sottostanti ai fini di coltivare intensivamente la sopracitata specie arborea del Celtis australis, appartenente alla stessa famiglia della canapa o C. sativa. Ed in modo analogo associato, incidentalmente, alla produzione di un valido strumento nella vita pratica dei tempi antichi. O per meglio dire, molti di essi, in considerazione delle speciali caratteristiche del suo legno. Vedi all’esempio il caso della frusta intrecciata parpignen, usata in Romagna per incitare o dirigere lo spostamento degli animali. Ma per tornare nuovamente al contesto iberico di questa trattazione, il bagolaro dalle forti radici è anche primariamente associato alla tradizionale manifattura di quanto possiamo osservare, in prima battuta, nel popolare video mostrato in apertura che mostra l’allora settantaduenne Casimir Brescó all’opera nel suo laboratorio nel 1997, come l’ultimo dei forcaires ancora operativi nel comune Alentorn (Lleida). Un mestiere indubitabilmente laborioso, come possiamo già desumere dalle tempistiche dichiarate di oltre 6 anni, affinché il tenero virgulto dell’albero possa raggiungere l’altezza di un grosso cespuglio, giudicata l’ideale per procedere al taglio della diramazione selezionata, previo studio estremamente approfondito in merito alle condizioni vigenti. Questo perché un forcone tagliato troppo presto risulterà insufficientemente solido, mentre nel caso in cui si sia aspettato troppo a lungo esso potrebbe risultare sbilanciato, con i denti di spessore diseguale o comunque inadatto al suo impiego finale. Segue perciò nell’ideale concatenazione dei gesti, un periodo di stagionatura lungo mesi o anni, previa potatura e accorciamento del bastone tri, tetra o penta-forcuto in un’approssimazione della forma frutto di lunghi anni di accumulo d’esperienza pregressa. Per poi procedere, in base al copione, all’inserimento temporaneo in acqua o un bagno di vapore, capace di agevolarne l’effettiva piegatura nello schema necessario. Che dovrà essere idealmente arcuato, nella parte finale di questo singolo componente, per meglio raccogliere le quantità di materiali oggetto elettivo dell’attenzione contadina. Una configurazione garantita dall’impiego di appositi morsetti angolari e una ghiera scorrevole a forma di staffa, finalizzata a garantire la continuità delle misure continuative nel tempo. Il vero marchio forse, proprio quest’ultimo, di un’attività artigiana ancora valida nei tempi odierni, anche dinnanzi alla razionale prevedibilità dei contesti figli dell’industria.

Sono ormai davvero pochi gli artigiani interessati alla produzione tradizionale della forca, e da una rapida ricerca online non è difficile comprenderne la ragione. Ben pochi di questi nobili attrezzi raggiungono oggi un prezzo superiore ai 15-20 euro. Decisamente poco significativo, se si considera la quantità di dedizione necessaria a crearli.

Con diversi altri poli idealmente interconnessi all’attività del forcaire o horcuero, rintracciabili su Internet almeno presso i comuni reciprocamente distanti di Silìo, Alentorn e Jarafuel, questa iconica produzione può dunque trovarsi attestata in una buona parte del territorio spagnolo, risultando l’effettiva derivazione di una necessità pratica, ed in quanto tale immune ad alcuna determinazione arbitraria dei confini validi alla ricorsività della sua produzione. Figlia ed effettiva conseguenza di quel bisogno, tipicamente umano, di prendere e spostare le cose, ricercando con l’industria di donare ordine all’apparente caos della natura indistinta. Come quello che risulta dall’attuale aspetto delle macchie di albero dei rosari, talvolta soprannominato spaccasassi per la sua capacità di aggredire e demolire addirittura le infrastrutture stradali e relativi marciapiedi. Pur essendo ancora mantenuto in alta considerazione, al punto da costituire l’oggetto di annuali sagre ed eventi locali, dove la produzione dei forconi si trova associata a quella dei bastoni da passeggio o per andare a funghi, oltre all’irrinunciabile strumento di preghiera. Che come ogni altro ausilio alla pratica di un pervasivo stile di vita, ha saputo agire in qualità di ponte tra i diversi popoli. Già indissolubilmente uniti, in modo largamente non percepito, dalle soluzioni ancestrali alle necessità della vita quotidiana. Mai così continuativa e ininterrotta, come avviene nei vasti spazi delle campagne. In maniera analoga a quello strumento indiviso che è figlio del suo stesso manico. E genitore, in senso metaforico, di un’imprescindibile operatività.

Lascia un commento