I lemuri assuefatti alla migliore droga del Madagascar

Per sognare, per dimenticare, per vivere la vita in modo più intenso. Per prolungare l’attimo. Per cancellare la cognizione stessa del domani. Sono molte le ragioni per assumere sostanze psicotropiche, nonostante le ragioni del disagio che possano derivare da una tale scelta, qualche volta subito, altre volte più dilazionate nel tempo. Poiché la salute, sembrerebbe, è quello stato di grazia in bilico sul bordo del tempo, che una mera perdita anche momentanea d’equilibrio può far scivolare nell’oscurità e l’oblio. Eppure se soltanto vi metteste ad osservare uno di loro, gli occhi gialli canarino intenso, la bava idrofoba, il naso umido, i capelli lunghi e spettinati, le movenze a scatti, di sicuro non esistereste a dire: “Lui si, che sa come combattere la noia e stare bene!” Assomigliare all’incarnazione arboricola dei più famosi mostriciattoli degli anni ’80, i pericolosi Gremlins, non è normale. A meno che tu sia, un primate del Madagascar… Eulemur macaco, il lemure nero. Che in effetti, tanto cupo resta solamente per qualche anno dalla nascita, prima che i maschi diventino marrone scuro, e le femmine di un attraente color terra di Siena, con dei vistosi ciuffi bianchi ai lati della buffa testolina. Attestato unicamente in una zona del Sambirano, nell’estremo settentrione dell’isola più celebre per la biodiversità, dove ogni manciata di chilometri, o anche meno, inizia il territorio di una diversa o totalmente unica specie di creature. Ciascuna delle quali, associata ad un particolare stile di vita o attività. Ma forse nessuno tanto strano e caratteristico, quanto quello mostrato in questa scena della serie di documentari Spy in the Wild, per i quali la BBC sta disponendo delle telecamere nascoste all’interno di riproduzioni realistiche di varie specie di animali, al fine di riprendere le bestie vere da una posizione nuova e privilegiata. Mentre fanno ciò che gli riesce in meglio: ovvero in questo caso, semplicemente, drogarsi.
È un comportamento osservato in molte specie diverse tra loro, incluse le platirrine del genere Cebus, comunemente dette scimmie cappuccine. Ma che questi particolari strepsirrhini, grazie alle particolari condizioni ecologiche dell’ambiente di provenienza, sembrerebbero aver portato fino alle più estreme conseguenze. In sostanza, ciò che loro fanno è andare a caccia sui loro alberi del millepiedi del fuoco (Aphistogoniulus corallipes o specie similari) ed iniziare a masticarlo delicatamente, affinché quest’ultimo, nella speranza di salvarsi, inizi a secernere il veleno contenuto nel suo corpo. Una formidabile miscela di acido idroclorico, cianuro idrogenato, fenoli, cresoli e benzoquinoni. Tale da poter causare conseguenze gravi in piccoli organismi, se fagocitato, ed irritare gravemente anche la pelle degli umani. Ma non quella, a quanto pare, dei lemuri, che anzi sembrano trarre un particolare piacere da una tale scriteriata attività. La creatura con l’insetto in mano, dopo pochi secondi, sembra assumere un atteggiamento frenetico, mentre inizia a mostrare il primo sintomo del veleno: un aumento estremo della salivazione. Ma è a quel punto che prende il via la parte migliore. Perché il lemure, a quel punto, non trangugia affatto il millepiedi, bensì inizia a strofinarselo sul pelo, avendo attenzione di raggiungere ogni angolo del suo corpo inclusa la lunga e pelosa coda. Ad ogni secondo che passa, esso parrebbe sperimentare una sorta di estasi frenetica finché, apparentemente soddisfatto, non getta via l’insetto verso il suolo, da dove quest’ultimo, zampettando via visibilmente sollevato, riprende la parte migliore della sua giornata. Questo tipo di millepiedi giganti in effetti, nonostante il suono sgranocchiante che gli autori del documentario hanno deciso di aggiungere all’insolita scenetta, risulta essere piuttosto resistente, e generalmente non muore a seguito della spiacevole esperienza. Si potrebbe persino dire, dunque, che la relazione tra lui ed i lemuri sia solamente in parte svantaggiosa, poiché gli permette in ultima analisi di sopravvivere, riuscendo ad accoppiarsi e trasmettere i suoi geni alla seguente generazione. Molte parole sono state spese in merito alla cosiddetta evoluzione del desiderio, secondo cui alcune specie sopratutto vegetali, ma anche animali, sarebbero mutate attraverso i secoli ottenendo la protezione da parte di una specie più forte. Vedi ad esempio l’alto contenuto di capsaicina di alcune specie di peperoncini, apparentemente priva di funzioni pratiche, o più semplicemente il gusto della frutta coltivata sui terreni agricoli del mondo degli umani. Se il millepiedi non fosse, in effetti, tanto piacevole per i primati, questi probabilmente lo mangerebbero, con il veleno e tutto il resto. Mentre allo stato dei fatti effettivo, esso non è percepito come cibo, bensì una sorta di strumento belluino del piacere. Prezioso, preziosissimo. Da conservare.

Il millepiedi del fuoco, che voi ci crediate o meno, è molto ricercato come animale domestico dagli appassionati di entomologia. Resiste serenamente alle condizioni climatiche più diverse, e si riproduce con facilità. Talvolta, tuttavia, si nasconde nel substrato del terrario e sparisce, anche per settimane. In quel particolare caso, probabilmente, è molto meglio non andare a disturbarlo.

Sul perché, effettivamente, i lemuri neri assumano questo insolito comportamento, sono state effettuate varie ricerche. Tra cui la più spesso citata, redatta nel 1998 da Christopher R. Birnkinshaw del Missouri Botanical Garden, parla di una funzione chiaramente dimostrabile attraverso l’osservazione. La cui dimostrazione scientifica, tuttavia, sarebbe giunta nel 2003, grazie ad un esperimento di Paul J. Weldon et al, pubblicato sulla rivista tedesca Naturwissenschaften. Ciò che fece il team, in sostanza, non fu altro che chiudere una grande quantità di zanzare del Madagascar dentro una teca di vetro, assieme  a due recipienti con una certa quantità di sangue umano. Che in un caso, era protetto dal fluido prodotto dai millepiedi del fuoco, mentre nell’altro no. A seguito di un’osservazione durata 1500 ore, dunque, fu evidente che le volanti succhiatrici si posavano più di frequente sul secondo recipiente, preferendo quindi evitare la miscela velenifera del loro distante insettile parente. Risultato: l’attività dei lemuri potrebbe avere una funzione repellente per quest’ultime. Ma non finisce qui. Perché piccoli primati del Madagascar sono affetti da una grande quantità di parassiti, tra cui pulci, zecche e vermi intestinali. Che secondo i più recenti studi, potrebbero essere soggetti ad un periodo di particolare prosperità dovuto al mutamento climatico, tale da presentare, addirittura, un rischio remoto per le popolazioni umane. L’utilizzo delle formidabili qualità del veleno dei millepiedi, dunque, diventerebbe un importante strumento di difesa delle specie più complesse, persino utile a chi non può impiegarlo direttamente. Come noi.
Eppure, a guardarli da vicino grazie alle telecamere della BBC, questi lemuri non sembrano impegnati in un’attività di tipo solamente utile, finalizzata al benessere e al proseguimento della specie. La loro frenesia crescente ricorda vagamente quella dei gatti che vengono a contatto con la Nepeta cataria, erba che suscita in loro uno stato alterato simile a quello di alcune droghe usate dagli umani. Ed in effetti analogamente ai felini, che associano l’odore della pianta ai propri stessi feromoni, gli strepsirrhini venuti a contatto con il millepiedi sembrerebbero sperimentare una profonda modificazione del loro sistema di enzimi incaricato della ammino ossidasi, arrivando a stimolare direttamente i centri del piacere. Non è chiaro se si tratti di un tratto evolutivo sviluppato separatamente, affinché i lemuri si proteggessero dai parassiti, o se proprio quest’ultimi, attraverso una conoscenza innata poi trasmessa geneticamente, fossero giunti alla conclusione che drogarsi, nel loro caso, prolunga la vita e garantisce uno stato di grazia continuativo nel tempo.

L’attività portata avanti dalla serie Spy in the Wild è a volte comica, qualche altra rivelatoria. Particolarmente celebre è rimasta la scena in cui alcune scimmie grigie di Langur hanno finito per far cadere a terra il pupazzo-telecamera, arrivando a pensare che si trattasse di un loro simile improvvisamente deceduto. La loro contrizione, in qual particolare caso, apparve molto simile a quella degli umani.

Questa particolare relazione con un specie insettile, come dicevamo, non è certamente sconosciuta nell’ambito dei mammiferi. Ma trova una sua interpretazione, imprevedibilmente, anche in quello degli uccelli: tempo fa avevo avuto modo di trattare proprio in questa stessa sede, della simile attività anti-parassitaria portata avanti dal corvo comune, grazie all’abitudine di cospargersi le zampe con l’acido fòrmico prelevato direttamente dal più vicino formicaio a disposizione. Un comportamento noto come anting o formicazione. Al confronto dei gracchianti amici dell’ambiente cittadino, i lemuri macaco sembrerebbero avere vita molto più facile, vista la dotazione dei pollici opponibili e conseguente facilità con cui maneggiare il millepiedi, come fosse una spugnetta, ed impiegarlo direttamente per cospargere il prezioso veleno in ogni area raggiungibile del corpo. Volendo fare una parallelo, si potrebbe arrivare a definirne l’impiego come quello di un vero e proprio strumento, privato della sua esistenza autonoma per trasformarsi in accessorio proto-scimmiesco, prima di essere nuovamente liberato. In attesa che il suo triste  e imprevedibile destino si ripeta, ancora e ancora…
Ma chi siamo noi, per criticare? Divoratori seriali di mucche, galline, capre, carpe, cavoli e mille alti esseri proliferati un tempo grazie alla natura! Che in prima analisi, ed ultima elucubrazione, esistono al giorno d’oggi soprattutto grazie alla fondamentale utilità per uno scopo. L’unico e fondamentale: semplificarci la vita. Chissà, forse un giorno scopriremo un modo per assumere anche noi il veleno del millepiedi Aphistogoniulus del Madagascar. Riuscendo a combattere la malaria, la febbre gialla, addirittura la fame nel mondo (dopo tutto, non può essere COSÌ cattivo da mangiare) Ed allora, sono pronto a scommetterci! Lo zampettante insetto sperimenterà un’Età dell’Oro mai neppure immaginata nella storia della sua intera specie. Perché non c’è lemure, come il super-lemure. Quello proveniente dalle torri in pietra e vetro del sommerso continente di Lemuria.

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