La sublime strategia danzante della doppia spada coreana

Cultura dalle profonde implicazioni marziali persistentemente soprassedute nella continua ricerca d’ispirazione del mondo moderno, fatta eccezione per alcune produzioni nazionali che sono state capaci di penetrare il velo d’ingiustificata indifferenza, la maggiore penisola dell’Estremo Oriente possiede, all’insaputa di molti, un ricco repertorio di ritualità finalizzate a celebrare un simile carattere delle pregresse attività guerriere. Compresa quella, decisamente atipica, di un assassino inviato presso la corte di un antico sovrano. Hwang Chang era il nome di quel giovane, dotato di una grazia nei movimenti senza pari nella sua epoca ed in quelle precedenti, al punto che il suo particolare modo d’esibirsi era diventato celebre in tutto il regno di Silla, superando i confini fortificati di quell’epoca di guerra e raggiungendo la corte della nazione rivale di Gogureyo. Al punto che, secondo la leggenda, il suo nome attrasse l’attenzione del potente sovrano di quest’ultima, la cui identità non viene chiaramente identificata nella narrazione ma potremmo preventivamente associare alla figura di Anjang (519-531) morto in circostanze dubbie e senza lasciare nessun tipo d’erede. In seguito al drammatico epilogo e gli eventi, totalmente inaspettati, che ebbero modo di verificarsi nella teatrale contingenza tanto lungamente paventata. In cui l’artista del momento musicale, facendo seguito a un impulso patriottico frutto della propria eredità culturale, balzò agilmente sopra il podio dove si trovava il trono. E con un fluido movimento, pugnalò il Re al cuore.
Difficile immaginare, in effetti, il tipo di situazione in cui un monarca supremo di matrice estremo-orientale accetterebbe di lasciarsi avvicinare da un guerriero armato di spada, tra l’assoluta e continuativa indifferenza delle proprie guardie del corpo. A meno di trovare quel frangente, a discapito della sua stessa incolumità, sufficientemente notevole o interessante. Ed è indubbio che la Geommu (검무, letteralmente: danza della spada) possedesse fin dall’origine tali caratteristiche, così come venne immediatamente ripresa e celebrata successivamente dal popolo di Silla, con l’obiettivo di commemorare il compianto eroe subito dopo messo a morte dai guerrieri del regno di Gogureyo. In un tipo d’esibizioni forse prive della complicata coreografia delle epoche successive, ma che possedevano un intento narrativo più evidente e proprio per questo, prevedevano l’utilizzo di una maschera plasmata sull’aspetto (reale o presunto?) dell’ormai morto e sepolto Hwang Chang. Non c’è poi molto da sorprendersi, negli anni successivi, se una simile sequenza di coreografie ormai diventata tra le più famose e utilizzate danze delle corti medievali coreane mutò parzialmente perdendo l’originale significato: chi mai vorrebbe celebrare, di fronte ai propri vassalli, l’eventualità futura del proprio assassinio… Ma quel senso di minaccia, inerente nella figura di uno, due, quattro, se o otto ballerini allo stesso tempo, ciascuno armato di una coppia di sfolgoranti Ssangdo (쌍도 – spade gemelle) fatte mulinare secondo un preciso codice attentamente coreografato, non sarebbe mai davvero passato in secondo piano. Rimanendo, in un certo senso, una delle componenti maggiormente affascinanti di questo particolare tipo d’esibizione. Che negli anni successivi mutò ancora, fino al perfezionamento verso l’inizio della lunga e stabile dinastia di Joseon, responsabile di aver unificato il paese a partire dall’anno 1392. In modo particolare con la nascita della figura professionale delle kisaeng o gisaeng (기생) ragazze di umili origini addestrate fin dalla giovane età al complesso ruolo di cortigiane, in una maniera e con priorità molto spesso paragonate a quelle della geisha giapponese. Sebbene gli elementi esteriori interconnessi alle loro partecipazioni sociali fossero sostanzialmente differenti e quello della danza delle spade Geommu non ne rappresenta altro che uno dei maggiori e più continuativi esempi attraverso gli oltre cinque secoli rilevanti. Immaginate, a tal proposito, la fiducia che doveva essere riposta in queste danzatrici, per potergli permettere di trasportare un letterale arsenale di fronte ai facoltosi committenti del mondo in cui erano costrette a muoversi per nascita ed eredità delle proprie famiglie…

Oggi eseguita con sole finalità culturali, la danza delle spade ha perso completamente l’originale implicazione di pericolo che connotava la collocazione di affilate armi all’interno di una sala del trono. L’assenza del potere assoluto, si sa, rilassa gli animi e smorza parzialmente il desiderio di porre fine all’esistenza dei propri nemici.

La particolare coreografia della danza giunta fino alla nostra epoca viene quindi attribuita alle specifiche tradizioni della città di Jinju, tra gli originali seggi del potere politico durante il regno di Silla, attorno all’anno Mille diventata “semplice” capitale della regione amministrativa o mok che portava il suo stesso nome, oggi corrispondente all’influente distretto di Gyeongsangnam-do. Uno degli aspetti maggiormente interessanti nella concezione stessa di questa forma d’arte performativa, dunque, va ricercata nell’atipico trasferimento di elementi maschili nel mondo delle donne, soprattutto dal punto di vista di una società confuciana come quella della Corea del mondo classico, in cui il ruolo dei due generi veniva mantenuto in rigida contrapposizione. Una dicotomia che emerge dal costume stesso indossato dalle kisaeng protagoniste dell’atto, che pur potendo variare nei colori e foggia include sempre il tradizionale abito hanbok dall’ampia gonna, coperto dal soprabito kwaeja e con in testa il cappello militare jeon-rip, in genere indossato dai soldati durante le occasioni ufficiali. Le spade stesse inoltre, trasformate con il proseguire degli anni in quelli che potremmo definire più che altro dei lunghi coltelli, sono un’amalgama di effettiva funzionalità e specializzazione scenografica, con la deriva in epoche maggiormente recenti verso la versione non affilata e definita kal, completa di una triade di anelli tintinnanti per accentuare i movimenti di coloro che le impugnano durante l’esecuzione. Piuttosto calma e moderata nella maggior parte della sua composizione, soprattutto se messa a confronto con altre danze della spada come quelle provenienti dalle regioni dell’Asia Minore, la Geommu inizia quindi con il passo noto pyeong-sawi o presentazione, durante cui le partecipanti ancora disarmate s’incontrano e rivolgono al pubblico in una serie di gesti, accentuati dall’inclusione nella loro divisa di due lunghe hansam (한삼) o estensioni delle maniche, direttamente prese in prestito direttamente dall’altra danza tradizionale di corte del Salpurichum (살풀이춤) generalmente condotta da sciamane con finalità apotropaiche o d’esorcismo di persistenti malignità spirituali. L’accompagnamento musicale, fornito nella versione di Jinju da tamburi di tipo janggu a forma di clessidra e buk, simili a dei grandi barili, accompagnati da flauti daegeum (traverso) e piri (diritto) accelera a questo punto la propria evoluzione, entrando nel ritmo noto come Samhyeon-Nyukgak. È questo il momento, secondo un piano attentamente definito, in cui le danzatrici rimuovono le maniche allungate ed impugnano le spade entrando in uno stato di trance guerriera che le porta ad eseguire una serie di movimenti noti come yeonpungdae, completi di balzi e stoccate selvagge all’indirizzo di un nemico immaginario, poi l’una all’indirizzo dell’altra, con ampi movimenti del polso e dell’avambraccio. E a più riprese esse si alzano e siedono nuovamente a terra, con un possibile richiamo ai requisiti rituali necessari a presentarsi dinnanzi al sovrano, altrettanto valido a richiamare al ruolo originariamente subordinato del giovane Hwang Chang, che non gli avrebbe tuttavia impedito di mettere in scacco l’intera prosecuzione di una dinastia. Al termine del combattimento, la cui durata viene è attentamente subordinata a quella del brano musicale di accompagnamento, sul palcoscenico ritorna nuovamente la calma, mentre le ballerine attraversano diagonalmente a più riprese lo spazio disponibile, presentando le proprie spade al pubblico in una serie di colpi vibrati al rallentatore. Certi di aver visto un qualcosa che, tra tutti i paesi del mondo, poteva esistere e continuare ad essere tenuto in vita solamente entro i confini della Corea.

In questa rappresentazione all’aperto, realizzata in occasione dell’annuale festa della città di Jinju, un regale figurante interpreta il ruolo del sovrano Joseon, rigorosamente sorvegliato dalle sue attente guardie del corpo. Le quali erano armate, secondo la tradizione, delle potenti spade Byeol-ungeom (별운검 – Tagliatrici delle nubi) forgiate in uno specifico giorno di uno specifico anno, capaci di smorzare sul nascere qualsiasi tentativo di assassinio.

C’è un secondo importante fatto storico, non meno cruento, associato strettamente alla danza delle spade, che avendo luogo proprio presso la città di Jinju non può che dare il suo contributo alla ben nota qualifica di tale centro come polo patriottico e devoto al concetto di una nazione indivisa. Esso si svolge presso la fortezza di Jinjuseong durante quella che viene chiamata localmente guerra di Imjin, ovvero l’iniziativa a partire dal 1592 in base a cui il kampaku (dittatore militare) e sovrano de-facto del Giappone Toyotomi Hideyoshi, ormai raggiunta l’unificazione del suo paese, inviò i formidabili guerrieri samurai a sfogare le proprie ambizioni in terra straniera, con l’impossibile desiderio di riuscire ad estendere il suo potere incontrastato in Corea. Un obiettivo destinato a infrangersi contro la notevole capacità strategica dei generali di quest’ultima, per non parlare delle antiche fortificazioni dei molti anni di conflitti, e che avrebbe trovato proprio nel frangente interconnesso all’arte un importante simbolo dell’unità e propensione al sacrificio dei suoi abitanti. Quando il personaggio lungamente celebrato di Nongae, intrattenitrice kisaeng locale, ingannò durante la danza delle spade un generale delle forze d’invasione (di nuovo, resta ignoto il suo nome) per avvicinarsi a lui durante un’esecuzione presso il banchetto nel padiglione di Chokseongnu, riuscendo a trascinarlo eroicamente giù dai bastioni del castello, per affogare assieme a lui nel fossato sottostante.
Una scena tragica che in qualche modo riprende il destino di un popolo di Corea, più volte invaso e condizionato dalle aspirazioni delle potenti nazioni al di fuori dei suoi confini. Ma che non avrebbe mai abbandonato la salvaguardia delle proprie usanze maggiormente distintive e rappresentative. Senza alcun timore di ricorrere alle armi, quando necessario.

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