La leggendaria cascata di sabbia verso gli abissi dell’Oceano Indiano

Come un puntino dai margini frastagliati 550 Km ad est del Madagascar, la terra emersa di Mauritius sembra campeggiare nel mezzo ad un mare senza confini, affiancata dalla sua sorella più giovane, la  Île de la Réunion. Nella sua particolare conformazione paesaggistica, spicca a sud-ovest un massiccio basaltico alto 556 metri, situato in corrispondenza di una stretta penisola che per tanto tempo svolse la funzione di approdo sicuro e lontano dallo sguardo indiscreto delle autorità. Le Morne Brabant, è chiamato questo particolare rilievo, ma per gli abitanti di un tale luogo conserva l’antico nome di Promontorio della Libertà. Qui vissero, in segreto, numerose generazioni di fuorilegge, pirati e soprattutto gli uomini di mare di etnie africane, miracolosamente sfuggiti a una vita di schiavitù presso le colonie del Nuovo Mondo. Secondo una storia nazionale quindi, nel preciso momento in cui il primo febbraio 1835 la polizia dell’isola si recò in questo luogo per annunciare che l’antica legge che permetteva di possedere la vita di una persona era stata tardivamente abolita, una certa percentuale degli abitanti del posto si lanciarono giù dalla loro rupe e da lì, dentro il più profondo baratro che fosse mai stato osservato dall’occhio umano: come una voragine spalancata ad accoglierli, l’abbraccio lungamente desiderato della sempiterna e finalmente inviolabile libertà. Alcuni dicono, che i loro corpi stiano ancora cadendo, quasi due secoli dopo…
Perché in realtà la stessa definizione tanto spesso usata di “deriva dei continenti”, elaborata per la prima volta nel 1912 dal geologo Alfred Wegener, può stimolare l’immaginazione verso una direzione almeno parzialmente errata. Con queste enormi masse di terra e pietra che, spinte a vagabondare come altrettante zattere galleggianti sul magma sotterraneo, si spostano agevolmente sopra e sotto gli oceani, compenetrandosi l’un l’altra attraverso il processo di subduzione. Ma se la storia fosse realmente tutta qui, secondo la corrente interpretativa seguita dal maggior numero di fan, cosa accadrebbe nelle battute successive agli spazi originariamente occupati dai cinque protagonisti di questa danza? (che poi considerazioni politiche a parte, suddividendo le Americhe in Nord e Sud, dovrebbero essere sei) Voragini spalancate verso le viscere fiammeggianti, come spazi d’ingresso verso le regioni degl’Inferi dimenticati! Micro-universi dalla densità paragonabile al nucleo planetario di Giove… Questo sarebbe il tragico destino del fondale marino, se non fosse per il costante fenomeno, raramente discusso, dell’espansione delle dorsali. Ovvero questi materiali incandescenti, espulsi e mescolati ogni giorno per le fluttuazioni geotermiche al centro del nostro mondo, che emergono a pressioni persino superiori a quelle degli oceani. Per poi solidificarsi, spostando di lato il fronte stesso di ciò che viene comunemente chiamata una piattaforma continentale. Ecco perché abbiamo affermato che l’isola di Mauritius “sembra” trovarsi circondata dal nulla. Quando in effetti, il suo ruolo è contrassegnare una criticità d’importanza primaria, ovvero il bordo stesso di uno dei componenti generativi dell’intero sistema sotterraneo globale. O per essere più precisi, quello che un tempo dominava l’intero meridione del mondo, sorgendo sul cosiddetto pianoro delle Mascarene, l’ultimo frammento residuo del super-continente Gondwana, unione delle masse che oggi costituiscono Sud-America, Antartide, Africa, Australia e la penisola indiana.
Abbandonando ogni indugio proviamo, quindi, a gettare lo sguardo oltre il margine estremo delle spiagge che permettono l’approdo verso Le Morne Brabant; coronate dalla superficie del mare più azzurro e trasparente che si riesca ad immaginare, al di sotto del quale è possibile scorgere linee chiaramente definite. Così mentre la mente fatica a comprendere ciò che sta osservando, d’un tratto appare chiara la cognizione di trovarsi correntemente sul bordo di un tavolo enorme. Mentre il fondale stesso, trascinato nel baratro dalla mera forza di gravità, sembra precipitare verso il vuoto teorizzato dagli estimatori del concetto di Terra piatta, oltre l’azzurro nulla ove nessuno, mai, potrebbe sperare di riuscire a spingersi. E ancora una volta, la verità è più complessa e stratificata di così…

Come appare evidente da questo video di ReubenMRU, l’altitudine raggiungibile da un drone telecomandato è l’ideale per apprezzare l’aspetto della cascata di terra. Mentre un punto di vista perpendicolare all’inquadratura, come quello offerto su Internet da Google Maps, compromette immediatamente l’effetto ottico della scena.

I blog sensazionalistici, i post sui forum thalassofobici e i tabloid inglesi l’hanno chiamata più volte “la cascata sommersa dell’isola di Mauritius” il che è sbagliato sotto diversi punti di vista. In primo luogo perché, se anche fosse ciò che in effetti sembra, ovvero il bordo stesso della piattaforma continentale, pur continuando a permettere l’esistenza a poche decine di metri di una terra emersa, essa dovrebbe aver raggiunto uno stato di equilibrio tale da limitare il trascinamento della sabbia e dei sedimenti, pena l’immediata disintegrazione di ogni confine passibile di essere segnato sulle mappe. E poi c’è il dettaglio fondamentale, tanto spesso e convenientemente tralasciato nelle trattazioni: il fatto che ciò che abbiamo fin qui discusso non ha, contrariamente alle apparenze, uno sviluppo principalmente verticale. Tale anomalia paesaggistica pur risultando infatti come conseguenza delle correnti generate presso il bordo del pianoro delle Mascarene, che vede il mutare di un dislivello di appena il 10-15% a uno spaventoso dirupo sottomarino profondo oltre 4.000 metri, non vede la presenza di quest’ultimo, a una distanza tanto ravvicinata nei confronti dell’isola soprastante. Pensateci: è la stessa logica a dimostrarlo. Se davvero ciò che stiamo osservando coi nostri occhi fosse il pendio stesso, le sue regioni più profonde dovrebbero trovarsi a chilometri dalla superficie dell’acqua. Dove notoriamente, la luce del sole non può assolutamente riuscire a penetrare. Ecco quindi che finalmente, ci stiamo avvicinando alla verità di questo arcano segreto dei fondali: che niente è come appare, sopratutto quando così intensamente cerca di sembrare tale, benché lo stesso concetto d’intenzione risulti, per le sue inerenti caratteristiche, difficile da applicare alla natura.
Stiamo parlando, per essere più precisi, di anamorfismo delle sabbie trascinate innanzi. Quel particolare gioco della prospettiva, tanto spesso ricercato in molti campi dell’arte, per cui è possibile scegliere un particolare punto di osservazione e decidere che l’immagine, quando fruita attraverso quello, sembri essere tridimensionale. In un caso specifico che tanto strettamente potrebbe essere accomunato all’opera dei nuovi pittori di strada, molto popolari online, che amano tratteggiare i confini di un apparente buco sulle strade o le piazze di tante città del mondo. Ma svariate figure della storia dell’arte, come il pittore olandese Hans Holbein il Giovane o Andrea Pozzo, autore dell’affresco sul soffitto della Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola in Campo Marzio a Roma, per non parlare dello stesso Leonardo da Vinci in alcuni dei suoi appunti, ci erano arrivati molto tempo prima di loro. Al fatto che, così come è possibile creare l’illusione della profondità su una tela o un affresco attraverso il gioco ottico della prospettiva, altrettanto percorribile è la strada che mira a stravolgere la percezione stessa di ciò che si trova dietro. Almeno, a patto che l’osservatore rispetti il rilevante “patto finzionale” di spostarsi nel punto d’osservazione predeterminato. Ma quando si sta parlando di un’illusione ottica vasta come il lato di un isola, e un piano lungo l’asse y che è il mare stesso, diventa in effetti più difficile sfuggire alla suggestione, che scegliere coscientemente di voler prendervi parte.

Già spostarsi a bordo di un elicottero, magari invertendo l’asse nord-sud dello scenario, permette di acquisire un quadro maggiormente realistico dell’intera questione. Le sabbie, piuttosto che precipitare nelle profondità, si allontanano verso il distante baratro, dove un giorno comunque, finiranno per precipitare.

Per quanto concerne l’effettivo spostamento orizzontale di una simile quantità di sedimenti, è possibile attribuire almeno in parte il fenomeno al moto successivo delle maree. Le quali, sollevandosi e ritirandosi in alternanza, non possono fare a meno di trascinare via una parte dell’isola la quale un poco alla volta, forma una sorta di rampa digradante che accresce in maniera ulteriore l’aspetto verticale dell’intera questione. Considerate a tal proposito che l’isola di Mauritius costituisce una delle terre emerse più giovani di questo pianeta, con “appena” 10 milioni di anni di storia e per questo, la quantità di suolo sufficientemente eroso dal diventare sabbia è relativamente contenuta. In funzione di questo e per l’assenza di un effetto gravitazionale a catena, la suggestiva cascata delle apparenze sembra rimanere cristallizzata nel tempo, in attesa che un fenomeno trasformativo, come un terremoto, cancelli in un attimo quello che il pittore incorporeo dei vasti paesaggi aveva in tanti anni accuratamente disegnato. Ecco perché la caduta della sabbia non è in realtà continua, né ingente come parrebbe ad un primo sguardo gettato al di là del mare. Se così fosse realmente, l’intera Mauritius sparirebbe nel giro di appena un paio di generazioni.
Confini nazionali al di là di quanto venga segnato sulle mappe, i margini delle piattaforme continentali hanno costituito per secoli oggetto di contenziosi territoriali tra le diverse potenze del globo. Questo perché la maggior percentuale dello sviluppo minerario marittimo di un paese, a partire dalle materie prime per poi passare, senza indugi, alla risorsa energetica degli idrocarburi, si svolge in acque formalmente internazionali, necessitando una regola di distinzione che sia più sofisticata del semplice “vince chi arriva prima”. E da un simile punto di vista, scenari evidenti di vicinanza del pendio continentale, come quello di un tale trascinamento di sabbia nell’Oceano Indiano, potrebbero costituire importante zone di riferimento a disposizione di una disciplina futura che possa definirsi, a tutti gli effetti, oggettiva. Il che apparirebbe forse più chiaro, se la reazione della maggior parte dei commentatori di Internet dinnanzi a una simile scena non fosse semplice confusione, seguita dal più puro e assoluto senso di meraviglia. Non che sia difficile, in ultima analisi, comprenderne la ragione!

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