Spade roteanti e il ballo di un popolo che ancora impugna le sue tradizioni

Ha un tono generalmente conforme allo stereotipo del nazionalismo russo, questo lungo montaggio composto su YouTube da una serie di esecuzioni popolari, professionali e amatoriali di un affascinante metodo per eseguire evoluzioni con una oppure due sciabole šaška, la spada curva da cavalleria, famosamente impiegata dai soldati cosacchi a partire dal XIII secolo e per le molte sanguinose battaglie combattute attraverso il tardo Medioevo e buona parte dell’epoca Rinascimentale. Riconfermato sulle note orecchiabili e vagamente fuori contesto di Oisya, Ty Oisya, tradizionale canzone di battaglia che inneggia alla libertà, composta durante la lunga guerra del Caucaso nel XIX secolo, combattuta tra le nazioni di Russia e Circassia, tragicamente culminata con lo sterminio e la deportazione dei secondi, seguita da una delle prime e più importanti diaspore dell’era moderna. Il che dimostra, ancora una volta, quanto Internet sia funzionale nel restituire impressioni o informazioni non del tutto corrette: figurano in effetti, nella surreale rassegna, alcuni artisti marziali con l’acconciatura, i costumi e le movenze del popolo guerriero della steppa, nato a partire dalle popolazioni tatare divenute stanziali nel settentrione dell’Ucraina, benché risulti assolutamente fondamentale notare come sia la specifica arma impiegata, sia il concetto stesso d’impiegarla come uno strumento per disegnare impressionanti traiettorie danzanti, derivino effettivamente proprio da quel popolo degli Adighé, così duramente perseguitati nella loro terra natìa identificata nel poema degli Agonauti come Colchide, punto di arrivo per tanti commerci ed interscambi culturali con il Mondo Antico del territorio europeo.
Si è del resto soliti affermare, in quel particolare contesto geografico, come in Circassia vita e danza fossero sinonimi e la famosa tradizione battagliera di quel popolo, sostanzialmente speculare a quella dei più globalmente celebri Cosacchi, fosse solita sconfinare sopra il palcoscenico, d’infinite esibizioni giudicate sino all’era del conflitto egualmente adatte al campo marzio, i teatri signorili e le occasioni conviviali del popolo, nella sua completa collettività. Un susseguirsi di scenari messi in musica, talvolta provenienti dalla tradizione letteraria delle Saghe di Narti, potenziale origine remota, secondo una particolare interpretazione filologica, della leggenda e le celebri imprese di Re Artù. E non solo, data l’espressione quasi mistica, e il mero senso di coinvolgimento, che poteva scaturire dalle movenze attentamente codificate di quell’arma tradizionalmente chiamata “lungo coltello” pur essendo nella sua terra d’origine circassiana ancor più lunga e pericolosa della versione successivamente “presa in prestito” dai principali sostenitori esterni dell’imperialismo russo coévo. Ed in effetti sono diversi esecutori, tra i “cosacchi” che compongono il montaggio di YouTube, a indossare il riconoscibile abito del guerriero Adighé, nero dal cappello agli stivali, con la temibile bandoliera di coltelli da lancio al fianco e almeno in un caso, le cartucce di polvere da sparo pronte per l’inserimento in un moschetto dalla foggia presumibilmente magnifica ed ornata. Ma è una mera ed ulteriore implicazione affine al mezzo digitale, il fatto che inoltrarsi in questo mondo per comprendere, più a fondo, le precise implicazioni di una tale sovrapposizione, richieda solamente una rapida ricerca su Google…

Coraggio, forza d’animo, desiderio di correggere i torti subiti: esistono valori che trascendono i confini geografici e la distinzione filosofica tra i popoli, sostanzialmente conformi all’ideale cavalleresco europeo. Non è certo un caso se tante storie e miti dei valorosi guerrieri tatari bogatyr  sarebbero diventate, in seguito, parte inscidibile del corpus culturale slavo.

La tradizione battagliera della danza con le spade era in effetti un momento sostanzialmente irrinunciabile della cosiddetta Lezginka, esecuzione proveniente dall’eponima regione sita a oriente della Circassia e il Caucaso stesso, grosso modo corrispondente all’odierno territorio della Repubblica del Dagestan. Benché non fosse, a conti fatti, una produzione culturale del popolo locale dei Lezgin, bensì ancora una volta, l’espressione locale del folklore guerrigliero degli Adighé, trasportato nell’epoca successiva alla diaspora in paesi anche distanti tra di loro, come la Turchia (attuale residenza di questo popolo rimasto senza una nazione) l’Egitto ed Israele. Uno degli scenari più frequentemente presentati in questa danza vede la rappresentazione di un incontro tra un uomo e una donna, lei intenta a prendere l’acqua dal fiume con una grande brocca e lui vestito con la tipica uniforme del guerriero del Caucaso, sciabola o pugnale al fianco. Mentre la sua controparte femminile gli offre quindi molto generosamente da bere, sulla scena fanno il loro ingresso all’improvviso di evidenti nemici armati di šaška, dai costumi colorati all’opposto (loro neri ed il protagonista bianco, oppure viceversa) che minacciano la felice conclusione dell’incontro. Con un gesto plateale, che dovrebbe richiamare quello di un’aquila che spicca il volo, l’uomo chiama quindi sulla scena un gruppo di armigeri alleati, tutti armati e l’eterogenea congrega inizia fieramente a battagliare. Ben poco risulta ad oggi noto delle effettive tecniche marziali impiegate durante l’ultima crudele guerra combattuta dalla nazione circassiana, benché l’effettiva conformazione e il modo usato per rinfoderare la loro sciabola, con la lama rivolta verso l’alto esattamente come la katana giapponese, lasci intuire movimenti d’estrazione alti seguiti da fendenti portati a distanza, finalizzati a sconfiggere il nemico con un singolo drammatico colpo vibrato alla testa o al cuore. Ragion per cui nella tipica danza Lezginka, elementi fondamentali diventano i piccoli scudi circolari impugnati nella mano sinistra, usati in una precisa coreografia che mira a prolungare, quanto più possibile il confronto armato a beneficio degli spettatori.
Un’altra celebre espressione delle danze marziali del Caucaso è rappresentata dalla Kabardinka, proveniente dalla parte settentrionale di quella regione, massimamente rappresentativa della parte di quel popolo che incorporando tradizioni provenienti dalle tradizioni feudali dei loro vicini, erano soliti coltivare un ideale di nobiltà orgogliosamente distaccata dal bisogno di agitare sciabole contro l’assalto di banditi senza nome. Estremamente cadenzata, misurata e a tratti lenta, vede il muoversi allo stesso tempo di uomini e donne rigorosamente sulle punte, ricordando per certi versi un balletto classico secondo la concezione moderna. Le spade rimpiazzate, questa volta, da letterali lunghi pugnali, spesso neppure estratti prima del concludersi dell’armoniosa melodia.

Questa esecuzione stilizzata in chiave moderna della danza tradizionale Lhapeteit, eseguita a Mosca dalla troupe “Nalmes” della moderna repubblica confederata di Adygea, mantiene molti degli elementi originari delle danze popolari circassiane. La mancanza di ruoli maschili, con sciabole fatte vibrare ferocemente attraverso l’aria del teatro, potrebbe non essere del tutto un caso.

Per quanto concerne, d’altra parte, la metà femminile del popolo circassiano, ciascuna delle correnti sin qui citate prevedeva ruoli per le controparti, espressioni di una delicatezza e grazia che tendevano all’Infinito. L’ideale della donna del Caucaso, del resto, fu per lungo tempo celebrato in tutta Europa a causa di una bellezza considerata ultramondana, frutto di particolari attenzioni nell’abbigliamento, la produzione di cosmetici e medicinali. Secondo il celebre illuminista francese Voltaire (1694-1778) ad esempio, proprio gli Adighé furono tra i primi popoli a praticare l’inoculazione contro il vaiolo, una forma primitiva di vaccinazione, capace di eliminare quasi totalmente l’occorrenza delle diffuse ed anti-estetiche cicatrici lasciate sul volto da una così pericolosa e odiata malattia. Lo stesso scrittore continuava quindi narrando degli eccellenti risultati ottenuti da simili donne senza pari nel mestiere senza tempo della concubina, in forza di un commercio d’individui da parte dell’Impero Russo con il mondo islamico dei Mamelucchi Ottomani (non sempre volontario) che avrebbe di lì a un secolo contribuito al clima in grado di scatenare la sanguinosa e definitiva guerra contro l’intera nazione di Circassia.
Seguìta, come spesso avviene, da un diffuso ed omni-pervasivo desiderio di tendere all’oblio. Di un’altro, purtroppo l’ennesimo, sistematico genocidio condotto per ragioni politiche e di guadagno, in un mondo che non più ci rappresenta (o almeno, così dovrebbe essere) a differenza dell’ideale guerriero che aveva originariamente dato origine a una tale grazia trascendente. Non è dunque totalmente errato attribuire la “danza russa con la spada” al popolo e la tradizione culturale dei Cosacchi, che d’altra parte erano soliti integrare simili elementi all’interno della lugamente celebrata tradizione danzante Hopak, riconoscibile espressione con acrobazie mirate a celebrare la prodezza e la preparazione fisica dei guerrieri. Ma come spesso avviene, limitarsi a fare questo rappresenterebbe un’occasione perduta. Di comprendere un po’ più fondo, nonostante tutto, l’effettivo nesso al nocciolo della memetica questione.

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