Il mondo al contrario di un ponte su cui passano le navi

Se esiste nel novero delle realtà possibili un cuore umido d’Europa, questo luogo è quanto di più prossimo ad una versione perfettamente tangibile di tale idea: il centro esatto d’Olanda, in mezzo a una propaggine marina, che un tempo era un golfo ma oggi potremmo lietamente definire “penisola dello spazio negativo”. Nella provincia perfettamente visitabile che trova la collocazione ad est della città di Amsterdam famosa per essere stata, in epoca Romana, più che altro un lago. Finché il mare, attorno al XIII secolo, non superò lo stretto istmo sabbioso riunendo le acque ondeggianti, per sottrarre all’uomo un’area relativamente vasta del suo territorio. Ma da lago Flevo a Flevoland, come afferma un proverbio, il passo è relativamente breve… Almeno se si è giunti nel frattempo all’epoca del Novecento, quando le moderne tecnologie per il reclamo della terra emersa ormai consentono l’agevole costituzione del cosiddetto polder, ovvero l’area costiera sottratta alle moto delle maree, grazie all’impiego di barriere, dighe o terrapieni artificialmente messi dove più se ne sentiva il bisogno. Tra cui il maggiore di tutti, nonché una delle principali isole artificiali al mondo, risulta essere con i suoi 2.400 metri proprio questo, incuneato tra la popolosa Frisia, l’Overijssel e la municipalità Utrecht. E per questo strettamente interconnesso alla terraferma, mediante l’impiego di una serie di ben sei ponti e viadotti più il significativo esempio di un qualcosa di simile… Ma diverso. Gli accurati piani d’analisi per la viabilità condotti attraverso le ultime generazioni erano infatti giunti a constatare come, per la cittadina posta a meridione di Harderwijk, la realizzazione di un ulteriore passaggio levatoio verso il polder avrebbe potuto costituire un vantaggio di tipo economico e ridurre il traffico degli attraversamenti più vicini. Costruzione ipotetica perfetta sotto ogni punto di vista, tranne uno: la maniera in cui tale sentiero sarebbe stato, per la grande quantità di approdi e porticcioli circostanti quel sito noto come Veluwemeer o “lago di confine”, praticamente sempre inaccessibile perché sollevato. Passano quindi gli anni, fino al relativamente recente 1998, quando a un consorzio costituito dalle amministrazioni regionali locali e sotto la guida dell’ente per la gestione delle acque e i lavori pubblici Rijkswaterstaat capitò di giungere a porsi un’osservazione, seguìta da una domanda: “Se le imbarcazioni hanno un’altezza estremamente varabile, dovuta alla possibile presenza di alberature e vele, lo stesso non può dirsi delle automobili. Perché allora, non facciamo passare sotto quest’ultime, invece?” Insolito, senz’altro. Funzionale, difficile negarlo. Come possiamo chiaramente osservare oggi posando lo sguardo sulla situazione in essere dell’Aquaduct Veluwemeer completato nel 2002, una delle opere civili più strane e al tempo stesso sottilmente eleganti di un’area geografica nota proprio per le sue soluzioni urbanistiche notevolmente fuori dagli schemi. Che potrebbe sembrare, vista dal satellite, una sorta d’illusione ottica o miraggio, almeno finché non si assiste allo spettacolo di un autotreno ed un traghetto che, allo stesso tempo, sembrano incrociarsi presso i punti sovrapposti di un possibile spazio astrale…

La costruzione di un acquedotto stradale inizia sempre con l’isolamento dell’acqua mediante l’uso di strutture temporanee, concettualmente non dissimili dall’opera provvisoria dei ponti. Benché la finalità ultima dei due lavori non possa essere, in effetti, maggiormente diversa.

Di nuovo il riferimento all’epoca del regno antico e ancora una volta alla civiltà architettonica e le iniziative monumentali dei Romani. Tanto che non è poi tanto concettualmente distante in linea di principio, una tale costruzione in essere, da quella di un ancestrale “ponte acqueo” per il trasferimento del prezioso fluido trasparente dalle polle dei luoghi elevati fino alla città in pensierosa attesa. Se non che ogni aspetto della sua costruzione ad opera della società di consulenza ingegneristica Grontmij Maunsell risulta essere concepita, per quanto possibile, al fine di permettere il passaggio delle navi. Con una metodologia che potremmo definir difficile da rintracciare, se non fosse per l’esistenza di un pratico video in CG, creato nel 2015 in relazione ad un altro ponte-acquedotto locale situato ad ovest, quello di Vechtzicht che passa sopra l’autostrada a ben sette corsie tra Vecht e Muiden. Che risulta essere anche più lungo con i suoi 620 metri d’estensione, al punto da poter assomigliare maggiormente a un tunnel sotto un piccolo tratto di mare, se non fosse per il modo in cui esso preveda, tra le volte cementizie e l’azzurro del cielo, uno strato di appena 2,5/3 metri di profondità acqua; non moltissimi in senso generale, ma abbastanza per il suo particolare luogo d’impiego. Interessante notare anche l’esigenza, mantenuta al centro del progetto, di mantenere il corso d’acqua sempre navigabile anche durante la costituzione del cantiere, al fine di non compromettere la fondamentale viabilità navale di questo punto di passaggio al centro d’Olanda. Ragion per cui la posa dei 5.300 pali metallici di stabilizzazione per le fondamenta della struttura, idealmente capaci di coprire complessivamente un’estensione di oltre 90 Km se messi in fila uno di seguito all’altro, era stata effettuata a partire dal 2013 lavorando prima su una metà e quindi sull’altra della sua larghezza complessiva di 65 metri, avendo cura d’isolare attentamente l’eventuale straripamento delle acque oltre l’area definita dall’uomo. Il che non ha d’altronde limitato significativamente l’efficienza nella colata complessiva di 57.000 metri quadri di calcestruzzo, accuratamente reso impermeabile mediante la compattatura degli strati. Ma non prima che i pali stessi, al fine di garantire l’ottimizzazione del processo, fossero stati infissi nella nuda terra mediante una tecnica denominata vibrocombipalen, consistente nell’inserimento di un tubo a relativa colatura di cemento tra il suo involucro e la struttura successivamente permanente, affinché alla rimozione dell’involucro esterno, quest’ultimo potesse penetrare tra il sostrato, ancorando in modo niente meno che ottimale l’intera struttura di sostegno.
Una prova, senz’altro encomiabile, della nota propensione olandese alle opere di significativo ingegno. Come quella compiuta per l’appunto all’inizio del secolo scorso sotto l’importante guida di Cornelis Lely, l’eclettico politico e ingegnere (1854-1923) che rese possibile, grazie al lavoro di una vita, la costruzione dei Zuiderzeewerken ed i relativi polder, tra cui quello di Flavoland. Il cui sguardo da un diverso stato dell’esistenza, se possibile, oggi non potrebbe fare a meno di constatare i meriti dei posteri ulteriori, tanto abili nell’impiegare e mettere a frutto la sua complicata eredità.

Camion dei pompieri si occupano di rimuovere l’acqua piovana precipitata nel sottopassaggio del Veluwemeer, necessità probabilmente tutt’altro che rara. “Bello!” Esclama qualcuno nei commenti all’acquedotto con la strada sotto: “Ma non trovate anche voi che sia decisamente poco pratico, talvolta?”

E se il tempo dimostrerà la continuativa efficienza del sistema, come è sempre capitato fino ad ora in quei contesti ingegneristici, ulteriori strutture simili continueranno a comparire tutto attorno, sopra e sotto l’area dell’unico paese in buona parte posto sotto il livello del mare. Per il cui popolo è una propensione del tutto naturale, lasciar correre le acque sopra il segno delle strade con gli autoveicoli in costante processione. Perché all’acqua, non importa; come altrettanto fluida riesce ad essere la sua forma. E quindi, dopo tutto, per quale rigida ragione non dovremmo tentare di approfittarne?

Lascia un commento