Il devastante impatto della mega-pigna che genera crateri nei giardini australi

Con l’inizio del mese di dicembre, come ogni anno, ha inizio il nuovo capitolo di un’eterno conflitto tra uomo e natura. Quello che finisce per costare, inevitabilmente, la vita a svariati milioni di abeti, tagliati nel fiore degli anni all’altezza delle nostre caviglie, per essere caricati su di un camion, trasportati nelle nostre case e ornati di sferoidi vetrinati, stelle e croci scintillanti come macabri trofei di un cacciatore di taglie. Il che rientrerebbe pienamente nella logica di quest’industria, degli arbusti usati in qualità di materia prima per i sogni e gli obiettivi della civilizzazione, se non fosse per l’utilità piuttosto limitata di una simile operazione: non è forse possibile, persino qui, persino adesso, celebrare il Natale senza fare ricorso ad un’usanza significativa solo per le cognizioni ereditate da paesi lontani? Non era possibile, piuttosto, limitarsi a fare il presepe? E non potrebbe forse essere questa qui l’origine, volendo rintracciare i flussi karmici dell’Universo, del massacro potenziale che si compie ogni anno tra gennaio e marzo, in tutti i luoghi in cui un diverso tipo d’albero ha trovato terra fertile e l’opportunità di raggiungere la potenziale altezza di 30-45 metri? Quando tali tronchi vengono regolarmente recintati. Affiggendogli cartelli che pronunciano l’avviso: “DANGER! Pericolo! Non sostate sotto il bunya-bunya. Parcheggiate le vostre auto altrove. Ogni trasgressore, agirà a proprio esclusivo rischio e pericolo.” Considerazioni di primaria e logica importanza… Quando una pianta proveniente dall’Australia vanta un nome ripetuto in una delle lingue aborigene (vedi gympie-gympie, l’albero urticante che può dare sofferenza imperitura) sarebbe particolarmente opportuno prenderla sul serio. Una visione dei fatti per la quale l’Araucaria bidwillii, conifera sempreverde del Queensland e zone limitrofe, non fa certamente eccezione. Vista l’abitudine largamente acclarata, conseguenza dei percorsi imprevedibili dell’evoluzione, a generare pigne del diametro approssimativo di una zucca, e il peso che può talvolta raggiungere i 18 Kg. Abbastanza per precipitare senza nessun tipo di preavviso, secondo un preciso disegno, conto cose o persone che dovessero trovarsi a transitare di lì. Abbastanza per segnare in modo significativo il tetto di un’automobile. Abbastanza da riuscire a fratturare un cranio umano.
Formalmente definito con il popolare ossimoro di fossile vivente, tanto impropria quanto quella di essere un “pino”, per la sua origine rintracciabile fino all’era del Giurassico (200<>149 mya) questo albero dalla forma suggestivamente simmetrica giungerebbe a ricordare vagamente quella di un fuso da cucito, se non fosse per disposizione caratteristicamente rada dei suoi rami mediani. Un’accorgimento biologico, quest’ultimo, potenzialmente utile a rendere meno probabile l’auto-impollinazione, trattandosi di una pianta dioica ovvero dotata di fiori appartenenti ai sessi femminile & maschile, disposti rispettivamente nella parte bassa e quella alta della sua significativa altezza. Il che fa necessariamente parte dell’inganno di un fato malevolo, quando si considera come soltanto i primi siano responsabili della creazione delle pericolose bombe dalla ruvida scorza, in posizione particolarmente difficile da individuare dal livello del terreno. Avendo mietuto più di una vittima, nel corso delle ultime decadi, in tutti quei paesi dal clima adatto ma dove tali alberi non sono nativi, essendo stati trapiantati in forza del loro attraente aspetto decorativo. Ed è così che ancora oggi, continua a compiersi la dura ed implacabile vendetta di queste radici determinate a veder applicata la legge del contrappasso; l’ultimo e più eclatante caso a San Francisco nel 2015, ai danni di un uomo che si era adagiato a sonnecchiare sugli invitanti prati del Maritime National Historical Park, dove alberi di tutto il mondo offrono uno scenario esteticamente memorabile. Finendo per essere colpito alla testa da una di queste pigne ragionevolmente letali, un incidente destinato a costargli ben tre operazioni con danni permanenti al cervello, ed alla città una causa comprensibile da 5 milioni di dollari. Visto come avvisi di pericolo siano stati affissi, ma soltanto DOPO il fatto compiuto…

La raccolta ed apertura del frutto di bunya è una mansione piuttosto complessa, che tende a richiedere strumenti come pinze regolabili, schiaccianoci ed un lungo cacciavite. La poca manualità, tendenzialmente, può portare conseguenze particolarmente sgradite.

La necessità di tenersi a ragionevole distanza dai pini di bunya nel periodo di caduta delle sue impressionanti pigne costituisce d’altra parte un semplice fatto della vita per coloro che lo conoscono già da tempo. Il che non semplifica in alcun modo l’accettazione di un tale problema, alla base di molte rimozioni preventive di esemplari incolpevoli di tale pianta, che d’altra parte non può in alcun modo essere ritenuta responsabile di fare ciò per cui la natura è giunta a definirne le caratteristiche biologiche e riproduttive inerenti. Le quali includevano, all’origine remota della sua esistenza, una probabile associazione niente meno che diretta a tutti quei dinosauri saurischi e sauropodi dal collo lungo, abituati a consumare il contenuto nutritivo di queste incomparabili palle di cannone. Ovvero le svariate dozzine di noci, nascoste ciascuna all’interno di una delle dure scaglie della pigna, il cui aspetto appare simile a quello di pinoli sovradimensionati, con un sapore attraente descritto come una via di mezzo tra l’amido delle patate e una castagna. Preferibilmente una volta cotto, tramite tostatura o bollitura, secondo le usanze ereditate da molti popoli del territorio australiano e non solo, essendo questi alberi attestati anche in Nuova Zelanda, Nuova Caledonia e Papua Nuova Guinea. Per non parlare anche di terre lontane a patto che le temperature non raggiungano mai condizioni opportune al gelo, come avviene nella già citata California, ma anche inaspettatamente a Coimbra, in Portogallo, o nell’area irlandese di Dublino, riscaldata da venti provenienti dalla corrente del Golfo. Impossibile invece il trapianto in luoghi come l’Italia o il resto dell’Europa Occidentale, dove a questo arbusto viene preferito il relativamente simile Araucaria araucana o “albero del puzzle di scimmia”, dotato di simili pigne giganti accompagnate da caratteristiche foglie spiraleggianti attorno ai rami, tanto intricati da presumere che un primate potrebbe restare bloccato all’interno della sua chioma.
Il più profondo e pregno significato culturale posseduto dal bunya-bunya è rintracciabile tuttavia nelle culture aborigene della zona del Queensland australiano, dove sin da tempo immemore le tribù erano solite riunirsi intorno ai mesi del nuovo anno, con il celebrato pretesto di raccogliere e consumare in diversi modi tradizionali le noci prodotte da questi alberi, tra cui la farina di un pane considerato sacro agli Dei animistici del mondo. Il cui consumo diventava un’occasione, niente affatto accidentale, di mettere da parte le rispettive differenze ed ogni possibile conflitto tra le diverse comunità, permettendo agli anziani di celebrare i riti religiosi e stabilire i nuovi termini di legge o i limiti dei territori condivisi tra i rispettivi clan familiari. Queste feste del bunya, come venivano chiamate, sarebbero in seguito diventate progressivamente più rare, in forza della sempre maggiore rarità di questi alberi, largamente ed eccessivamente sfruttati per la ben nota qualità del loro legno. Particolarmente apprezzato nella produzione di strumenti musicali, ancora oggi, dato il possesso di qualità acustiche ritenute superiori a quelle di ogni altra materia prima immediatamente a disposizione. La coltivazione intensiva si è del resto rivelata particolarmente difficoltosa, per il particolare approccio usato da quest’albero nella sua germinazione. Che prevede, una volta che la pigna è caduta a terra, la fuoriuscita dei semi e il loro gettito di una radice simile ad un tubero, che provvederà quindi a tirare sotto terra l’intero germoglio. Il quale emergerà soltanto entro un periodo di tre anni, molto variabile, sulla base di fattori esterni ed ambientali ancora largamente non acclarati, con lo scopo probabile di sfuggire al pericolo sempre presente degli incendi. Aggiungete a questo un tempo di maturazione molto lungo, vista la durata della vita pari o superiore ai 500 anni, ed una produzione di pigne anch’essa largamente erratica, per comprendere perché al momento macchie estensive di A. bidwillii siano oggi ancora situate unicamente nell’iconico parco naturale dei monti di Bunya, dove taluni organi d’amministrazione tribale hanno tentato negli anni di ricostituire gli antichi raduni comunitari. Ma c’è ancora davvero bisogno di una festa per riunirsi e scambiarsi storie, nell’epoca di Internet e Instagram, Reddit, Tik-Tok?

La figura offerta in controluce da un boschetto di questi “pini” è qualcosa di altamente caratteristico ed indicativo di una particolare regione d’appartenenza. Oggi, in ogni altro luogo, questi alberi crescono soprattutto come singoli esemplari isolati. Forse, per fortuna?

E c’è forse da comprendere, sebbene non sia necessario condividerlo, l’odio profondo verso il proprio albero raccontato dalla signora di Sacramento, California, che nel 2020 diventò famosa per l’abitudine di chiedere che i suoi visitatori indossassero un casco da cantiere prima d’entrare nel cortile di casa sua. O la scelta dei responsabili di una chiesa cattolica in Tasmania, che nel 2017 fecero abbattere un paio di questi alberi particolarmente beneamati per l’avvenuta distruzione di alcune automobili; prima che il disastro, senza nessun tipo di preavviso, potesse toccare a un visitatore umano del parcheggio antistante.
Scelte difficili, di un’epoca in cui persone ed organizzazioni vengono ritenute responsabili degli incidenti che possono avvenire all’interno delle proprie competenze immobiliari o proprietà. Il che non potrà mai avere alcun tipo d’importanza, per l’altro tipo di processi, che fanno parte dell’imprescindibile funzionamento delle cose naturali. Eppure non è privo di un certo tipo di cupa soddisfazione, immaginare la reazione di sempreverdi agli antipodi per la sofferenza stagionale dei propri distanti cugini boreali. Lasciando cadere il proprio dono meteorico, come la mela che avrebbe ispirato Isaac Newton, magari proprio nel giorno del suo stesso compleanno. Il 25 dicembre… Ricorrenza dai plurimi e talvolta imprevedibili significati.

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