Le profonde radici di Macquarie, isola che perfora la crosta terrestre

Esattamente in corrispondenza dei Cinquanta Ruggenti, latitudine superiore persino a quella di Capo Horn per forza, imprevedibilità e pericolosità dei venti, c’è un punto in cui le correnti deviano ed il flusso d’aria subisce un’improvvisa suddivisione. Tutto questo in forza di una terra emersa lunga 35 Km, la cui collocazione corrisponde grossomodo al punto intermedio tra i due continenti d’Australia e dell’Antartide, ove le foche prendono il sole, i pinguini si moltiplicano e gli uccelli migratori si fermano per riposare. Il suo nome: Macquarie, da quello del governatore del Nuovo Galles del Sud al momento della sua scoperta, nel 1810. Eppure, per una volta, non è la popolazione di questi ultimi a ricevere le principali attenzioni del mondo scientifico, benché in questi luoghi sia presente la minaccia di popolazioni di ratti e conigli portati qui due secoli fa dai cacciatori di balene. Bensì la natura geologicamente unica di questo luogo, la cui stessa formazione, per un tempo quasi equivalente, ha saputo sfidare le principali ipotesi dagli scienziati del settore. Collocata in corrispondenza della dorsale oceanica all’incontro tra le placche Indo-australiana e quella del Pacifico, l’isola sembrava totalmente priva di attività vulcanica o tellurica tale da lasciar emergere il suo suolo, di composizione lavica, oltre i 2 Km di oceano che si estende verticalmente tra il fondale e la superficie. Almeno finché non si ebbe l’occasione di scoprire, sotto lo strato di sedimenti risalenti al Miocene (23-5 milioni d’anni a questa parte) formazioni rocciose perfettamente in linea con l’aspetto dei cosiddetti basalti a cuscino, spesso associati alla formazione di un’ofiolite. Dicesi affioramento roccioso spinto dalle inusitate pressioni sotterranee, attraverso letterali migliaia di secoli, fino a materializzarsi la ove potesse, in qualche modo, raccogliere la luce dei cieli. Il che significa, in altri termini, che questo luogo è il probabile prodotto dello stesso mantello terrestre, ovvero uno dei pochi luoghi in cui è possibile osservare con i propri occhi le viscere stesse, crudelmente esposte agli elementi, della nostra Terra generatrice.
Le implicazioni di tutto questo, in prima analisi, potrebbero non risultare evidenti. Simile per composizione paesaggistica ed elevazione alla vicina Tasmania, benché totalmente priva di vegetazione ad alto fusto a causa del suo clima rigido e il continuo battere dei venti, l’isola presenta per le menti interessate l’occasione di studiare da vicino l’effettiva composizione degli strati sottostanti all’involucro geologico sopra il quale, normalmente, siamo soliti poggiare i nostri piedi. Con una varietà di tipo geologico capace di mostrare, a profondità zero, rocce normalmente rare come particolari formazioni di doleriti, troctoliti, harzburgiti, duniti e peridotiti, normalmente parte di un colonna sotterranea irraggiungibile senza l’impiego di trivelle. Il che ha giustificato, a partire dal 1997, all’iscrizione di un simile luogo all’elenco dei patrimoni naturali dell’UNESCO, anche grazie ad una rara conservazione pressoché perfetta dello spazio geologico, soprattutto causa la collocazione remota e irraggiungibile di questo luogo. Attenzione certamente non intenzionale, e d’altra parte, incapace d’estendersi all’effettiva sopravvivenza dei suoi più antichi, pennuti abitanti…

L’unica varietà paesaggistica dell’isola di Macquarie deriva dalla palude di torba chiamata featherbed, nascosta oltre i promontori che proteggono l’entroterra dai potenti venti dell’oceano. Per il resto, chiunque abbia intenzione di abitarla anche per un tempo breve, farà bene a trasportare fin qui i propri materiali da costruzione.

Capace di sorprendere ed entusiasmare fin da subito l’esploratore Frederick Hasselborough e i suoi seguaci, in cerca di nuovi sbarchi d’approdo per la loro attività di cacciatori di balene, l’isola diventò quindi per l’intero XIX secolo una meta pressoché obbligata nel corso delle spedizioni verso i più remoti mari del Sud, per una quantità stimata di 144 vascelli, 12 dei quali naufragarono su queste coste inaspettate. Macquarie del resto, come singolo caso di peridotite nel mezzo dell’oceano al mondo intero, non presenta alcuna traccia di terra emersa in posizione ragionevolmente prossima, offrendo l’occasione rara di fermarsi e far rifornimento in quella che potremmo definire, a priori, un’idilliaca dispensa della natura. Per lo meno fino a quanto, in modo inevitabile, i topi presenti sulle loro navi non sbarcarono colonizzando questo luogo, il che avrebbe portato in tempi brevi alla liberazione intenzionale di gatti sull’isola, per allontanare i roditori dalle imprescindibili riserve alimentari umane. Il che avrebbe condotto, in breve tempo, all’inevitabile condanna d’innumerevoli colonie aviarie, i piccoli fagocitati, l’uno dopo l’altro, dai famelici predatori felini. Ben più difficile risulta rintracciare, d’altra parte, l’origine della catastrofica infestazione di conigli e il rallo australiano weka (Gallirallus australis) che fino a un paio di decadi fa stavano consumando con trasporto la maggior quantità delle macro-erbe costituenti l’unica vegetazione isolana, collaborando in questo modo con le forze implacabili dell’erosione, minacciando di far disgregare l’intero suolo tanto geologicamente rilevante. Almeno fino alla messa in atto, poco dopo la nomina alle liste dell’UNESCO, di uno dei più lunghi e maggiormente riusciti programmi di recupero e conservazione biologica, il MIPEP (Macquarie Island Pest Eradication Project) costato oltre 24 milioni di dollari e capace di riconsegnare, verso l’inizio degli anni 2000, l’isola al suo stato precedente al problematico e indesiderato intervento delle mani umane.
Dal remoto 1948, nel frattempo, l’attività di ricerca naturalistica e geologica aveva potuto trarre beneficio dalla stazione scientifica della Divisione Antartica del Dipartimento dell’Agricoltura australiano, utilizzata da quantità variabili di ricercatori e capaci di raggiungere i 40-50 individui nei periodi di maggior interesse, recentemente interessato da un completo programma di rinnovamento ed ampliamento, con conclusione prevista entro l’anno fiscale 2021-22. Attraverso un processo di consegna ed approvvigionamento dei materiali per condurre il quale, senza dubbio, sarà necessario superare non propri ostacoli di natura logistica ed ambientale. Il tutto, d’altra parte, ampiamente giustificato dall’occasione di acquisire una quantità di dati precedentemente considerati irraggiungibili sull’effettiva composizione a natura stessa del nostro pianeta.

Come parte del progetto MIPEP, alcuni cacciatori di conigli mostrano il perfetto addestramento dei loro cani. Talmente abili nel compiere il completo quanto necessario sterminio, da essere chiamati da uno di essi le vere e proprie “forze speciali SAS” del mondo animale.

Abbandonata a se stessa dalla coda di una serie di processi trasformativi la cui possenza possiamo soltanto tentare d’immaginarci, l’isola di Macquaire ha quindi continuato a esistere, sola e indisturbata, attraverso la marcia inarrestabile delle Ere. Almeno finché, in un’epoca del tutto imprecisata, quello che i primi esploratori chiamarono “un battello antico” approdò su queste coste, probabilmente condotto da visitatori di cultura Polinesiana. Ciononostante, finestre come questa in grado di mostrare il tipo di processi che conducono alla formazione spontanea di un’ofiolite, per di più di queste dimensioni, rimangono particolarmente rare, giustificando nei fatti ogni tipo d’iniziativa necessaria a preservarne l’essenziale e continuativa sussistenza. Chi può dire, infatti, tra quante migliaia di secoli avremo l’occasione di scoprire un qualche cosa di simile durante i nostri viaggi ed esplorazioni? E sopratutto, su quale dei molti possibili pianeti?

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