Cos’è la bellezza? Che cosa l’eleganza, l’armonia, l’estro, la sensibilità, il senso d’equilibrio finalizzato alla manifestazione quasi artistica dei propri desideri terreni? Incluso quello sempre imprescindibile e davvero trasversale di riuscire, in qualche modo, a veder corrisposto il proprio sentimento nei confronti di una controparte, destinata nella mente ad essere ben più che una mera conoscenza o semplice amicizia mondana. Dotato di tangenza in grado di varcare i limiti generalmente dati per scontati dell’intelligenza e facoltà creativa, poiché ogni categoria di gesti può essere inerentemente potenziata dall’energia espressiva che trova il suo fondamento pratico e spirituale nel cosiddetto “amore”. Il senso di passione che trova realizzazione tramite canali tanto vari quanto sanno esserlo i precipui presupposti dell’imperscrutabile natura, incluso quel processo evolutivo che ha saputo dare, nei molti millenni pregressi, i natali a questa inconfondibile specie animale.
Seleucidis melanoleucus ovvero [l’uccello] dei Seleucidi “bianco e nero” con riferimento all’antica dinastia ellenistica che regnò sulle conquiste orientali successivamente alla dipartita di Alessandro Magno, un’evidente continuazione del tema onomastico utilizzato per molti altri uccelli del paradiso, ciascuno riferito a un’importante monarca o famiglia di governanti. Questo per l’aspetto magnifico posseduto da simili pennuti, tutti originari della regione meridionale dell’Indonesia, parte dell’Australia e la Papua Nuova Guinea (soltanto quest’ultima nel caso dell’esempio titolare). Creature variopinte, radiose, senza pari nella propria implicita capacità di distinzione, all’interno del vasto e cosmopolita ordine dei passeriformi. Ma tanto simile ai nostri familiari volatili europei degli ambienti urbani e campagnoli quanto può esserlo uno sgargiante pappagallo, superbo rapace o furtivo pipistrello notturno. Soprattutto nel caso, quasi surreale, di costui. La cui osservazione tipica prevede, nella stragrande maggioranza dei casi e come ampiamente documentato su Internet, l’avvistamento di una forma gialla e nera che si arrampica verticalmente, lungo un tronco spoglio che sporge vistosamente dal tetto del canopia. Luogo esposto ad ogni sorta di pericoli, ovviamente, ma visibile da molte centinaia di metri da ogni direzione, ovviamente, così da suscitare l’immediata immagine di un palcoscenico rischioso, dove la possibilità di ricompensa riesce a superare l’inquietante sensazione di essere un richiamo per ogni eventuale predatore che dovesse transitare da quelle parti. Dimostrando, già dalla distanza, le caratteristiche di una creatura certamente fuori dal comune, con una lunghezza di circa 30-35 cm, forti zampe rosse ed un becco lievemente ricurvo, ma neanche l’accenno di quella che potremmo definire in senso tradizionale come una normale coda piumata. Questo per la sua capacità di spiccare il volo grazie ad ali tozze ma funzionali, nonché la funzione ornamentale fornita da una singolare soluzione alternativa. Quella che comincia a diventare più evidente mentre ci si appresta ad aumentare l’ingrandimento del proprio teleobiettivo, come una serie di estrusioni filamentose che fuoriescono dal retro delle sue ali, per formare un arco inconfondibile che li riporta a puntare in avanti, simili a vibrisse di un felino proveniente da un tutt’altro contesto d’appartenenza. 12 sottilissime piumette la cui funzione si dimostra niente meno che fondamentale, successivamente a qualche tempo di chiamate enfatiche coadiuvate dall’apertura del collare nero-violetto che nasconde una riconoscibile fila di piume verdi a ridosso dell’addome. Mentre emette melodie cantate utili ad invitare su quel posatoio ligneo la compagnia elettiva. Da titillare successivamente in modo singolare e proprio grazie all’uso di siffatte appendici…
Uno strumento di seduzione, in altri termini, che se ai nostri occhi può servire a rendere l’uccello in qualche modo strano e memorabile, per le appartenenti alla sua stessa specie riesce a costituire uno strumento di fascino del tutto privo di paragoni. Nel momento in cui la potenziale partner, tanto diversa dal maschio da poter essere facilmente confusa per un altra specie, si posa e inizia a rincorrersi con lui su e giù per l’obliquo corridoio dell’arbusto privo di rami, in un rituale attentamente codificato nella loro particolare eredità evolutiva. Un momento in cui le notevoli movenze scattose, inframezzate da effettivi approcci con il becco simili a quelli di uno schermidore, finiscono per far assomigliare il maschio a un qualche tipo d’ape intenta a comunicare la posizione del nettare alle proprie attente compagne d’alveare. Benché l’effettivo scopo di tali movimenti, come scoperto soltanto in epoca relativamente recente e contestualmente alla realizzazione di un documentario del celebre naturalista britannico David Attenborough per la BBC del 1994, sia finalizzato ad un effetto particolarmente preciso: quello di strofinare i 12 fili contro la testa, il becco e la parte frontale del corpo della femmina, in un raro esempio di rituale di corteggiamento visuale, auditivo e al tempo stesso tattile, riuscendo ad essere a tutti gli effetti ben più che meramente multimediale. Un’accorgimento, la scienza l’ha ampiamente dimostrato, in realtà dalle finalità particolarmente utili, vista la relativa vicinanza di parecchie specie appartenenti alla famiglia dei Paradisaeidae nel suo stesso habitat, massimizzando il “rischio” dell’accoppiamento accidentale tra depositari di linee genetiche differenti. Eventualità che nonostante le complesse e riconoscibili danze di ciascuno tende occasionalmente a verificarsi, giungendo a motivare l’iniziale ed inesatta classificazione d’innumerevoli “varietà rare”, in realtà dirette risultanze dell’ibridazione tra uccelli di distinta natura. Il che risulta ancor più facile a verificarsi, quando si considera la natura assolutamente poligina di questi uccelli, che raramente si lasciano coinvolgere dalla vita familiare, tendendo a lasciare alla femmina il compito di costruire il nido e covare le uova in solitudine, mentre continuano i propri canti conturbanti e i tentativi di accoppiarsi ancora. Per tutti i periodi di luglio, gennaio e dicembre, cui fanno seguito diversi mesi di riposo, prima di ricominciare la propria stancante ma fondamentale attività di veri e propri Don Giovanni amorosi. Finché dopo un periodo di covata pari approssimativamente a 20 giorni, il singolo nascituro viene finalmente al mondo per richiedere ulteriori 20 giorni di cure da parte della femmina, sufficienti a spiccare per la prima volta il volo e raggiungere rapidamente l’indipendenza. Il che non sottintende d’altra parte in alcun modo la maturità, visto come il Seleucidis possieda la singolare caratteristica di un tempo di raggiungimento del piumaggio adulto particolarmente lungo, anche superiore ai 5 anni, durante cui può crescere in relativa sicurezza facendo affidamento su più sviluppati presupposti di mimetismo. Mentre continua a nutrirsi della dieta tipicamente ben diversificata dei passeriformi, inclusiva d’insetti e frutti di varia grandezza, i più grandi dei quali vengono afferrati con le forti zampe e fatti a pezzi con il becco affilato. Per il raggiungimento di un imprescindibile equilibrio nutrizionale, come dimostrato da alcuni esemplari tenuti in cattività prima dell’epoca contemporanea, che riuscirono a sviluppare il caratteristico piumaggio bianco soltanto dopo essere stati nutriti con generose quantità di papaya. La specie, nel suo ambiente d’appartenenza, resta comunque piuttosto comune e non ancora a rischio d’estinzione, nonostante la caccia sostenibile effettuata dalle popolazioni locali al fine di creare i loro particolari copricapi tradizionali. Mentre l’esportazione delle piume resta ad oggi, per fortuna, severamente vietata.
Scientificamente sconosciuti in Occidente almeno fino al XIX secolo, gli uccelli del paradiso dei 12 fili fecero per lungo tempo parte di quell’insieme di pelli incomplete e piume vendute a caro prezzo dagli esportatori dell’epoca dei primi commerci internazionali per la fabbricazione dei cappelli, portando a molte leggende prive di fondamento. Come quella secondo cui questa tipologia di esseri potesse fluttuare senza l’uso di ali, né richiedere alcun tipo di piede, sussistendo costantemente negli spazi celesti, grazie a un qualche tipo di angelica energia anti-gravitazionale. Nella maniera esemplificata dalla seconda parte del suo nome, si riteneva inoltre che possedessero una colorazione bianca e nera, a causa della maniera in cui le piume gialle delle ali tendevano a sbiadirsi dopo la morte dell’animale. Con un fraintendimento destinato a perdurare almeno finché, finalmente, nel 1881 alcuni esemplari vivi di Seleucidis non vennero donati al re italiano Umberto I di Savoia, che riuscì a farli rimanere in vita per diversi mesi all’interno della propria personale ménagerie nella reggia di Monza. Un’impresa destinata a godere di notevole risalto nello scenario scientifico dell’Europa di allora.
Perché creature come queste, difficile negarlo, possiedono una qualità ineffabile che sembra in grado di sfidare l’immaginazione. Quasi come se lo sconosciuto navigatore dei sentieri percorsi dalla natura, che sia un’entità pensante o mera concatenazione impersonale delle conseguenze, avesse voluto fare tutto il possibile per dimostrarsi superiore alla nostra semplice immaginazione terrena. E in definitiva, perché 12 fili e non 14, oppure 12, 10? Forse non prendevano abbastanza bene i canali? Magari la captazione del segnale avrebbe richiesto un tempo eccessivo? Se gli uccelli sono droni telecomandati, come alcuni amano scherzare su Internet, soltanto questo può essere il vero AWACS della situazione. Capace di prendere in prestito un fondamentale ruolo organizzativo. E dare forma alle suggenti aspirazioni della sua iper-cromatica genìa.