I 18 super alberi della città di Singapore

Sotto un cielo prossimo al tramonto, cammino all’altezza di un palazzo di 6 piani, lo sguardo rivolto ad enormi conchiglie di ferro e vetro. Dinnanzi a me, uno skyline urbano particolarmente elevato, semi-nascosto dall’eterna foschia. Mi trovo su una lunga passerella serpeggiante, circondato da un florilegio vegetale importante. Davanti e dietro a me sorgono degli arbusti improbabili, con il tronco rastremato che culmina in fronde visibilmente stilizzate, con la forma approssimativa di un circuito stampato. A dominare il panorama, il colossale monolito di tre torri squadrate, sovrastate da quella che potrebbe sembrare un’imbarcazione di linea trasportata lì così, per caso. Ad un tratto, come per una congiunzione astrale imprevista, dal maestoso edificio si accende un potente fascio di luce, che punta dritto verso un altro gigantesco arbusto, alla mia sinistra. E allora quello si accede, letteralmente, di milioni di luci, mentre una musica indistinta inizia a suonare nell’aria. È un concentrato di tutti i generi più popolari degli ultimi 15 anni, Pop, Rock, Hip Hop e un pizzico di Heavy Metal, rimbombante come il canto di uccelli della dimensione approssimativa di un aereo biposto Cessna Skyhawk. Progressivamente, l’intera “foresta” inizia a dare il suo contributo, danzando e cantando in quest’inno allo gioia contemporanea…
Immaginate quale potenza economica possa concentrarsi all’interno di una città stato. Un singolo centro, solitario e unico, che ospita allo stesso tempo il suo governo centrale, il 90% della popolazione nazionale, le sue più estreme periferie. E questo sul suolo di un’isola geograficamente separata dalla Malesia, in cui storicamente passarono tutti i commerci degli stretti marittimi d’Asia. Singapore, il cui nome significa letteralmente la “città del leone” costituisce oggi una delle maggiori metropoli cosmopolite al mondo, in grado d’influenzare l’alta finanza del suo intero panorama limitrofo ed oltre, essendosi trovata a costituire uno dei principali players economici dell’Asia meridionale. Si tratta di un modello tutt’altro che unico, in effetti, con episodi storicamente simili verificatosi anche a Taiwan ed Hong Kong, entrambe padrone del proprio destino. E se c’è una cosa che accomuna, indissolubilmente, questi luoghi così distanti, è la seguente: formidabili servizi ed infrastrutture. Non poteva davvero essere altrimenti, quando il loro governo ha un solo conglomerato di cui occuparsi, senza altri progetti sul territorio, onerosi da produrre e mantenere come strade provinciali, autostrade, ferrovie… Una modalità talmente semplice ed efficace di organizzare l’erario, che il difficile diventa, addirittura, trovare una valvola di sfogo per il surplus a disposizione. Ed in questo, la nazione isolana a maggioranza di etnia cinese e religione buddhista, dotata di un potente esercito ed uno dei migliori sistemi sanitari al mondo, ha scelto una via esteriore particolarmente visibile da ogni capo del mondo. In un certo senso, si potrebbe dire che desideri diventare come Dubai. Un intero parco dei sogni, straordinariamente lussuoso ed al tempo stesso accessibile per il turista, ricolmo delle più strabilianti meraviglie che la tecnologia e il design moderno possano concepire. Ma con un tema, giustamente, diverso: la città-giardino o per meglio dire, la “città nel giardino”. Questo breve slogan, coniato attorno al 2005 dal governo, ha segnato l’inizio di una ricerca di spazi verdi che superi nettamente la media globale, arrivando a costituire un vero e proprio filo conduttore dell’intero sforzo urbanistico locale. Culminante nei tre Gardens by the Bay (Giardini della Baia) fortemente voluti dal tutt’ora Primo Ministro Lee Hsien Loong, che li vedeva come un passaggio obbligato per incrementare la qualità di vita della popolazione locale. Attraendo, nel contempo, nutrite e danarose schiere di turisti. Nel 2006 venne indetta dunque una competizione internazionale, per determinare chi avrebbe avuto l’onore di costruire su questo generoso ritaglio di terra riconquistata dal mare, creata in maniera non dissimile dall’isola artificiale tokyoita di Odaiba. L’appalto fu vinto da due colossi dell’architettura inglese, Dominic White e Grant Associates. I secondi avevano un’idea molto particolare, di che cosa avrebbe potuto conquistare l’immaginazione della gente…

La visione notturna dei supertrees che si accendono a ritmo di musica può risultare surreale, caotica e un po’ naif. Ma resta indubbia la loro capacità d’imprimersi saldamente nella memoria degli spettatori.

I Gardens by the Bay sono formalmente tre, di cui tuttavia quello Centrale dovrà costituire, anche in futuro, poco più di un punto di raccordo tra gli altri due. Per quanto concerne il giardino Est, ancora non completato, il tema di partenza sarà l’acqua, incrementando il fascino della fantastica vista che la location offre, attraverso la baia, sullo svettante centro cittadino. Esso dovrà disporre, un giorno, di cinque canali instradati verso l’entroterra, attraverso cui l’aria fresca verrà incanalata per aumentare l’appeal climatico delle aree aperte al pubblico. Sia chiaro che la vera star dello show, ad oggi, rimane comunque il giardino Sud, dichiaratamente ispirato alla forma approssimativa di un’orchidea. Una similitudine che non si ferma all’area estetica, visto come le sue “radici” siano state collocate in corrispondenza delle due gigantesche serre a forma di conchiglia affacciate sul mare, i germogli siano le numerose passerelle sopraelevate, con radici secondarie che si presentano a guisa di linee per l’alta tensione e le comunicazioni ed i fiori…Ah, i fiori! Per richiamare alla mente questi ultimi, la Grant Associates può vantarsi di aver avuto un’idea veramente speciale.
Un super albero costituisce, nella sua essenza più basilare, nient’altro che un tronco centrale di cemento, ricoperto di una struttura metallica con pannelli concepiti per piantare verticalmente al loro interno una vasta varietà di piante. Esso costituisce dunque, in un certo senso, nient’altro che un giardino verticale, adatto ad ospitare creature vegetali dalla provenienza geografica più diversa. La materiale implementazione del concetto stilato dalla Grant è stata dunque condotta da un’altra azienda ingegneristica inglese, la Wilkinson Skye. Per riempire questi spazi, l’amministrazione cittadina ha richiesto l’inclusione di circa 200 specie diverse, inclusive di bromeliadi, orchidee, felci e rampicanti tropicali. Con particolare preminenza data alle varietà epifite, ovvero che vivono attaccandosi ad altri vegetali senza sottrarre loro alcun tipo di nutrimento. In questa maniera, l’albero tecnologico diventa una sorta di vero arbusto, parte del ciclo vitale della Natura.
Per quanto concerne l’impiantistica delle strutture in questione, ovvero la loro funzione pratica nel macro-sistema dei giardini, i 18 super alberi costruiti fin’ora variano notevolmente di caso in caso. Ve ne sono alcuni dotati di pannelli solari, che contribuiscono ad accumulare l’energia necessaria per effettuare lo show di luci notturno ripetuto ogni giorno dell’anno, nessuno escluso. Altri costituiscono piuttosto una valvola di sfogo per il calore, accumulato all’interno delle due titaniche serre durante le calde giornate di questo luogo essenzialmente sull’equatore. Uno in particolare, il più alto, ospita addirittura un pregevole ristorante su due piani, dal prezzo minimo per una cena di circa 100 dollari a persona. L’intero complesso, quindi, è circondato da un complesso sistema di passerelle curvilinee, per il cui accesso è necessario pagare l’unico biglietto dell’attrazione, e sul quale è consentito rimanere un tempo non superiore ai 15 minuti. In caso di pioggia, nessun rimborso.

Il palazzo citato in apertura è l’hotel Marina Bay Sands, famoso per la sua piscina “senza sponde” costruita in bilico sul panorama indimenticabile della città. La riconoscibile struttura è comparsa, negli ultimi tempi, all’interno di avariati film ed alcuni videogiochi.

Ci fu qualche polemica, all’inaugurazione dell’Expo di Milano del 2015, per una presunta somiglianza tra i Supertrees di Singapore e l’Albero della Vita, costruito su un’idea del designer italiano Marco Balich. In particolare, gli architetti inglesi si sono detti delusi da quella che definirono una vistosa somiglianza esteriore, più che concettuale. Perché in effetti da quel punto di vista, non mancano i tratti distintivi: il nostro arbusto non presenta alcuna integrazione con giardini verticali, è integrato con una fontana e non ha alcuna funzionalità di produzione o riciclo dell’energia integrata. Inoltre, fattore importante, piuttosto che essere integrato in un sistema di suoi simili è concepito per sorgere solitario, con una forma più slanciata e se vogliamo, ancor meno naturalistica delle alternative d’Asia. Balich rigettò formalmente ogni accusa, assicurando di aver avuto l’idea dall’osservazione di un dipinto all’interno di una chiesa nell’area di Napoli, oltre che da alcuni progetti, mai realizzati, di Leonardo da Vinci. E se devo copiare qualcuno, direi… Il principale punto di contatto, a questo punto, resta il fatto che si tratti di un albero e la doppia struttura in cemento e metallo. Ma vorrei sapere quale potesse essere l’alternativa! E seguendo questa linea di ragionamento, non è poi forse vero che le due serre sul limite dei giardini di Singapore, una più alta dell’altra ed entrambe più vaste di un campo da football, ricordano vagamente con la loro forma di mitili l’auditorium romano creato nel distante 2002 da Renzo Piano? Simili disquisizioni raramente portano a qualcosa. E quel che è peggio, possono inibire in modo preponderante la ricerca del bello.
Per un viaggio memorabile, dunque. Per vedere qualcosa di diverso. Perché non la terra degli Ewok- pardon, Singapore? Una meta, vista la sua collocazione in un’area geografica non eccessivamente rinomata, che per questo raramente figura sui carnet vacanziferi dei viaggiatori europei. La quale, tuttavia, può costituire una sosta importante verso le solite destinazioni della Cina continentale e il Giappone, illuminata di un’interpretazione della natura che potrà anche apparire un po’ rarefatta, tecnocratica ed eccessiva. Ma illumina come una stella la strada del nostro stesso futuro.

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