Nuova creazione del costruttore di case in erba

Primitive Technology Grass Hut

Viene da pensare a volte che, fra tutti i luoghi di residenza possibili a questo mondo, non ve ne sia uno migliore della tipica foresta remota d’Australia, nella regione nord-orientale del Queensland, grande oltre un milione e mezzo di chilometri di quadrati. Tranquillità, solitudine, coccodrilli mangiauomini. Chi ti ammazza, lì? Un koala? “Ma loro, possono ancora TROVARMI…” Potreste dire, facendo riferimento ai parenti, agli amici, al capo dell’ufficio o del dipartimento…Giusto! Sbagliato. Perché non importa che tu porti cellulare, PC a batteria, antenna satellitare o baracchino ad onde radio (bella escursione nella natura, eh! Ma si sa, la tentazione è forte.) La ricezione è una leggenda che qui narrano i nativi, come un “qualcosa” che prima o poi dovrebbe giungere, sull’ali pervasive del progresso. Correre avanti con la mente, tuttavia, è un’errore che ci priva di molte ottime opportunità. Torniamo, dunque, a noi. Anzi torniamo a lui, l’uomo senza maglietta né abbronzatura, che il mondo conosce unicamente come Primitive Technology, o per gli amanti degli acronimi P.T, e che assurse alle cronache, nonché agli entusiasmi internettiani, proprio a séguito dei primi video realizzati attorno alla primavera dell’anno scorso, in cui mostrava l’applicazione pratica di alcune tecniche da lui apprese in via particolare, assai probabilmente, in qualche libro sulle antiche civiltà. Muovendosi, lui stesso lo ammette, per tentativi. Certo, è il tipico luogo comune del mondo contemporaneo: se si tratta di un “appassionato” egli non potrà insegnarci granché. Questa è la concezione, estremamente diffusa, secondo cui i professionisti siano in qualche modo infusi di un sapere superiore, derivante dagli alti standard che t’impone lo stress e la continua corsa del bisogno di primeggiare. Ma la realtà è che non siamo tutti così fatti e soprattutto, c’è il bisogno a questo mondo anche della visione contrapposta. Per cui nel week-end, al termine di una pesante settimana, piuttosto che andare a ballare con gli amici o farsi un giro al centro commerciale, c’è chi sceglie di coltivare l’auto-determinazione del proprio fato. E quale miglior modo di riuscirci, come suddetto, che andando a vivere per qualche tempo giù nella Foresta…
Ciò detto, naturalmente, chiunque può comprare una tenda e metterla a ridosso di un ruscello, facendo affidamento sulla tecnologia sempre più portatile e moderna. Oggigiorno, si può approntare un pratico accampamento in poco più di venti minuti, completo di fonte di energia per la ricarica dei cellulari, riscaldamento e/o aria condizionata, fornello a gas tascabile con libro di ricette. Il valore dell’esperienza, tuttavia, potrebbe uscirne compromesso. Poiché il mondo del selvaggio dovrebbe in primo luogo essere, per l’appunto, inospitale, e soltanto la scelta di compiere una full-immersion, così come un falco pescatore che si getta sulla preda, può davvero giungere a fornirti un valido ritorno dell’investimento temporale pregresso. Ed in ciò, P.T. è maestro. Guardate ad esempio il suo ultimo rifugio, costruito giusto la settimana scorsa impiegando unicamente paglia, i lunghi rami flessibili del Calamus australis (palma rampicante comunemente nota con il nome un po’ inquietante di “frustino dell’avvocato”) e viticci di un qualche altro tipo di vegetale non specificato, impiegati con sapienza per tenere il tutto ben stretto assieme. Una capanna, insomma, costruita con il nulla, eppure straordinariamente utile e funzionale. Con un design progettuale che parrebbe direttamente ispirato a quello degli aborigeni della regione di Murray, o volendo andare più lontano con le ipotesi, addirittura alle sar-bet tradizionali dei popoli del nord dell’Etiopia costruite in legno d’eucalipto, dalla somigliante pianta circolare, o ancora alle abitazioni del popolo Maleku della Costa Rica, la cui costruzione è oggi proibita per l’impiego previsto di alcuni vegetali a rischio d’estinzione. Ma forse dopotutto, associare detta struttura ad una specifica regione geografica sarebbe un errore, visto come essa risponda al più semplice e diretto dei bisogni degli umani: avere un luogo da chiamare casa propria, in cui togliersi le scarpe ed attaccare il capello al chiodo. Non che P.T, naturalmente, sia solito disporre dell’uno o dell’altro indumento.

Primitive Technology Bark Fiber
Ogni residenza che si rispetti dovrebbe sempre disporre di un valido zerbino. O in alternativa, un pavimento. In questo suo video precedente, P.T. dimostrava la semplicità d’intrecciare tra loro le fibre di un particolare tipo di corteccia, prelevata da un albero caduto nel corso di un recente acquazzone.

Fatto presente che ci troviamo dinnanzi ad un autore particolarmente amato dal web, soprattutto per l’elegante minimalismo dei suoi video, privi di colonna sonora, spiegazioni a voce o scritte fastidiose di alcun tipo, non mancano ovviamente i commentatori che dubitano della veridicità del suo lavoro. Ciò perché il punto fondamentale dell’intera questione, e ciò che contribuisce a rendere questi video davvero speciali, è il modo in cui ogni singolo strumento usato da costui nelle sue imprese dovrebbe essere stato il frutto della sua sapienza manuale, messa a frutto presso l’ampia selezione di risorse disponibili nel vicinato. È così possibile, analizzando l’ormai vasto repertorio del suo canale, o perché no il mio precedente articolo sul suo lavoro, il geniale tecnico/ingegnere che si costruisce ogni sorta di attrezzatura, dalla tipica ascia di selce al trapano a corda, passando per attrezzi di caccia come l’arco e la fionda. A riconferma tuttavia del suo intento assolutamente pacifico, P.T. costruiva esattamente un mese fa il suo recinto per la coltivazione delle patate dolci, un’area che avrebbe dovuto contribuire, almeno in parte, al suo fabbisogno nutritivo dei presenti mesi (che sono in Australia, lo ricordiamo, il pieno inverno). La costruzione di nuove capanne, tuttavia, resta la sua opera più faticosa e non a caso, fino ad oggi, egli non ne ha mostrate in video più di quattro, apparentemente disseminate in giro per quello che dovrebbe essere un appezzamento di terra molto remoto, se non addirittura recintato e di sua proprietà…O almeno questo è ciò che verrebbe da pensare, considerato il potenziale pericolo del vandalismo. Per quanto concerne questa soluzione della paglia, l’avevamo già vista da lui impiegata per quella che aveva costituito molto probabilmente il primo dei rifugi, nonché elemento sul fondale di diversi video, benché di essa non fosse mai stata fornita una spiegazione metodologica completa. Probabilmente, all’epoca P.T. non aveva ancora pensato di aprire il suo canale di YouTube. La nuova versione della stessa cosa, ad ogni modo, sembrerebbe realizzata meglio, benché misuri gli stessi 2,5 metri di diametro e 2 di altezza. La sua intera costruzione, ci viene spiegato, ha richiesto solamente 7 giorni, di cui la maggior parte trascorsi a procurarsi la Megathyrsus maximus (erba della Guinea o green panic grass) introdotta in Australia dallo Yemen per servire da mangime per gli animali da fattoria. Un tipo di vegetale particolarmente invasivo e coriaceo, la cui raccolta sistematica può risultare difficoltosa anche coi migliori coltelli in acciaio inossidabile. Potrete quindi facilmente figurarvi, con attrezzi principalmente costruiti in pietra e legno.

Primitive Technology Tiled Roof Hut
Tirare su con le proprie mani un vero e proprio mini-cottage, così isolato dal mondo esterno da richiedere una torcia per far luce al suo interno. Chi avrebbe mai pensato di trovarsi in una simile assurda situazione?

Siamo tuttavia, comunque, ben lontano dalle vette massime mai raggiunte dal canale Primitive Technology, facilmente identificabili con il video pubblicato il 4 settembre del 2015 e relativo alla costruzione della sua capanna più avanzata, una meraviglia in fango e legno (tecnica torchis) con l’aggiunta di due vere meraviglie d’altri tempi: un tetto costruito con 465 tegole d’argilla, e un sistema di riscaldamento sotterraneo con pietre portate a temperatura dal focolare domestico, ispirato al sistema tradizionale coreano dell’Ondol. L’intero progetto richiese, in quel caso, ben 102 giorni prima di giungere a compimento, benché una parte del tempo sia stata impiegata per attendere la fine di un periodo particolarmente piovoso. Questione che continua a costituire la “prova finale” di ogni struttura messa in piedi da P.T, che dovrà necessariamente dimostrarsi in grado di trattenere l’acqua dal penetrare al suo interno, pena l’evidente necessità di applicare un qualche tipo di perfezionamento. Dico io, l’immaginate? Sentire le prime gocce che vi colpiscono la testa e la schiena, sul finire di una faticosa, ma soddisfacente giornata di lavoro. Quindi dirigervi con salda certezza presso l’apertura ricavata nella paglia, nel legno o nell’argilla. Non per una vostra semplice velleità personale, ma perché non esiste, a miglia e miglia di distanza, un tetto migliore di questo. E lì, sdraiati, udire il suono delle gocce che s’impattano sul tetto. Senza riuscire a bagnare l’uomo, sommo abitatore delle circostanze. Per poi giungere al sommesso grido della mente: “Natura, provaci di nuovo!” Ci vuole ben altro, per spedirmi nuovamente in mezzo all’assillante vita di città.

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