Lo spettacolare allenamento indiano dei guerrieri da cui deriva l’odierna lap-dance

Se volessimo cercare l’equivalente culturale di Marco Polo in Oriente, potremmo individuare uno dei primi esempi disponibili nella figura del monaco buddhista Xuanzang, alias Hiuen Tsang, che partendo dalla Cina si avventurò fino al distante subcontinente indiano, per conoscere ed approfondire le origini remote del Dharma. Il suo pellegrinaggio compiuto nel VI secolo, che molti anni dopo avrebbe ispirato il celebre romanzo della dinastia Ming “Viaggio in Occidente”, lo avrebbe portato nel frattempo a conoscere le più disparate dottrine e tradizioni, tra cui la maniera in cui gli asceti di Prayagraj, nell’odierno Uttar Pradesh, erano soliti arrampicarsi quotidianamente sopra degli alti pali per offrire un saluto rituale al Sole nell’ora del tramonto. Assumendo pose plastiche con un braccio ed una gamba tesa, la testa voltata da una parte e mantenendo il proprio corpo in un equilibrio del tutto privo d’imperfezioni. Nient’altro che uno strano vezzo culturale che avremmo potuto giudicare del tutto isolato, se non fosse per le ceramiche dipinte risalenti al II secolo ritrovate verso la metà del Novecento presso il sito archeologico di Chandraketugarh in Bengala, che ritraggono degli acrobati in bilico sopra dei pali con struttura a T, tenuti in alto da loro colleghi dall’evidente preparazione fisica pregressa. L’importanza di strutture perpendicolari al terreno, irte e levigate, non può d’altra parte essere sottostimata in quei luoghi, fin dall’epoca, 400 anni prima, in cui l’imperatore Ashoka aveva fatto erigere una grande quantità di pilastri, con un’altezza media di 15 metri, finemente levigati e iscritti con le specifiche dei propri editti, il suo codice legale ed importanti notazioni sulle Nobili Verità necessarie per riuscire a perseguire l’Illuminazione. In uno dei più celebri esempi della serie, situato a Sarnath, quattro leoni scolpiti sorvegliavano il paesaggio dalla sommità del pilastro, in un magnifico capitello. Ma come avrebbero fatto, idealmente, a raggiungere una simile collocazione? La risposta, assai probabilmente, è l’antichissima disciplina del Mallakhamb.
Chiamata talvolta la ginnastica oppure lo yoga “volante” essa è in realtà l’insieme di tecniche il cui nome programmatico deriva da malla – lottatore e khamb – palo, essendo stata approfonditamente codificata a partire dal XVIII secolo durante il regno di Peshwa Bajirao II, quando una leggenda vuole che il maestro di discipline fisiche Balambhatdata Deodhar al servizio del sovrano, quando quest’ultimo venne sfidato assieme ai suoi campioni da un famoso lottatore proveniente dall’Arabia, lo avesse allenato facendo ricorso a quest’arte ancestrale, da lui resa nuovamente celebre a beneficio dell’intera popolazione. Tanto che poco meno di 50 anni dopo, nel 1857, il tipo di disciplina ed abnegazione derivante dall’impiego di una simile metodologia avrebbe trovato terreno fertile nell’organizzazione dell’esercito popolare, insorto spontaneamente contro la tirannia della Compagnia delle Indie Orientali e poi sconfitto dal grande Impero d’Inghilterra. Durante il lungo periodo dell’egemonia coloniale dunque, con il conseguente divieto della pratica di ogni possibile arte marziale, le scuole di Mallakhamb non direttamente implicate in tale ambito avrebbero persino visto aumentare il proprio numero, mentre ai giovani del paese veniva insegnato come mantenersi in forze nell’attesa che venisse nuovamente il loro momento. Con un approccio al mondo delle discipline fisiche che potremmo definire al tempo stesso alieno, eppure stranamente familiare nel nostro sentire contemporaneo…

Il movimento sul khamb è fluido piuttosto che ritmico, nervoso e privo di esitazioni. Lasciando immaginare molto facilmente l’utilità che un simile allenamento poteva avere, nella preparazione originaria dei lottatori.

Che la cosiddetta danza con il palo debba necessariamente avere forti implicazioni provocanti ed allusive rappresenta, d’altra parte, una recente invenzione del marketing occidentale, restando una parte per lo più facoltativa nel sentire creativo di chi ha studiato per praticarla. Mentre imprescindibile per farlo con piena efficienza resta una preparazione fisica notevole, tale da coinvolgere contestualmente ogni singolo muscolo del corpo umano. Non è perciò particolarmente sorprendente, o quanto meno non dovrebbe in alcun modo risultare tale, che le radici più remote della pratica trovino collocazione nell’universo dedicato da una delle principali e più antiche attività della specie umana, il combattimento. Tanto che originariamente, prima della sua trasformazione in sport di concezione moderna, il Mallakhamb prevedeva l’impiego nella sua forma più pura di strumenti di vario tipo impugnati dagli esecutori, come bastoni finalizzati a rappresentare spade o altre armi da taglio. E benché tale aspetto fosse destinato a perdersi con il trascorrere dei secoli, costante sarebbe rimasta la suddivisione in tre particolari sotto-discipline, ancora oggi praticate parallelamente. La prima e più famosa quella del palo propriamente detto, un pilastro realizzato in legno di teak o sheesham (palissandro indiano) lucidato con generose quantità di olio di ricino, dall’altezza variabile in base all’età dell’esecutore. Il cui compito, afferrandolo con gambe e braccia, sarà quello di salirvi ed inscenare una serie di acrobatiche figure, consistenti in volteggi, pose simili a quelle della meditazione e rapidi passaggi da uno stato all’altro, senza il tipo di pause preparatorie normalmente utilizzate nell’aerobica contemporanea. Tanto che osservare un campione all’opera può restituire un senso di precarietà e imprudenza, nonostante ogni simbolo gesto sia il frutto di un’attenta pianificazione individuale. Va notato anche il diametro del pilastro stesso, rastremato e raramente inferiore ai 55 cm in corrispondenza della sua base, 35 alla sommità, tale da richiedere una forza ancor più significativa del moderno palo da lap-dance per riuscire ad afferrarsi ad esso. Ancora più notevole, se vogliamo, benché riservato in genere ai praticanti più giovani, è la metodologia del palo sospeso a mezzo metro da terra, con un sistema di ganci e catene, perciò lasciato libero di oscillare e roteare su se stesso. La versione in cui più di qualsiasi altra appare difficile apprendere i segreti in età già adulta, poiché inerentemente adatta alla naturale agilità di un bambino. Conclude la triplice rassegna il Mallakhamb con la corda, facente uso dell’eponimo strumento con lunghezza di 5,5 metri, e circa 2 cm di diametro, grazie al quale realizzare simili acrobatismi mentre ci si regge mediante l’uso delle mani e dei piedi. Le sofisticate ed aggraziate pose assunte durante l’esibizione, chiamate udi, vengono quindi giudicate tradizionalmente appropriate alle atlete donne, benché non sia raro che anche gli uomini si cimentino nella difficile disciplina. Mentre è particolarmente raro il contrario, per lo meno nei contesti tradizionali in cui il palo propriamente detto viene riservato ai loro colleghi dell’altra metà del cielo.

Al giorno d’oggi esistono numerose varianti non-standard del Mallakhamb tradizionale, come quella che prevede di tenere in equilibrio un piattino sulla testa. O l’utilizzo di bottiglie sopra cui tenersi in equilibrio tra un salto e l’altro, benché le tre correnti più antiche continuino a dominare il panorama delle competizioni ufficiali.

Complesso, significativo e razionale, l’antico sport ha vissuto il proprio Rinascimento a partire dal primo terzo del secolo scorso, a partire da quando venne messo in mostra alle Olimpiadi di Berlino del 1936, in qualità di sport fuori dalla competizione agonistica dei Giochi. Benché un aneddoto voglia che lo stesso Hitler rimase tanto colpito dall’agilità degli esecutori, da decretare che dovesse essere concessa una medaglia d’oro a ciascuno dei partecipanti. Il che avrebbe portato all’istituzione del primo campionato nazionale indiano nel 1962, seguito dall’integrazione entro 7 anni nei giochi atletici tenuti tra le diverse università del paese. La nascita di una federazione propriamente detta, nel frattempo, risulta essere più recente, con datazione al gennaio del 1981, un momento storico per la riscoperta collettiva di questo antico sport.
E per quanto riguarda la sua esportazione verso Ovest, come tanto spesso capita, possiamo solo affermare che in qualche modo… È successo. Fin dalle prime implementazioni della lap-dance nei teatri di varietà newyorchesi degli anni ’70 e in Canada, possibilmente grazie alla notevole capacità degli artisti della danza di riciclare ed adattare le influenze prese in prestito dal grande flusso ritmico dello scibile naturalmente globalizzato. Poiché il corpo umano è una delle poche costanti tra le plurime culture di questo mondo, così come le imprese che può compiere, tramite il rinnovamento di una preparazione sufficientemente approfondita.
Qualcuno potrebbe mai pensare, d’altra parte, che si tratti di una semplice coincidenza? Lo stesso Hiuen Tsang, guardando i cartoni animati e videogiochi dei nostri giorni, avrebbe più di qualcosa da dire sull’argomento. Per il ruolo cruciale avuto, nel suo epico viaggio, da un certo scimmiotto, la sua nuvola volante ed il bastone che portava come arma, in grado di allungarsi oltre l’orizzonte delle convenzioni apparenti…

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