Video appassionante mostra la perizia coreana nel far progredire le ceramiche a sbalzo

In questa sequenza pubblicata sul canale d’approfondimento artistico Process K, l’artista coreano Tag Weondae, dello studio di produzione Woorimdoe, si mostra profondamente concentrato nell’apposizione di uno strato decorativo sulla superficie di un vaso dalle dimensioni alquanto significative. In quella che la didascalia di YouTube definisce come una tecnica affine al concetto di buncheong, apparentemente simile al sistema occidentale dello “sgraffito” un approccio pratico consistente nell’ottenimento di un immagine incidendola direttamente in uno strato monocromatico, in questo caso la vetrinatura stessa dell’oggetto di una simile capacità manuale. Un tratto dopo l’altro, come se fosse la cosa più facile del mondo, l’artista tratteggia le forme riconoscibili di un albero contorto dai molteplici rami, alcuni pescatori, le gru in volo e dei bambini che procedono in groppa ad un bue. Quindi, in un impulso dinamico ma attentamente calibrato, inizia a circondare i suoi disegni con tratti grossolani e nebulosi, apparentemente privi di una logica del tutto evidente. Ma l’immagine, a poco a poco, inizia ad assumere un significato maggiormente profondo…
Ogni opera creativa prodotta nel corso dei secoli tende in modo implicito alla perfezione, ma siamo assolutamente certi, in fin dei conti, che si tratti di un concetto totalmente oggettivo? Se il principio di partenza delle arti, a seconda dei secoli, varia in maniera progressiva e qualche volta imprevedibile, cosí dovrebbe essere anche nel caso dei valori perseguibili attraverso il suo sentiero verso la tangibile presenza generativa. E non è certo la raffinatezza, di suo conto, a dover costituire in modo imprescindibile un sinonimo di tale persistente aspirazione umana. O almeno ciò si evince, in modo alquanto pratico, dal prendere atto delle caratteristiche fondamentali dell’attività ceramica della penisola coreana, un ambito talmente distintivo e interessante, da aver costituito per secoli una delle principali esportazioni di questo paese. Fino ai confini dell’epoca moderna ed oltre, in modo tale da trascendere il mero concetto di una prassi dall’interesse nazionale diventando un punto di riferimento per culture altrettanto attente ai fattori tecnologici delle cose quotidiane, quali potremmo essere inclini a definire quelle del Giappone e della Cina. Ed è perciò diffuso ancora oggi, il commento storiografico basandosi sul quale nulla di più bello ed universalmente apprezzabile in quanto tale sia effettivamente rintracciabile in tale ambito del cosiddetto celadon, dal termine francese usato in qualità di sinonimo del personaggio letterario dell’Astrea, un pastore dal costume ornato di nastri di un colore verde chiaro. Lo stesso caratterizzante, in base al novero dell’esperienza dei collezionisti, il tipico vaso proveniente dal paese di Goryeo, originariamente traslitterato dal viaggiatore Marco Polo mediante l’espressione fonetica di Cauli. Una scelta di termini che ci pone, cronologicamente, nella seconda metà del XII secolo, quando tale forma d’arte fu capace di raggiungere una vetta destinata a rimanere insuperata nei secoli successivi. Con una pletora di meriti talmente lunga e significativa, da indurre lo stato centralizzato del paese all’implementazione di un sistema di meriti e regolamenti, per cui giammai un artista produttore di cheongja (청자) avrebbe potuto avere l’iniziativa d’insegnare la sua arte all’estero, o in alternativa importare termini creativi da tale misterioso ed altrettanto proibito ambiente. Il che diede inizio a quella che potremmo definire come l’arte senza tempo del buncheong…

Forse più conforme alla definizione classica di buncheong è questo secondo vaso di Tag Weondae, con una fantasia di pesci e piante acquatiche sovrapposte. Comunque talmente complesso e sofisticato da poter costituire una sostanziale fusione di generi assai diversi.

Schiere di commentatori, anche all’epoca della sua originaria introduzione, furono inclini a definire questa “evoluzione” del celadon come una sorta di passo di lato, se non vera e propria semplificazioni dei valori e priorità di partenza. Poiché laddove il tipico oggetto di ceramica dell’epoca antecedente veniva decorato con soggetti raffinati, complessi e ricchi di particolari, il principale modus espressivo dei primi due secoli del periodo Joseon (dal 1392 a seguire) presentava soggetti geometrici o quasi astratti, affiancati da figure semplici e d’impatto visuale immediato. Tanto che alcuni, a posteriori, avrebbero finito per definirli affini ai giochi pittorici espressivi del Novecento, con particolare riferimento alla figura di Picasso. Il che inerentemente ci permette di sottolineare il modo in cui il vaso mostrato in apertura nel video di Tag Weondae non sia in effetti un tipico rappresentante della forma d’arte buncheong (분청) quanto piuttosto un applicazione in un certo senso post-moderna dei valori e punti forti dello stile dei celadon a qualcosa di creato soltanto successivamente. Questo perché il termine stesso impiegato nel presente caso, lungi dall’esser stato un’invenzione coèva, rappresenta in effetti un’abbreviazione a posteriori utilizzata dall’ufficio di sovrintendenza alla produzione di stato, per esprimere il concetto di “ceramica grigio-blu coperta di uno strato bianco” ovvero il tipo d’ossido a base di ferro capace di donare il caratteristico aspetto, non privo di una certa grezza spontaneità, universalmente associato a questa particolare tipologia d’oggetti. Il quale consentiva diverse modalità decorative, a partire dalla semplice pittura, passando per la bagnatura con diversi tipi di vernice fino all’incisione dell’ingobbio stesso, nella maniera cosí efficientemente dimostrata dalla notevole sequenza sul canale Process K.
Un fraintendimento spesso ripetuto in merito ai vasi ed altri oggetti appartenenti a questa particolare corrente espressiva è che essi potessero essere in qualche maniera meno pregiati o concepiti per un uso per lo più popolare, rispetto ai destinatari nobili o comunque appartenenti alle classi elevate per cui veniva originariamente realizzato il celadon. Il che potrebbe avere una qualche base logica forse nel primissimo periodo dopo l’inizio del periodo Joseon, benché il progressivo evolversi della percezione di una simile categoria di tecniche, ben presto, avrebbe catturato l’attenzione della nuova classe d’intellettuali e filosofi della natura coreani, inclini ad individuarne l’affinità allo spirito della semplicità destinati ad influenzare in seguito le discipline artistiche dello Zen e l’estetica del wabi-sabi giapponese. In modo ancor più significativo dopo l’evento storico delle invasioni samurai della penisola organizzate durante l’egemonia del taikō (reggente shogunale o detentore del potere supremo) Hideyoshi, nel 1592 e 1598, che saccheggiarono e devastarono letteralmente l’intera industria della ceramica coreana. Preoccupandosi anche, a quanto si racconta, di rapire e riportare con sé in patria un alto numero di comprovati maestri, destinati a rivelare i preziosi segreti delle ceramiche buncheong.

Lee Kang-hyo, artista del buncheong sagi conteporaneo, mette in pratica la sua particolare interpretazione di questa forma d’arte: un caotico ma cadenzato susseguirsi di strati di pigmenti, applicati non mediante strumenti bensí l’imposizione diretta delle sue stesse mani. Il risultato è particolarmente difficile da classificare, ma nessuno potrebbe negare il suo alto grado di distinzione.

Ciò che avvenne, all’inizio del XVI secolo e a seguire potremmo dunque definirlo parte della Storia, o per essere maggiormente precisi, il segmento successivo di questa particolare marcia verso l’evoluzione di un modello espressivo preponderante. In modo tale da permettere l’introduzione di un cambio di paradigma fondamentale, verso l’introduzione della porcellana bianca su modello delle produzioni cinesi introdotte originariamente dalla dinastia Yuan (1279-1368) famose per la particolare pittura blu realizzata grazie al minerale cobalto. Un materiale la cui assenza, soprattutto nei primi tempi, non avrebbe condizionato in alcun modo i coreani, attraverso la creazione di una plurima varietà d’oggetti cromaticamente assai vari.
Ma l’esplosiva e spontanea, quasi imprevedibile tecnica del buncheong sarebbe stata sostanzialmente accantonata, almeno fino all’inizio dell’epoca corrispondente al nostro tardo Rinascimento, quando uno sguardo più oggettivo ai metodi dei predecessori avrebbe consentito di percorrere di nuovo il sentiero dell’espressività talvolta fine a se stessa, e proprio per questo detentrice di un merito innegabile e senza tempo.
Ciò che Internet ci offre in questo caso, come molti altri simili, è l’opportunità di ritornare con lo sguardo ad epoche e valori capaci di trascendere il proprio mero contesto di provenienza. Elevandosi a potenti forme d’ispirazione, per chiunque vanti l’intenzione partecipativa di creare, ovvero dare sfogo ai suoi processi al tempo stesso pratici ed intellettuali. E in quale modo si potrebbe, dinnanzi a tutto questo, subordinare l’importanza di testimoniarne i meriti facendo la propria parte?

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