Il canto ipnotico delle donne alle origini del grande filo di Scozia

Uomini coraggiosi, naviganti esperti, pescatori consumati. Per coloro che ogni giorno visitavano i recessi ondosi del Mare del Nord, al largo delle Ebridi Esterne, la storia aveva riservato una particolare uniforme. Capace di garantire al tempo stesso protezione dalle intemperie e un apprezzabile ricordo di quel mondo al di là delle distanti coste, capace di spronarli a mantenersi sani e salvi fino alla stagione del proprio stanco ritorno. E composta delle giacche, i cappelli e i guanto fatti di quel materiale ineccepibile chiamato in lingua gaelica clo mor; stoffa “grande” o “forte” a seconda del linguista interpellato sul significato delle parole. Un panno tanto impermeabile quanto isolante, morbido eppure resistente, sostanzialmente indistruttibile da parte di qualsiasi fattore atmosferico ed esterno. Tanto che sarebbe stato lecito, dal punto di vista di noi moderni, dubitare che fosse ancora effettivamente il frutto del pelo della pecora, sostanza alla base di tanti indumenti moderni, tuttavia dotati di una misera frazione di quella possenza. Vedi l’apprezzata pura lana vergine, per cui basta un lavaggio alla temperatura inappropriata, oppure col pH dell’acqua troppo alcalino, o ancora un’asciugatura inappropriata dopo aver preso la pioggia, per andare incontro alla rovina difficilmente rimediabile del cosiddetto infeltrimento, causando l’aderenza e sovrapposizione delle fibre dai fili a scaglie, con conseguente compattatura e solidificazione delle stesse. Un ammasso che… Non veste, non abbellisce, non produce più alcun senso duraturo di decoro. Eppure… Strano a dirsi: quest’idea omni-pervasiva che le cose Funzionali possano non essere anche Belle, in maniera chiara ed innegabile, è una fondamentale derivazione dei tempi moderni, tanto che già all’epoca degli antichi Romani l’infeltrimento intenzionale della lana veniva praticata da un’intera classe professionale di schiavi e liberti, presso gli istituti chiamati fullonicae, di cui 39 esempi sono stati collocati a Pompei prima dell’eruzione di quel fatale 79 d.C. E la tradizione avrebbe avuto seguito, nella successiva epoca medievale, in tutto il territorio europeo incluse le isole inglesi, se è vero che a quest’epoca risale il detto “Essere [come] sospesi a un tenterhook” riferendosi a chi si trova paralizzato dall’incertezza come in un certo senso, i tessuti infeltriti e posti a tendersi per evitarne l’eccessivo rimpicciolimento sull’omonima struttura lignea simile a una cornice. Prima ancora e coerentemente all’invenzione di una simile tecnologia, e sicuramente anche dopo per l’effetto delle possenti convenzioni sociali, in quelle terre settentrionali di Scozia ed Inghilterra, inclusa l’isola di Man, continuò ad essere messo in atto un metodo altrettanto valido nel raggiungimento di un simile scopo. Benché richiedesse un impegno pratico decisamente superiore, assieme alla sapienza e dedizione tramandata lungo innumerevoli generazioni di nonne, madri e figlie. Quel sistema gestito collettivamente del waulking (follatura) in cui tempi e modalità venivano dettati dal canto collettivo di specifiche narrazioni, talvolta festose, certe altre malinconiche o tristi, così come erano soliti fare durante le proprie operazioni quegli stessi marinai al di là del mare, destinati ad indossare il valido prodotto di una tale perizia tessile acquisita nel corso degli anni trascorsi.
La tipica canzone scozzese in lingua gaelica utilizzata durante la follatura possiede perciò una struttura ben precisa, così come il piano logico della sequenza necessaria a poter dire compiuta l’impresa, che prevede la battitura sistematica del panno, precedentemente immerso in acqua e liscivia al fine di predisporre la desiderabile trasformazione. Con una capofila, generalmente la donna più anziana e venerabile, che espone la strofa iniziale, affinché le altre partecipanti comunitarie possano rispondere secondo le modalità di un canone già largamente acquisito. Tali canti, che parlavano spesso di amori più o meno corrisposti, lunghi viaggi, celebri leggende o le gioie della vita famigliare venivano perciò scelti in base al vezzo del momento, sebbene esistesse una precisa regola che non poteva mai essere violata: la ripetizione di un brano nel corso di una singola sessione avrebbe, infatti, suscitato l’ira delle Ioireag, esponenti del popolo fatato che si riteneva giungessero al fine di osservare durante lo svolgimento del lavoro. Il che fu alla base della progressiva differenziazione ed il conseguente accrescimento di un canone ancora oggi mantenuto vivido e vibrante…

Una notevole scena di follatura compare nella serie del 2014 Outlander, in cui un’infermiera della seconda guerra mondiale viene trasportata inspiegabilmente nella Inverness del 1743. Dove giungerà ben presto a conoscere, ed amare, un guerriero delle Highlands scozzesi.

La follatura delle isole Esterne, prima ancora dell’importazione delle razze di pecore dal muso nero di tipo Valois, a seguito dei commerci con il continente ed il resto dell’arcipelago inglese, partiva dunque sempre da una serie di gesti e passaggi estremamente precisi. Per prima cosa, l’animale oggi identificato con il nome di Scottish Dunface (faccia-marrone di Scozia) veniva rigorosamente tosato, ed il suo pelo preziosissimo lavato attentamente in una soluzione a base di acqua e crusca, talvolta con l’aggiunta di sapone. Una volta rimossi i grassi e gli oli naturali contenuti in esso, si procedeva alla preparazione per la tintura mediante sostanze di derivazione per lo più vegetale, un passaggio compiuto mediante l’impiego di copiose quantità di urina. Sostanza giudicata tanto indispensabile alle procedure di lavorazione tessile, che già dall’epoca Romana veniva sottoposta ad una tassazione particolarmente severa. Mentre secondo le tradizioni successive di queste terre al di là del vasto Impero, costituiva un fluido sacro definito maistir, con possenti capacità apotropaiche oltre che tecniche, nonché la capacità di mantenere lontani gli spiriti del male. Così l’urina di vacca veniva cosparsa sulle porte durante la notte d’Ognissanti, mentre si diceva che una certa quantità di essa disposta lungo il sentiero potesse intrappolare le sirene giunte a riva con la risacca, impedendogli in quel modo di rapire i bambini. La stessa coloratura della stoffa favorita grazie all’uso della magica sostanza possedeva un significato particolarmente importante, con il numero di tonalità utilizzato al fine d’identificare il futuro recipiente del tessuto: un colore per i servi, due per i coltivatori, tre per i possidenti terrieri, quattro per le personalità politiche e così via fino a sette, riservati unicamente alla famiglia del Re. Tale gerarchia di successivi gradi di subordine, tuttavia, non pregiudicava idealmente la perizia usata nei passaggi successivi, sempre ugualmente utile a creare una lana che fosse al tempo stesso non permeabile e resistente, benché molto più piccola della materia prima di partenza. L’artificio conseguente da compiere includeva perciò la delicata operazione di cardatura, effettuata originariamente a mano con semplici bastoni ed assi di legno appositamente forate, prima della tessitura mediante l’impiego di un piccolo telaio chiamato bearst bheag. Il pezzo di stoffa risultante, più o meno grande a seconda dell’utilizzo per cui era stato creato, veniva a questo punto nuovamente bagnato e qualche volta, riscaldato in una pentola posta sul fuoco. Poco prima di prepararsi alla complessa serie di battiture, vibrate sul tavolo rigorosamente ligneo e con le proprie stesse mani, secondo i tempi dettati da un ritmo sincopato e sempre uguale. La decana si occupava, a questo punto, del calcolo di quante canzoni sarebbero state necessarie al fine di completare il lavoro di giornata, preparando conseguentemente il suo repertorio. Significative variazioni nel testo erano concesse, così come l’inserimento ad arte di vocalizzazioni come “ho ro i o” o altri versi ritmicamente sincopati. Alcune canzoni, vedi il caso della celebre Long Èireannach (La nave irlandese) erano particolarmente aperte per loro natura, con la possibilità d’inserire nel testo il nome di tutti i rispettivi spasimanti delle donne partecipanti all’atto della follatura. Il quale, da mansione particolarmente ripetitiva e gravosa, finiva così per trasformarsi in un’occasione di festa, in cui tutte le partecipanti (o quasi) avevano l’occasione di divertirsi e dimenticare momentaneamente i problemi, andando con la mente verso i propri cari impegnati in ardui compiti lontano dal villaggio natìo. Esemplificativo, a tal proposito, l’esempio della canzone An Gille Donn (Il ragazzo dai capelli castani) che parla di un giovane mandato a combattere “Per la gloria di Re Giorgio in Olanda” (si tratta probabilmente della prima guerra mondiale) ma non potrà più ritornare dalla sua amata, essendo destinato a morire laggiù. In altri casi il testo era più lietamente un’invocazione rivolta all’amata coadiuvati dai temi marinareschi dei canti a cui ci s’ispirava, vedi Nighean Dubh, Nighean Donn (La donna dai capelli scuri, la donna dai capelli marroni) o una semplice descrizione poetica e leggiadra della procedura in corso di svolgimento, nella maniera memorabile del corto brano Tha Mo Bhreachdan Dubh fo’n Dìle (il mio panno è bagnato).

Razionale e priva di un carattere implicito, la tecnologia giunge spesso con la dote di spoetizzare la antiche usanze. Non c’è ragione, tuttavia, per cui una lavorazione tessile priva di canzoni debba diventare tristemente o necessariamente formale… Di sicuro, richiederà molte meno ore.

La preparazione e successiva follatura della lana di Scozia fu perciò per lunghi anni, a partire dall’epoca del tardo Medioevo fino agli albori della Modernità, una preziosa risorsa pratica ed altresì economica, grazie al redditizio commercio che ne veniva fatto finanche ai territori posti al di là del mare. Un primato che sembrava destinato a deperire con l’introduzione progressiva in tutto il territorio europeo della grande ruota di cardatura o muckle wheel nel XIX secolo, che proponeva un approccio maggiormente pratico e funzionale alla creazione di lana pronta per eventuali processi successivi d’infeltrimento. Almeno finché durante la prima decade del XX secolo a una particolare famiglia delle Isole Ebridi Esterne, gli Harris, non venne in mente di creare un fondamento d’eccellenza ed il relativo marchio di fabbrica, che sarebbe diventato in vasti territori un importante sinonimo funzionale di questi luoghi remoti: il tweed a spina di pesce, da una probabile interpretazione erronea del termine gaelico tweel, che significava letteralmente “diagonale”. Il quale forse non avrebbe più soddisfatto i requisiti di resistenza e versatilità ricercato dai loro insigni antenati, ma soprassedendo al severo passaggio della follatura presentava una stoffa di qualità tanto elevata da rivaleggiare con quella dei più rinomati opifici del continente.
Così questo nuovo approccio alla questione, protetto ufficialmente dall’Ufficio del Commercio Inglese soltanto a partire dal 1993, avrebbe finito per costituire l’altro capo i quel lungo filo, per certi versi inaspettato e taluni altri inevitabile, nella lunga e complicata matassa della storia scozzese. In cui soltanto gli obiettivi restano gli stessi, mentre cambiano, attraverso i lunghi giri della ruota, le innumerevoli modalità possibili per portarli fino alle loro più estreme, e molto spesso assai desiderabili conseguenze.

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