L’orribile richiamo dei lupi d’acciaio dagli occhi di bragia

Sotto gli occhi affascinati di un gremito pubblico silente, l’attore del kabuki fa il suo ingresso nella scena, relativamente scarna e minimalista secondo la metrica di una qualsivoglia differente tradizione teatrale, tranne forse le altre provenienti dallo stesso paese. Con un gesto magniloquente, sistematosi l’enorme chioma della sua parrucca, allarga quindi le sue gambe, gira il collo e lo sguardo tutto attorno e lancia il grido entusiastico e solenne al tempo stesso: “ヨウウウウウ!” (Yoooooo!) L’aria pare sollevarsi, assottigliarsi, poi convergere in corrispondenza della sua figura, mentre il tocco ritenuto di una coppia di legnetti accelerantisi sottolinea e accresce il senso di agitazione. Apotropaica è sempre tale circostanza, eppur variabile in base a validi suggerimenti di contesto: all’interno di un cimitero, sarà il pronunciamento magico di un onmyōdō, praticante delle antiche tecniche di esorcismo ed allontanamento della sventura. Nel bel mezzo di una foresta, il verso di sfida di un esperto cacciatore, che solleva l’arco lungo pronto per colpire l’orso che fuoriesce dalla propria oscura tana. Nel palazzo dei potenti, tanto spesso, il grido di vendetta dei figli usurpati, i samurai ribelli, i servitori di ritorno da un fallito tentativo d’assassinarli. Come i visitatori dell’alto castello del mago di Oz, per ciascuno di coloro che ode quel drammatico richiamo percepisce dunque in esso il valore permeabile di un differente messaggio. Che sia convinzione, furia o chiarezza d’intenti. O persino il grido atroce di un guerriero dalla maschera di lupo. Perché proprio questa, è la natura imprescindibile dell’umanità.
Confrontiamo, d’altra parte, il tipico comportamento di una delle tanti specie animali che rendono difficile la vita negli ambienti rurali di quello stesso vasto, occasionalmente selvatico paese. Per un cervo, cinghiale o macaco dalla faccia rossa, l’astrazione non ha nessun tipo di significato. E una sirena d’allarme, dopo l’iniziale senso di stupore e atterrimento, cessa semplicemente di essere presa in considerazione. Permettendo la continuazione indisturbata delle proprie pericolose ed indesiderabili attività quotidiane. Così è a questo punto che entra in gioco, nell’ideale linea temporale degli eventi, l’inventore e imprenditore della città di Naie in Hokkaido Mr. Ota Seiki, che attorno al 2016 iniziò ad interrogarsi in merito a cosa potesse essere fatto per impedire l’invasione dei campi da parte dei suddetti portatori di rovina ed altri simili, piuttosto che arrendersi cedevolmente al corso naturale degli eventi. Almeno finché non gli capitò di riconsiderare con occhio critico la notizia relativa alla nutrita schiera di bambini in età scolare che restarono colpiti da crisi epilettiche in un celebre caso di vent’anni prima durante un episodio dei Pokémon, prima che i regolamenti per le trasmissioni mediatiche nazionali introducessero il divieto d’immagini lampeggianti ad un ritmo eccessivamente veloce. “Quindi, se la semplice luce può essere sgradevole o pericolosa” Pensò allora: “Un faro lampeggiante, con suoni ripetuti ed attivato da una cellula fotoelettrica potrebbe senz’altro riuscire ad allontanare senza falla gli animali”. Così per almeno quattro notti, i cervi della zona di prova nei dintorni della città innevata conobbero il vero significato della parola terrore. Finché abituatosi al fastidio, non finirono per relegarlo in un cassetto ben serrato della propria co(no)scienza. Per tornare nuovamente e allegramente a brucare. Da che Ota comprese che sarebbe servito un’approccio alternativo alla questione. Uno che nascesse da notizie informate, piuttosto che le mere impressioni rilevate dal senso comune…

Fuori dal contesto lo strano marchingegno potrebbe in parte ricordare uno di quegli scheletri ad attivazione automatica che spaventano gli avventori dei locali ad Halloween. Sebbene il grado di affidabilità e robustezza risulti essere decisamente più alto.

L’occasione venne quindi, in un aneddoto riportato estensivamente sul sito dell’unico distributore del suo prodotto allo stato attuale dell’intera faccenda, WolfKamui (“Spirito del Lupo!”) dal dialogo con un non meglio definito professore universitario. Amico del creatore di meccanismi, il quale rispondendo alle frustrazioni di Ota finì per raccontargli di come un tempo non ci fosse neanche mai stato alcun problema del tipo che lui stava tentando di risolvere, causa l’antica presenza ed ampia diffusione dell’ormai estinto lupo giapponese. yamainu (山狗) come veniva anche chiamato o “cane di montagna”, laddove gli alti picchi del sacro paese erano considerati luoghi pericolosi e soggetti alla sorveglianza di antiche e impenetrabili divinità. Che talvolta discendevano lungo la via, per accompagnare e tenere al sicuro i viaggiatori nel corso delle proprie estensive peregrinazioni con lo scopo di assolvere alle mansioni più diverse. Almeno fino a che le nuove normative in tema di controllo ambientale non implementarono in epoca Meiji (1868-1912) un effettivo e letterale intento collettivo di sterminio, che portò alla progressiva riduzione ed infine sparizione di questo nobile animale. La compromissione di un fondamentale equilibrio, capace di permettere il moltiplicarsi a dismisura di altre più “benevole” ma in effetti drammaticamente invadenti creature. Il che, per tornare al nostro inventore dell’Hokkaido, lasciava un vuoto pronto ad essere riempito, magari attraverso il tipico simulacro tanto spesso celebrato dalla letteratura o animazione televisiva contemporanea, il mecha (robot) messo assieme dalle operose ed instancabili mani dell’industria tecnologica contemporanea. La stessa luce lampeggiante al LED, in altri termini, incapsulata all’interno di un involucro a forma di canide carnivoro, dai tratti enfatizzati come una maschera del teatro e gli occhi demoniaci che lampeggiano di un preoccupante color vermiglio. Al completamento delle prime sperimentazioni presso la piccola comunità rurale di Kisarazu, nella prefettura di Chiba, la mostruosa creazione catturò quindi l’attenzione della stampa internazionale, stimolando numerose trattazioni sommarie sulla base di quella realizzata dall’emittente britannica BBC nel 2017. Ma a quei tempi, i margini di miglioramento del lupo artificiale erano ancora piuttosto significativi.
L’idea di produrre in serie l’oggetto e metterlo in commercio con il nome di Supā Monstā Wolfu (スーパーモンスターウルフ) si sarebbe quindi concretizzata soltanto l’anno successivo, ad un prezzo unitario di 410.000 yen o quasi 3.000 euro, cifra ragionevole considerate le caratteristiche di questa formidabile evoluzione del concetto tanto spesso insufficiente di un semplice spaventapasseri. Costruito per resistere agli elementi e alimentarsi grazie all’uso di un pannello solare integrato, il lupo privo di zampe muove infatti la testa in un arco di 180 gradi, emettendo luci dai suoi occhi ed altre lampade integrati con ritmi variabili e casuali, affinché gli animali non possano riuscire ad abituarsi. Emettendo, nel contempo, una straordinaria quantità di suoni diversi, inclusivi di ruggiti, abbai, ululati e persino voci umane che gridano “Yurusenai!” (許せない – imperdonabile!) all’indirizzo degli ospiti indesiderati, sgridandoli con misurabile efficacia, quasi del tutto pari all’originale. Il successo e numero d’ordini, perciò, fu fin da subito superiore alle aspettative. Con le prime storie di applicazioni riuscite collocabili quindi non soltanto a Kisarazu, ma anche presso un campo da golf ad Ashikaga nella prefettura di Tochigi e nei frutteti di Otaka a Nagano, che avrebbero portato all’introduzione di nuovi modelli: vedi quello presentato giusto lo scorso agosto, dotato di un carrello elettrico a guida automatica con tanto di navigatore GPS, capace d’inseguire letteralmente i bersagli malcapitati della sua robotica furia. Il veicolo, quindi, può essere utilizzato durante il giorno per trasportare i prodotti agricoli dei campi…

Orso nero e lupo (dallo sguardo) rosso, chi vincerà? Un confronto degno di esser celebrato all’interno di una delle innumerevoli celebrazioni giapponesi del conflitto uomo-natura. Manga, anime, videogame

L’idea di poter disporre di un collaboratore meccanizzato per allontanare invasori quadrupedi potenzialmente pericolosi rappresenta quindi un valore altamente significativo, soprattutto per un paese in cui buona parte dell’attività agricola resta oggi appannaggio di persone dall’età piuttosto avanzata, per questo potenzialmente ancor più vulnerabili all’attacco di cinghiali o l’ancor più problematico orso bruno. Questione a cui si aggiunge il notevole fascino concettuale del sistema, con un aspetto così terrificante da risultare al tempo stesso quasi comico, tale da attirare la scorsa estate un’intera classe di tirocinanti stranieri dei paesi in via di sviluppo, principalmente provenienti dall’Africa, ad un evento dimostrativo organizzato dalla cooperativa agricola JICA di Tsukuba. Occasione nella quale uno di loro, scherzando ma soltanto fino a un certo punto, evidenziò la potenziale efficacia di un tale allarme acustico nell’avvisare gli agricoltori anche dall’arrivo di ladri o altri malintenzionati umani, permettendo l’intervento armato di una rapida e tangibile ronda di quartiere.
Perché le quadrupedi creature parzialmente sovrannaturali che sorvegliavano i picchi del più remoto arcipelago d’Oriente vantavano la caratteristica, come sopra, di sorvegliare occasionalmente coloro che gli rivolgevano un’opportuna e reiterata preghiera. Da cui l’alternativo e ancora utilizzato nome dello yamainu o cane di montagna: ōkami – 狼 (lupo) che è poi un perfetto omofono 大神 (Gran Divinità) ovvero in altri termini, la somma Dea del Sole, Amaterasu. Una tangente ma significativa sovrapposizione, ben conosciuta dai videogiocatori grazie all’omonima creazione del Clover Studio del 2006, uno dei più celebrati action-adventure e Zelda-like di tutti i tempi. Che in qualche modo rivive, nell’alimentazione a energia solare del terribile Super Monster Wolf.

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