La palude sotto assedio, il canneto, il carro anfibio che combatte l’invasione dei fragmiti

A prima vista una visione infernale, l’assoluto e totalizzante disastro generato dal disinteresse nei confronti della natura. Come descrivere, altrimenti, una tale scena? Il guidatore del veicolo che afferra saldamente il volante, mentre letteralmente “drifta” allargando progressivamente quella che può essere soltanto descritta come una spirale. E dove passa, il fango viene compattato, l’acqua stagnante rimescolata ed ogni traccia di vegetazione spezzata, schiacciata, sminuzzata, completamente rimossa dal novero delle forme di vita vegetali. “Dannati ragazzini…” Si sente quasi esclamare l’orco incaricato di fare la guardia alla palude, le sue orecchie verdi prossime a tremare di rabbia: “Con i vostri… Ehm, qualunque cosa sia quell’arnese!” Poiché Shrek capisce, Shrek rinnega, ma Shrek non può conoscere gli eccezionali metodi forniti dalla tecnologia. Né le valide ragioni, dal punto di vista dell’odierna civiltà ecologista, per procedere talvolta alla più assoluta devastazione. Con il valore aggiunto che i primi, sempre più spesso, offrono una vita d’accesso conveniente alla seconda. Così che chiunque fosse sufficientemente folle o disinformato al fine di apprezzare questa sinergia, non dovrà far altro che osservare brevemente uno dei molti video pubblicati su Internet di tale marchingegno al lavoro. Sto parlando, molto chiaramente, del Marsh Master, i suoi cingoli, il suo motore. Un veicolo che nasce dal bisogno di affrontare un’ampia gamma di problemi. E che negli anni, da un semplice confronto tra le cause e gli effetti, si è trovato strettamente associato a uno specifico problema e quello soprattutto, più di qualsiasi altro. Sto parlando del trasferimento accidentale di una particolare ed indesiderabile forma di vita. La dimostrazione pratica che se già normalmente il troppo di un qualcosa è un segno che le cose sono sconfinate verso la probabile creazione di un problema, sarà poi l’esagerato propagarsi di quest’ultimo, a portare all’assoluta degenerazione delle circostanze. Immaginate voi, a tal proposito, cosa può succedere all’amato acquitrino, luogo riproduttivo per innumerevoli forme di vita acquatiche, e punto di sosta per gli uccelli migratori, nel momento in cui venisse ricoperto da un fittissimo, tutt’altro che biodegradabile ed impenetrabile tappeto. Quello composto, per l’appunto, dello stesso tipo di materiale che in Europa si usa frequentemente per coprire tetti, recinzioni o gazebi. Il Phragmites australis, cannuccia di palude o come lo chiamano da queste parti, il phrag, incubo che non conosce la parola “fine”.
Queste parti che poi rappresenterebbero, se non fosse ancora chiaro, gli spazi rurali contenuti nel sottile continente tra l’Atlantico e il Pacifico, quel Nuovo Mondo che cionondimeno, ha continuato ad essere condizionato dai vecchi problemi. Come razionalizzò per primo John B. Coast, inventore ed appassionato cacciatore d’anatre dell’area di Los Angeles nel 1971, nonché detentore dei brevetti e futuro fondatore dell’azienda Coast Machinery, LLC. Quando per scommessa con gli amici ebbe l’iniziativa di progettare e costruire una piccola ma efficiente buggy di palude idrostatica, il tipo di veicolo capace di raggiungere tutti quei luoghi troppo umidi per una comune 4×4, ma anche troppo asciutti per qualsiasi tipo d’imbarcazione. Ci sarebbero voluti tuttavia ben nove ulteriori anni, affinché la sua indole naturalmente imprenditoriale giungesse ad elaborare la versione commerciale di un simile apparato. Costruita su una scala operativa e con finalità totalmente diverse, rientrando a pieno titolo nella categoria dei tool carriers (portatori d’attrezzi) ovvero piccoli bulldozer modulari concepiti per portare a termine un’ampia serie di possibili mansioni. Con una significativa differenza, rispetto a quelli di tipo convenzionale: la capacità di continuare a muoversi attraverso qualsiasi tipo di terreno e addirittura le possibili ed altresì variegate circostanze, in cui quest’ultimo lascia il posto ad acqua pura, chiara e solamente quella. Potendo fare affidamento alla più valida delle soluzioni progettuali: un paio di notevoli e infallibili galleggianti. Quanto esce dalle sue catene di montaggio, d’altra parte, rappresenta la più perfetta realizzazione di un’idea: dominare la natura il che significa distruggerla, talvolta. Perché possa crescere di nuovo, più forte, incrollabile ed incontaminata di quanto potesse essere mai stata in precedenza…

Generalmente non velocissimo, il Marsh Master riesce a mantenere soltanto una frazione dei normali 9-12 Km/h una volta che si trova completamente in acqua. Il che è comunque molto più di quanto offerto da ogni alternativa possibile (i.e. nessuna)

Un Marsh Master rappresenta, in altri termini, più che altro il concetto in termini assoluti di una piattaforma. Ovvero soluzione veicolare, più che mai versatile, atta ad assolvere ad un ampio ventaglio di mansioni. Molte delle quali vengono esemplificate nella sua brochure dimostrativa, in cui si elencano i diversi tipi di attrezzatura collegabili ai suoi agganci multipli e adattabili, posizionati davanti e dietro lo scafo principale. Orpelli dall’aspetto spaventoso come il roller chopper, un rullo costellato di lame taglienti usato per sminuzzare, distruggere ed annientare ogni traccia cannucce di palude, ma anche altre piante potenzialmente native pur continuando ad essere indesiderate, vedi la tifa, stiancia o cosiddetta cattail (Typha latifolia). Ovvero tutto ciò che ha l’abitudine di cresce e di propagarsi a dismisura, giungendo a costituire un ostacolo lesivo ai meriti inerenti della biodiversità, ulteriormente gestibile attraverso un particolare tipo di lama simile alla parte frontale di un bulldozer (MM2-LX vegetation blade) o l’equivalente direzionabile nonché potenziato di un comune apparato per il taglio dell’erba (MM-LX cutter). Per una rassegna del catalogo che prosegue con l’impianto antincendio, particolarmente utile al seccarsi estivo dei succitati fragmiti, completo di pompa direzionabile ed un serbatoio opzionale in aggiunta a quelli contenuti nei galleggianti del veicolo, capace di riempirsi autonomamente dall’acqua di palude sottostante. Per non parlare del sistema simile impiegato d’altra parte per l’applicazione preventiva del diserbante, un approccio potenzialmente rischioso ma capace di condurre a buoni risultati, almeno quando implementato responsabilmente e da persone altamente specializzate. Molto più specializzato riesce ad essere di contro ogni allestimento dotato di aratro motorizzato per lo scavo di canali d’irrigazione o possibili passaggi di collegamento per la fauna dell’acquitrino. Mentre maggiormente utili all’amministrazione di risorse e strutture prettamente umane, possiamo definire gli strumenti come la benna idraulica o la vera e propria gru estensibile, oltre al trapano di trivellazione o la sonda per il carotaggio. Il Marsh Master viene d’altra parte fornito anche in una versione più piccola (4,2 metri di lunghezza contro 4,6) e priva del sistema d’aggancio per i suddetti attrezzi, pur risultando potenzialmente utile tramite l’inclusione di piattaforme di trasporto o persino la Slick Sled (marchio registrato) una vera e propria chiatta trainabile capace di trasportare fino a una tonnellata e mezzo di materiali. Abbastanza per poter iniziare a gettare le fondamenta di qualsiasi struttura in luoghi precedentemente inaccessibili mediante l’uso di metodologie convenzionali.
Ma la vera via d’accesso alla celebrità del Marsh Master, ed il conseguente successo economico della sua azienda produttrice, sarebbero giunti con la progressiva inclusione nel novero dei mezzi usati dall’amministrazione pubblica, soprattutto negli stati del Sud, al fine di gestire e controllare eventuali situazioni di sofferenza o pericolo all’interno delle proprie più importanti paludi. In luoghi come la Louisiana, l’Arkansas e il Mississippi, dove il budget relativo ha ormai da tempo permesso il propagarsi di una simile soluzione, ampiamente in suo presso numerosi comunità, luoghi turistici e riserve naturali. Mentre soltanto in anni più recenti, i Marsh Master avrebbero iniziato a comparire anche negli stati più a settentrione, come nel progetto dall’alta risonanza mediatica del loro impiego nel grande Salt Lake dello Utah a partire dal 2015, con un successo comprovato nella riduzione e rimozione dei fragmiti. Ma soprattutto, la loro distruzione e sminuzzamento dopo l’applicazione del diserbante, un passaggio niente meno che essenziale al fine di liberare spazio utile al desiderabile ritorno delle specie vegetali native. Caso certamente più isolato, ma non meno meritevole di menzione, risulta essere quello settentrionale verificatosi lo scorso 18 agosto nell’estremo settentrione statunitense del Minnesota presso la contea di St. Louis, quando un’imbarcazione con due persone aveva finito per restare bloccata nel bel mezzo di un’impenetrabile canneto. Portando ad un secondo scafo inviato dall’ufficio dello sceriffo a subire la stessa sorte, almeno finché una seconda squadra, dotata del pluripremiato sistema anfibio di John B. Coast, non ha provveduto a porre un valido rimedio alla situazione. Risolvendo prontamente quello che poteva diventare, di lì a poco, un serio quanto irrisolvibile problema.

L’impiego della benna idraulica montata posteriormente consente la risoluzione di una vasta serie di contingenze. Vedi la demolizione, spesso tristemente necessaria, delle dighe troppo grandi costruite dai castori.

Dispositivi non propriamente a buon mercato, ma capaci certamente di durare nel tempo, i Marh Master rappresetano così ad oggi un investimento sempre più frequentemente inserito dalle amministrazioni pubbliche americane incaricate di gestire zone limitrofe ad acquitrini o paludi. Poiché non è mai possibile sapere, in effetti, quanto presto o quanto spesso ci si troverà a dover ricorrere alle loro particolari capacità veicolari, tali da portare a impallidire persino l’asino ed amico del buon vecchio Shrek, possibile cavalcatura consumata di questo impercorribile ambiente naturale. In aggiunta alla gestione quotidiana di quel tipo di esseri vegetativi indesiderati, che dopo aver esaurito ogni risorsa tendono a seccarsi e deperire. Per poi ardere sotto la luce solare dell’estate, con conseguenze assai più distruttive di qualsiasi trattore. Ed è questa, in ultima analisi, l’unica chiave di lettura possibile della faccenda: distruggere per proteggere. Annientare, permettendo la rinascita. Di ciò che il mondo aveva previsto, in origine, per simili ambienti naturali. Prima che giungessero quei semi alieni trasportati dalla mano fin troppo operosa, e perciò del tutto imprescindibile, dell’uomo.

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