Guardate questo video: chi l’avrebbe mai detto che la pubblicità del ramen gusto pollo nel barattolo potesse essere così intrigante? Oltre il concetto stesso di arte della guerra, un degno rappresentante dell’aristocrazia militare del Giappone storico era un simbolo vivente di supremo individualismo. In una cultura in cui conformarsi era il segno principale della vita quotidiana. C’era sempre, più forte che mai, il dovere all’ubbidienza verso il proprio signore (il kanji 侍 mostra, dopo tutto, un uomo fermo ad aspettare innanzi a un tempio) ma oltre gli ordini espressamente ricevuti, colui che impugna la katana è come un refolo di vento, una goccia d’inchiostro nel grande fiume, il falco grigio dello Honshu, detto l’Ikaruga. Un maratoneta che può scegliere, in base al proprio senso personale delle cose, quando risparmiare il fiato e quando invece dare il proprio meglio nello sprint, per sorpassare gli uomini inferiori a lui. Cosa sarebbe successo, dunque, durante le scorse Olimpiadi, se questi uomini al di fuori del comune fossero ancora esistiti su questa Terra? Con uno spettacolare medagliere da 41 conseguimenti, di cui 12 d’oro, il Giappone ha potuto vantare il risultato numericamente più impressionante della sua storia, benché la classificazione finale, con un più che rispettabile sesto posto (l’Italia è stata nona) non abbia raggiunto le vette dei due precedenti terzi posti, ottenuti a Tokyo ’64 e Messico ’68. Inoltre nella cerimonia finale il premier Shinzo Abe, in preparazione della prossima edizione che dovrà tornare finalmente presso l’arcipelago del Sol Levante, è comparso in un trionfo nell’abito del nintendiano idraulico Super Mario, riconfermandolo come l’icona di un’intera generazione ludica moderna. Eppure la vera domanda da porsi è se tutto ciò sarebbe bastato, a uomini del calibro di Takeda Shingen, la Tigre Rossa del Kai, o del suo rivale sempiterno dalle vesti candide Uesugi Kenshin, con cui si scontrò famosamente per ben cinque volte a Kawanakajima tra il 1553 e il 1561, dando dimostrazione inusitata di coraggio, scaltrezza e abilità guerriera. Prima che il demone del meridione, l’oscuro signore della guerra Nobunaga, qui giungesse con i suoi fucili provenienti dal continente. Se mai si sarebbe lui seduto, sul suo celebre sgabello da campagna militare, al cospetto degli ufficiali col ventaglio rinforzato di metallo, per puntare tale arma verso l’orizzonte e dire: “Arigatou, mou takusan desu. Kaerimashou.” (Grazie, basta così. [Adesso] torniamo a casa.) Piuttosto che calarsi nuovamente l’elmo sulla testa e mettersi lui stesso in gioco, per fare la suprema differenza!
Voglio dire: nella cultura moderna nipponica non è un caso poi tanto particolare. La coscienza collettiva è piena di reincarnazioni dei grandi guerrieri del passato, che vanno a scuola, prendono la metropolitana, guidano robot giganti contro gli alieni (un mestiere, questo, molto rispettato da quelle parti) e vivono storie d’amore con ragazze timide dal fascino ingenuo e (?!) innocente. Qualche volta il nome viene cambiato dagli autori anche se la personalità resta la stessa, mentre in determinati casi il fattore esteriore e la riconoscibilità sono del tutto rispettati, al punto di mostrare l’eroe storico nella sua foggia più famosa, ovvero in armatura. Magari con l’aiuto della prototipica [Henshin!] – Trasformazione! Perché ciò semplifica di molto l’animazione del complicato processo di vestizione. Si dice comunemente che la spada sia l’anima della cavalleria, e ciò è senz’altro vero anche quaggiù, nel più Estremo degli Orienti, ma quale potrebbe mai essere, d’altra parte, il suo corpo? Se non questo. Se non l’unione di stoffa, cuoio e ferro, risalente in origine al remoto IV secolo e più volte ricreata sulla base delle armi maggiormente in auge, ma sempre rispondente ad un bisogno di mostrarsi nel contempo magnifici, e incutere il timor-panico nel cuore dei propri nemici. Mentre oggi…Certo, se un samurai dovesse dimostrare la sua abilità olimpionica al mondo, è difficile immaginare che egli giunga ad occuparsi d’altro che di attività simili a queste: i cosiddetti sport d’azione, che mettono in pericolo l’individuo mentre gli permettono di dare prova della loro abilità. Surf, skateboard, bici acrobatica la camminata ad alta quota sulla corda flessibile della slackline, il SALTAPICCHIO, il pallone da calcio (ehm…) Ma vediamo più in dettaglio, esattamente, cosa abbiamo visto nel sublime video di questa disanima disordinata…
Nissin, come ormai avrete appreso visitando un qualsiasi supermercato italiano di medie dimensioni, è la marca più internazionalmente famosa di ramen essiccati, uno dei cibi giapponesi più semplici ed amati nel mondo. Un tipo di pasto, pronto in pochi minuti a seguito dell’immersione in acqua calda, che accomuna il salaryman dell’azienda multinazionale col conduttore della metropolitana, lo sportivo con il manager del settore finanziario, lo studente squattrinato con il miliardario in vacanza. Tutti, nessuno escluso, di ritorno da una lunga giornata si sono affidati almeno una volta all’immediatezza della celebre invenzione del 1958 di Momofuku Ando, colui che ebbe l’idea per primo di friggere e poi prosciugare gli spaghetti con l’aria calda, rendendoli un ammasso indivisibile fino al momento della piacevole consumazione. Si tratta di un’azienda che ha saputo sfruttare con maestria, negli almeno ultimi 10 anni del suo marketing, la passione diffusa delle nuove generazioni per un’immagine idealizzata del Giappone, che passa per la simpatia di personaggi come Super Mario ma altrettanto spesso approda nella figura per noi semi-leggendaria di questi incredibili, meravigliosi samurai. Guerrieri che cavalcavano in battaglia nell’abito di un moderno supereroe, con lo stendardo sulla schiena e l’elmo sormontato da corna, diavoli, scarabei e farfalle. Con armi dall’estrema eleganza e guidato dalle norme di un codice d’onore universale, votato alle regole della vita presente, non quella futura. Se conoscete personaggi più conformi al concetto contemporaneo dello spirito del cool, ditemi un po’ voi…
Volendo entrare nello specifico, l’ultima pubblicità dedicata la mondo degli sport estremi sembra aver usato addirittura delle figure storiche reali. Ogni emblema sull’elmo e foggia dello stesso, in effetti, ha una corrispondenza diretta con particolari condottieri del passato: il ciclista è molto probabilmente Sanada Yukimura (1567-1615) il formidabile guerriero che cambiò più volte il suo signore nel corso di tutta l’epoca Sengoku, seguendo il suo ideale di giustizia, prima di perire nell’ultimo assedio assieme al mondo che l’aveva creato. Oltre alle vistose corna, si riconosce dalla lancia yari a croce, un’arma indissolubilmente a lui associata nei ritratti e le incisioni successive. Gli altri due per me sicuri li ho già citati, e sono Takeda Shingen (1521-1573) allo snowboard, col suo parruccone sormontato dal diavolo cornuto e la sua nemesi Uesugi Kenshin (1530-1578) dal copricapo conico con fregio a V, qui un devoto praticante dell’arte dell’onorevole bastone salterino. C’è poi la donna ninja, o per usare il termine tecnico una kunoichi (scorporazione del kanji 女 la cui derivazione pittografica è fin troppo chiara) intenta a camminare sulla versione più contemporanea della familiare corda del circo, che probabilmente non deriva da uno specifico personaggio storico, vista la sua appartenenza ad un mestiere in cui la segretezza era il segno stesso del destino. Altrettanto difficile risulta per me l’identificazione dello skateboarder con la cresta in stile mohicano, del calciatore vistosamente baffuto e del surfista (benché quest’ultimo mostri una vaga somiglianza con la più famosa armatura di Imagawa Yoshimoto) che del resto, potrebbero anche essere di fantasia. Ma il messaggio, quello si: resta profondo e chiaro più che mai.
I samurai sono finiti. La loro epoca è trascorsa. I samurai sono vivi e vegeti, se lo vogliamo. Camminano tra noi, possiamo diventarlo NOI, se lo vogliamo. Il Giappone post-moderno, che come la nostra Italia non ha mai davvero dimenticato le sue origini, non dovrebbe forse divulgarle con entusiasmo alle nuove generazioni, mediante l’impiego di qualsiasi metodo a disposizione? Inclusa, chiaramente, la pubblicità. Se non puoi sconfiggerla… In quest’ottica persino l’inclusione di un personaggio dei videogame, figura del mondo commerciale, nella cerimonia di chiusura delle nobili Olimpiadi (sacrilegio!) non dovrebbe far storcere troppo il naso.
Dopo tutto, cosa sono Mario e Luigi, se non la riproposizione in chiave moderna dei due fratelli Yoritomo e Yoshitsune, che prima di fondare il primo shogunato di Kamakura nel 1192 viaggiarono segretamente per il paese, salvando principesse e sconfiggendo secondo alcune tradizioni numerosi esempi di yokai (mostri, ragni velenosi, tartarughe con le ali…) Oltre una certa epoca, il confine tra realtà e fantasia diventa labile. Che si tratti del passato purtroppo ancora privo del suo ramen, come dell’imprevedibile domani.