Il ponte di pietra tra i due templi più elevati della Cina

Una costante di molte religioni della Terra è il concetto di una suddivisione verticale in base ai meriti, soprattutto nelle fasi dell’esistenza verso cui transitano le nostre anime o coscienze, una volta che il copro fisico ha esalato il suo ultimo respiro. E sebbene non esista una cognizione universale del bene sopra ed il male sotto, appare implicito nel nostro modo di ragionare che il cielo sia in qualche modo collegato alle gesta degli uomini nobili, mentre il sottosuolo sia dove hanno sede, in una forma o nell’altra, gli aldilà punitivi nei confronti di chi ha violato i princìpi del Karma, non si è adeguatamente Pentito, etc. Ed ecco perché, forse, in tutta l’area rurale del vasto entroterra cinese, i luoghi di culto appartenenti alle tre principali discipline spirituali del paese (Confucianesimo, Taoismo e Buddhismo) trovarono una costante collocazione sugli alti picchi ed in mezzo alle nubi, come raffigurato su innumerevoli rotoli dipinti, paraventi, ventagli ed altre immagini ormai entrate a pieno titolo nel nostro sentire globalizzato. Edifici o altre strutture votive che appaiono, in alternanza con gli alberi dalle conturbanti ramificazioni, sopra le linee curve ininterrotte capace di suggerire all’osservatore l’idea di evanescenti catene montuose sospese tra le nubi, in un mondo alternativo difficile da afferrare persino per la nostra poliedrica fantasia interpretativa. Luoghi come la regione del Guizhou, particolarmente celebre per aver ispirato, col suo paesaggio inusitato, il colossal cine-informatizzato di James Cameron del 2009, Avatar.
Ciò che distingue in modo particolare, tuttavia, il complesso di Faning o Fanjingshan (梵净山, unione di caratteri che si richiama in forma abbreviata al Monte del Signore dei Cieli Brahma) è la particolare configurazione dei suoi edifici, con il tempio propriamente detto, utilizzato per la prima volta durante la dinastia dei Song Meridionali (1127-1279) dai monaci appartenenti alla setta del Loto Bianco coadiuvato dalla surreale presenza di una coppia di santuari collocati su uno sperone roccioso soprastante, nei fatti punto più elevato del massiccio montuoso con la sua altezza di 2493 metri, definito talvolta “Un’isola di roccia metamorfica in un mare di formazioni calcaree”. Ma verso il quale ancor più spesso, troviamo attribuito il nome di Vecchia Cima Dorata, in funzione del ruolo fondamentale che essa riveste nell’articolata graduatoria dei toponimi buddhisti, subito sotto le Cinque Grandi Montagne e con una funzione per il mondo materiale che potrebbe risultare, sotto un particolare punto di vista, persino la più importante: ospitare il corpo fisico di Maitreya, reincarnazione futura del Buddha storico Sakyamuni, che dovrà far ritorno sul nostro pianeta in un’Epoca ancora indeterminata, per condurre coloro che sapranno accogliere il suo insegnamento verso l’estasi senza fine del Nirvana. Sorpassando, con un rapido balzo interdimensionale, i lunghi anni che persino i migliori tra noi dovrebbero trascorrere in Paradiso, poco sopra le nubi di un così irraggiungibile luogo, prima di poter raggiungere lo stato ancor più desiderabile del totale annullamento dell’Io. Perché già, a chi non piacciono le scorciatoie? Vedi, tanto per venire finalmente a noi, quella del sottile ponte di pietra che unisce i due piccoli templi, situati oltre il punto in cui la Vecchia Cima subisce una sorta di biforcazione, affinché gli 8.000 scalini necessari per raggiungerla non debbano trasformarsi, per i pellegrini maggiormente devoti, nella cifra ancor più impressionante di 16.000 (andata E ritorno!)

Luoghi di riposo nella nebbia, che accompagnano i viaggiatori verso il tortuoso sentiero verso la liberazione dello Spirito. Ma chi realmente, in un’epoca lontana, aveva avuto la misericordia d’ispirare coloro che edificarono queste arcane mura?

É stato determinato come l’edificazione dei molti santuari sospesi nella regione del Guizhou debba necessariamente aver trovato principio in un’epoca successiva al completamento della strada Zangke durante la dinastia Tang (639 d.C. ca.) arteria di collegamento fondamentale tra la regione dei bassopiani ed un così lontano regno tra i picchi montani, ove trasportare faticosamente i materiali necessari a onorare il Buddha nella maniera ritenuta maggiormente opportuna. Ciò detto, almeno nell’ultimo segmento che conduce alla coppia di tempietti della Cima Dorata, i monaci ed operai coinvolti devono necessariamente aver esibito una predisposizione naturale ad arrampicarsi almeno nella fase iniziale, antecedente al completamento dell’attuale lunga scalinata in pietra, che conclude immancabilmente qualsivoglia pellegrinaggio verso un così santo luogo. Benché almeno la parte iniziale del viaggio, per la fortuna di noi moderni, possa venire portata a termine mediante l’impiego di una pratica funivia, infrastruttura tutt’altro che rara in un paesaggio dalle persuasioni tanto marcatamente propense ad estendersi verso il cielo. Un altro elemento importante di questa particolare area del Fanjingshan può essere individuato nella formazione di roccia nota come Pietra a Fungo (蘑菇石 – Mogu-shi) particolare formazione carsica in grado di ricordare a una mente profana quelle dei cartoni animati di Chuck Jones, in corrispondenza della quale viene consigliato ai fedeli, abbastanza coraggiosi da recarsi fin qui in orario notturno o crepuscolare, di fermarsi a meditare sul proprio ruolo e condizione cosmica transitoria. Ciò in quanto, secondo il folklore locale, proprio il monte Fanjing sarebbe il luogo presso cui è solito manifestarsi con maggior frequenza il cosiddetto “Alone di Buddha” una sorta di bagliore notturno stranamente rassomigliante alla forma umana del Salvatore d’Oriente, seduto a gambe incrociate, possiamo soltanto presumerlo, nel momento in cui era maggiormente prossimo all’Illuminazione. Per quanto riguarda d’altra parte il bodhimanda (luogo della reincarnazione) propriamente detto, situato presso i piccoli edifici sopra-citati e sopra-posizionati dedicati rispettivamente a Maitreya e Sakyamuni, il fedele potrà coronare la propria estenuante scalata con una diretta presa di coscienza della straordinaria vastità del paesaggio, ricercando proprio in essa la scintilla che potrebbe forse, un giorno, condurlo verso territori ancor più ameni.

L’intera regione del Guizhou, così evidentemente affine al paesaggio ultramondano di un pianeta distante, costituisce da generazioni una meta particolarmente cara agli alpinisti, ovvero coloro che perseguono un tipo diverso e più transitorio di realizzazione umana. Ciò detto, le vulnerabilità del Muro dell’Illusione sono molteplici e le loro piccozze, sufficientemente affilate…

Per chi sappia realmente apprezzare la natura, d’altra parte, la riserva del Fanjingshan rappresenta una meta dotata di meriti ben oltre il suo semplice significato spirituale. Inclusa dal 2018 nel vasto catalogo dei patrimoni dell’umanità tutelati dall’UNESCO, essa è stata efficacemente riassunta come effettiva “banca genetica della Cina” con la sua straordinaria biodiversità e le condizioni climatiche fuori dal comune, capaci di preservare numerose specie animali e vegetali risalenti ai più remoti millenni del Triassico anteriore. Stiamo parlando, per entrar nel particolare, di oltre 46 specie endemiche di piante, 245 vertebrati e 4 vertebrati, tra cui le celebri scimmie dorate del Guizhou (Rhinopithecus brelichi) di cui restano attualmente in vita non più 750 esemplari. Un diverso popolo di esseri altrettanto cari alla legge fondamentale del Cosmo, la cui progressione verso il Nirvana potrà (forse) essere più acerba della nostra, ma non di meno aspira, in maniera inconscia, allo stesso ciclo di eterne trasformazioni.
Svettante mentre si suddivide tra le alte nubi, il doppio Vecchio Picco Dorato con il suo ponte di collegamento ricorda il simbolo della vita o la mano aperta del Buddha che Invita, tutti coloro che sono disposti ad ascoltarlo, verso un luogo più alto e Puro. Soltanto si consiglia, a chi voglia rispondergli entro breve, di effettuare un coerente training autogeno in materia di circolazione cardiovascolare. Stiamo pur sempre parlando, in prima ed ultima analisi, di otto migliaia di scalini.

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