Pagata la cifra trascurabile di circa 30 euro (prezzo introduttivo) e trascorsi gli appena 50 secondi necessari per raggiungere il 74° piano a bordo dell’ascensore con ampi schermi a parete, capaci di mostrare lo spettacolo in alta definizione di una città perennemente intenta a scorrere, mutare ed approcciarsi a nuove metodologie di cambiamento, ti ritrovi all’improvviso all’altitudine di 314 metri, circondato dalle alte finestre di uno dei luoghi di ristoro più alti dell’intero continente d’Asia. Ed è allora, dopo una bevuta o due, qualche scambio d’opinioni con gli amici e un paio di foto al brulicante panorama, che si pone innanzi a te una scelta: quanto ritieni, a conti fatti, di soffrire di vertigini? E se la risposta dovesse preconfigurarsi sulla falsariga di un affermazione come “alquanto”, vorrai per caso fare un tentativo con il più diretto degli approcci, quello che in parecchi sono pronti a definire “terapia shock”?
Perché in tal caso, c’è a Pechino un’architetto figlio d’arte, di origini tedesche, che ha pensato al modo perfetto di rispondere a una simile esigenza e quel diavolo creativo è Ole Scheeren. Già l’autore, avendo praticato fin dall’ora stessa della laurea questa antica professione, di letterali pezzi unici come la sede della China Central Television nel 2008 (uno dei palazzi più imponenti al mondo) a forma di poligono forato e The Interlace, il surreale mega-condominio di Singapore del 2013 più simile a una serie di blocchi sovrapposti alla rinfusa (vedi precedente articolo sull’argomento). Entrambi esempi, come del resto molte altre espressioni della sua visione operativa, del modo in cui possa essere sovvertita la più scontata aspettativa di un grattacielo, intesa come estrusione verticale di una pura e semplice forma quadrangolare.
Qualcosa che, almeno nelle prime battute, aveva creduto di dover realizzare per il MahaNakhon, futuro grande palazzo ad uso misto per il quale era stata richiesta la sua assistenza verso gli ultimi mesi del 2009, nel quartiere Silom/Sathom, situato esattamente al centro di Bangkok e per via di questo in un certo senso, l’intera nazione thailandese. Ciò a causa di un’ampia serie di regole urbanistiche piuttosto stringenti e lo stesso spazio effettivamente assai ridotto a disposizione, assai minore a quello adatto alle sue opere più famosamente situate all’esterno delle più comuni aspettative del caso. Ma poi ha iniziato a porsi la questione nei seguenti termini: “Mi trovo in mezzo al più eccezionale e variegato amalgama di edifici immaginabile. Come posso sfruttare la situazione a mio vantaggio?” Risposta: integrandolo, letteralmente, nella forma stessa della sua idea di partenza. Che dovrà diventare a questo punto una sorta di continuazione verticale, della matrice diseguale che corrobora la sua svettante forma presso i primissimi confini del cielo. In altri termini, presentare una facciata da cui sembrano mancare, grazie ad una serie d’artifici tecnici particolari, interi blocchi dalla dimensione importante, configurati come una sorta di nastro che ruota tutto attorno al grattacielo in senso obliquo. In altri termini, ecco a voi il MahaNakhon per come venne completato senza il piano trasparente della vetta nell’ormai remoto 2016: il primo palazzo dall’aspetto volutamente incompleto, e misteriosamente “pixelloso” che abbiate mai ricevuto l’opportunità di conoscere online. Il che costituiva, a dire il vero, ben più che una semplice soluzione di tipo estetico e del tutto priva di funzionalità…
Prima di tornare dunque all’impressionante passerella, posizionata come letterale ciliegina della torta nel concetto d’integrazione coi dintorni e l’attività cittadina circostante l’edificio, sarà proficuo contestualizzarla attraverso la ricca serie di soluzioni tecniche e invenzioni messe in opera nel significativo capolavoro del sempre dirompente Scheeren. A partire dal suo basamento che non è, contrariamente a quanto avviene nella maggior parte dei casi per i grattacieli asiatici, appesantito dalla presenza di un ponderoso spazio adibito a centro commerciale, hotel o casinò, bensì affiancato da un secondo palazzo, molto più piccolo, definito in modo estremamente descrittivo come THE CUBE. Il che costituiva in effetti un requisito necessario ad aggirare le norme cittadine, che avrebbero altrimenti limitato l’altezza del MahaNakhon impedendogli di conseguire, anche al momento dell’inaugurazione, l’assoluto record nazionale (successivamente soffiato per soli tre metri dal più recente Magnolias Waterfront del quartiere Khlong San). Questa separazione tra le due parti del progetto di sviluppo ha quindi permesso di riservare, in mezzo ad esse, una vera e propria piazza aperta al pubblico, dominata da un imponente maxi-schermo da usare per proiezioni ed eventi. Un tema, riassumibile con l’intenzione di offrire il palazzo in qualità di continuazione verticale delle attività cittadine, che trova ragione di esprimersi quindi ai suoi piani più elevati.
Ed è qui che il vero scopo perseguito dall’autore con la sua soluzione dei “pixel mancanti” trova il merito più importante, attraverso la creazione di un tutt’uno diseguale che permette l’alterazione di quello che può essere, effettivamente, un grattacielo. In una riproposizione del tema dimostrato dagli appartamenti di Singapore, The Interlace, la stragrande maggioranza delle residenze all’interno dell’edificio thailandese vanta un’ampia balconata ricavata nello spazio concavo sopra e sottostante, grazie alla presenza dello spazio negativo creato per avvolgerlo fino alla sommità. Le singole stanze dei già costosissimi appartamenti situati tra i piani 24 e 73, sovrastati dalle residenze per ultra-miliardari in cerca di un pied-à-terre nella principale città dell’Asia meridionale, sono quindi concepite come delle letterali sculture abitabili, grazie all’incertezza offerta dalla forma che consegue dallo strano piano ingegneristico dell’edificio.
Un tema, quello dell’apertura, che non può che trovare la sua riconferma più importante nel modo stesso in cui è concepito lo SkyWalk, il nuovo ponte panoramico menzionato in apertura.
Il punto principale dell’intero spazio dei due piani panoramici del
MahaNakhon può essere riassunto dunque nell’intento di collocarli presso l’apice esatto dell’intero costrutto architettonico. Il che è in effetti meno scontato di quanto si potrebbe pensare, quando si considera come molti dei palazzi più alti del mondo presentano un pinnacolo niente affatto accessibile o altre strutture tecniche concepite per svolgere tutt’altra funzione. Il che può permettere, in via del tutto eccezionale, di avere una vista ininterrotta a 360 gradi, ancor prima di mettere piede sulla nuova area trasparente e letteralmente sospesa a svariate centinaia di metri sopra le strade sottostanti. Questo è molto importante proprio in un simile contesto geografico, in cui il clima benevolo e temperato permetterà di sfruttare una simile attrazione in tutte e quattro le stagioni, a patto che non piova eccessivamente. Prima di accedere alla vertiginosa passerella, quindi, ai visitatori vengono fornite delle sacche protettive per le scarpe, presumibilmente allo scopo di prevenire graffi sulla superficie degli enormi pannelli trasparenti utilizzati per sostenere il loro peso. Che riscuoteranno, possiamo facilmente immaginarlo, un notevole successo presso il pubblico cinese, notoriamente appassionato di simili ponti e passerelle prive di un fondo apparente, per cui è particolarmente famosa l’intera regione Wulingyuan dello Hunan, diretta ispiratrice del pianeta alieno mostrato nel film Avatar.
Poco importa in ogni caso la natura del proprio background culturale, sia esso asiatico, europeo, americano, australiano o Na’vi: un’esperienza come quella di fluttuare momentaneamente con sotto infiniti metri cubici d’aria risulterà di sicuro effetto, e come diceva Scheeren in una sua conferenza: “Non soltanto per i giovani appartenenti alla iPhone generation“. A patto, naturalmente, che siano forniti di valida alternativa per ricavarne l’irrinunciabile selfie d’ordinanza. Androidiani di tutto il mondo, fate sentire la vostra voce!