L’orso-gatto che si appende ai rami come Spider-Man

Guardando indietro alla cultura popolare dell’inizio 2000, fu una scena che cambiò profondamente le aspettative in merito al nuovo genere cinematografico dei supereroi. Un genere che, finita l’epoca del pulp dei primi Batman, stava entrando a pieno titolo nell’immaginario delle nuove generazioni, con l’inizio di serie decennali come Blade e gli X-Men. Eppure, persino allora, il concetto di un eroe della giustizia che si veste in modo stravagante per combattere il crimine, sullo schermo argenteo come aveva fatto fino ad allora dalle pagine dei fumetti, lasciava una parte del pubblico perplessa, per via dei pregiudizi nei confronti di un mondo e una cultura considerati “da nerd”. Almeno finché l’attore Toby Maguire, scoperto di avere poteri non propriamente umani, salva la sua amata da morte certa e poi calandosi dall’alto mentre si trova ancora in costume,  la bacia appassionatamente rimanendo a testa in giù. Si tratta di un’immagine abbastanza bizzarra da lasciare il segno, mentre raggiunge al tempo stesso il nocciolo della questione per tanti di quei ragazzi ed ex-ragazzi, che per buona parte della loro vita sono stati del tutto incapaci di relazionarsi con altri esseri viventi, per lo meno fuori dalla pagine stampate dei propri fantasiosi eroi.
Analizzando una simile sequenza, appare chiaro ciò a cui il regista Sam Raimi stesse facendo volutamente riferimento: la posizione di un ragno appeso a un filo, che scende verso il pavimento mentre cerca un nuovo luogo per ricostruire la propria tela. Ma qualora ci si mettesse per un attimo a pensare all’effettiva predisposizione di un essere umano (in modo particolare se appartenente alla categoria dei giovani innamorati) e confrontarla con quella di un aracnide carnivoro e predatorio, apparirà evidente come altre creature del regno animale, a questo mondo, avrebbero rappresentato delle metafore assai più calzanti. Che ne dite, ad esempio, di un ipotetico uomo-orso-gatto (Manbearcat)? Giusto, dimenticavo! Fuori dal suo territorio d’appartenenza nel Sud-Est asiatico, praticamente NESSUNO conosce l’agile mammifero scientificamente denominato Arctictis binturong, nonostante altri membri della sua famiglia, come zibetti, genette e zibetti delle palme siano stati fatti oggetto di una quantità spropositata di documentari, partecipazioni televisive e rappresentazioni a cartoni animati di vario tipo. Finché non ci si reca in visita presso un villaggio nel bel mezzo della giungla indonesiana, Thailandese o un qualche santuario d’Occidente che ne ospita esemplari, e ci si ritrova a offrirgli da mangiare nella speranza di riuscire a toccarlo. Il che comporta in genere uno sguardo rivolto verso l’alto, poiché si tratta di creature decisamente arboricole, nonostante la loro massa considerevole di fino a 20 Kg, che li porta ad essere i più grandi della loro categoria. E ad un certo punto, con la mano protesa innanzi, ci si ritrova improvvisamente nello stesso ruolo a quei tempi recitato da una perfetta Kirsten Durst, mentre la creatura irsuta e di colore nero, con un solo fluido movimento, inverte se stessa di 180 gradi e si appende al ramo sovrastante, mentre pende con la bocca spalancata in attesa di… Beh, questo dipenderà da voi. È possibile che dare un bacio a chi aspettava un platano da sgranocchiare sia decisamente controproducente. Del resto, potreste anche riuscire a fare colpo, guadagnando un nuovo ed inaspettato amico.
È d’altra parte notevole, soprattutto considerato il loro habitat spesso remoto e inospitale, la naturale propensione dell’intera famiglia dei viverridi ad adattarsi e a vivere a stretto contatto con gli umani, dimostrando in questo modo la stretta somiglianza biologica con uno degli animali domestici per eccellenza: il felino che abita nelle nostre case. Con cui potrebbero anche aver avuto un antenato in comune, prima che le rispettive strade percorse nell’evoluzione li portassero a cambiare ciascuno a suo modo, perseguendo degli obiettivi radicalmente diversi. Che nel caso del binturong, lo hanno reso perfetto per un ambiente come quello della foresta pluviale, o tropicale che dir si voglia, dove svolgere un’esistenza onnivora nutrendosi di piccoli mammiferi, uccelli, pesci, uova e carogne, senza tralasciare pietanze vegetali come frutta e semi. Tra cui in particolare quelli del fico strangolatore (Ficus altissima) la pianta parassita che cresce togliendo l’anima e la luce agli altri tronchi della giungla, prima che la legge della sopravvivenza riesca a renderla sovrana del proprio angolo di giungla. Ma non riuscirebbe certo a propagarsi, se non passando per l’apparato digerente di questi famelici viverridi dalla coda prensile, come quella delle scimmie…

Popcorn è un binturong domestico che vive con padrone imprecisato, probabilmente di nazionalità statunitense. Il modo in cui gioca, saltellando allegramente da un lato all’altro di questa palestra, non si presenta poi così dissimile da quello di un cane o gatto.

Il gatto orsino (questa la denominazione ufficiale in lingua italiana) costituisce uno di quegli animali di cui si vede magari un’immagine di sfuggita, in qualche momento della propria vita, poi si dimentica immediatamente per tornare al proprio specifico campo di competenza. E questo nonostante si tratti, sotto molti punti di vista, di una delle creature più particolari e di maggior successo del suo areale d’appartenenza. Egli non ha predatori abituali, fatta eccezione per l’occasionale nonché fortuita aggressione da parte di varie specie di leopardi o cani selvatici dhole (Cuon alpinus) benché l’analisi scientifica condotta sulle loro interazioni abbia dimostrato che si tratti di casi piuttosto rari. Questo perché il binturong e schivo ed attento, persino con i membri della propria stessa genìa, che tende a fare il possibile per evitare, pur non arrivando a difendere attivamente il territorio. Affidandosi, piuttosto, allo strumento eccezionalmente valido delle proprie ghiandole odorifere, collocate in prossimità dell’ano, che gli permettono di lasciare una traccia estremamente percettibile del suo passaggio. Ma se ciò dovesse iniziare a sembrarvi disgustoso, aspettate di conoscere l’effettivo odore di tutto questo: sembra infatti che aromaticamente parlando, caratteristica inusitata di questi animali sia quella di assomigliare molto da vicino al popcorn. Analisi chimiche relative alla specifica sostanza emessa indifferentemente dai maschi e le femmine di tale specie hanno lasciato inizialmente perplessi gli scienziati, finché in essa non è stata individuata una notevole concentrazione del composto 2-Acetyl-1-pyrroline, identico per un’apparente coincidenza a quello liberato durante la cottura di pane, lieviti e prodotti alimentari a base di mais. Il che, se non altro, basta a renderli ben più gestibili di puzzole, moffette e compagnia odorosa.
Dal punto di vista riproduttivo, una volta trovata la compagna il binturong adotta uno stile di vita monogamo, aiutandola a scavare la tana tra la fitta vegetazione a livello del terreno e dando i natali a una quantità di 1-3 cuccioli, largamente altriciali (non indipendenti) e per lo più immobili, ciechi e sordi nelle prime settimane della propria vita, fino a uno svezzamento che sopraggiunge in genere dopo un periodo di circa tre mesi. Una volta usciti dal sottosuolo, quindi, i giovani continueranno a vivere con la madre per qualche tempo, formando una sorta di piccolo branco. La durata della vita del binturong è piuttosto lunga, con esemplari che hanno raggiunto in cattività i 15 anni, mentre si ritiene che in natura esistano esemplari capaci di raggiungere la veneranda età dei 20.

Come tutti i cuccioli dei mammiferi, i piccoli binturong possiedono un fascino immediato che li fa assomigliare ad un pupazzetto o personaggio dei cartoons. Prima di avvicinarsi ed accarezzarli, tuttavia, sarebbe appropriato prendere in considerazione l’indole protettiva della madre.

Il che ci porta all’immancabile (ahimé) notazione sullo stato di conservazione di una così insolita e memorabile creatura: pur non essendo ancora a rischio d’estinzione, il gatto orsino è classificato come vulnerabile, in funzione del problema della riduzione dell’habitat, per uno sfruttamento senza criterio condotto ad opera degli umani. Anche il suo impiego nel campo sempre problematico della medicina tradizionale cinese ne ha fatto una preda fin troppo appetibile per i cacciatori di frodo, sempre pronti a violare le specifiche legislazioni di tutti i paesi del Sud-Est Asiatico, pensate per proteggere l’esistenza continuativa di un così importante patrimonio biologico che potrebbe trovarsi all’inizio della sua stessa fine.
Ed è triste, nonché significativo, notare l’assenza dei consueti programmi di conservazione internazionali mirati ad assistere specie del tutto simili, o persino meno “graziose” all’interno dei materiali di marketing delle diverse agenzie ambientaliste d’Occidente. Questo probabilmente perché come dicevamo per qualche ragione, il binturong non è semplicemente… Abbastanza noto. E forse saremo costretti ad aspettare, affinché la situazione possa essere capovolta in maniera risolutiva, perché esso compaia nell’ultimo film della Pixar o Dreamworks, magari doppiato da un qualche comico o calciatore. A meno che un fortunato teenager, morso da un esemplare radioattivo, diventi un nemico del crimine avendo acquisito i suoi magici poteri.

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