Il carro armato nella buca piena d’acqua e fango

Abrams in Mud

Ho quattro cervelli, otto braccia, ho sedici piedi ma nessuna gamba. Peso decine di migliaia di chili, la mia pelle è di ferro. Ho una lunga proboscide con un buco e mezzo, ma non mi serve per respirare. Un piccolo uomo, da dentro al mio guscio, vi preme dentro una pigna d’uranio. Io mi giro, punto il nemico, chiedo il permesso, quindi gli sparo, BAM. Carro da guerra, una vita difficile. Non complicata: fra tutti gli ausili alla guerra, nessuno trova un’applicazione più diretta della moderna cavalleria cingolata, che avanza verso un obiettivo in condizioni di relativa vulnerabilità. Ciascuno di questi mezzi è grande nonché rumoroso. Può essere facilmente identificato a partire dalla sua impronta radar, costituendo il bersaglio ideale per l’artiglieria o gli elicotteri, per non parlare della fanteria nemica. Come è stato ampiamente e costosamente dimostrato durante alcuni degli ultimi conflitti nel Medio Oriente, non importa quanto sia spessa la sua corazza né abile il suo comandante: in una situazione di conflitto urbano, persino il migliore di loro è letteralmente inerme dinnanzi ad un colpo fortunato. Può talvolta bastare il colpo di un antiquato lanciarazzi proveniente da un vicolo, magari ad opera di una milizia tutt’altro che disciplinata, per bloccare sul posto gli oltre sei milioni di dollari di materiél allo stato dell’arte di uno di questi veicoli, che poi è la stessa cosa che metterli definitivamente fuori gioco. Un carro bloccato, in condizioni di battaglia, va prima o poi abbandonato. Ed a quel punto, un equipaggio responsabile potrà fare una cosa soltanto: distruggerlo con cariche ad alto potenziale, affinché non ritorni di nuovo sul fronte di battaglia, però schierato dalla parte sbagliata. Nessuno vorrebbe trovarsi di fronte ad uno zombie-tank.
Anche per questo, nella progettazione dell’M1 Abrams, collaudato per la prima volta nel 1979, la mobilità è stata tenuta in altissima considerazione. Il mezzo in questione, che con le sue 55-62 tonnellate di peso (a seconda dell’allestimento) costituisce uno dei più pesanti della sua classe attualmente in servizio, è stato dotato di un sofisticato motore composito, in cui un meccanismo convenzionale a benzina riceve la spinta addizionale di una turbina a gas, per una spinta complessiva di 1500 cavalli. Per essere chiari, 500 in più di quelli della Bugatti Veyron, benché il rapporto peso-potenza, naturalmente, sia decisamente meno vantaggioso. O per meglio dire, condizionato dall’obiettivo finale dell’apparato: che nel caso del carro non è l’andar veloci, ma piuttosto, il procedere in modo costante. Sopra ed oltre i colli, nelle ripide valli e fin oltre le postazioni nemiche. Senza risentire eccessivamente di tutto quest’odio esplosivo, l’orizzontale pioggia d’implementi d’offesa tanto generosamente scagliati al suo maestoso indirizzo. E possibilmente, rispondendo al fuoco. Il che ci porta al nocciolo fondamentale della questione. Nel concetto stesso di linea del fronte di guerra, si deve immaginare la necessità di abbandonare le strade asfaltate. L’esercito come strumento storico, che nella sua forma più mobile marcia in un’ordinata colonna, raggiunto il nemico non può sfruttare nemmeno un decimo della sua potenza di fuoco, a meno che non pratichi l’essenziale manovra di schieramento. In sostanza, disporsi in un senso perpendicolare a quello precedente, per riprendere quindi l’avanzata, ma in condizioni diverse. A meno che non si tratti di un corpo d’armata particolarmente piccolo, dunque, o che ci si trovi all’interno della più grande e impossibile piazza del pianeta, soltanto un piccolo gruppo di (s)fortunati continuerà ad occupare quella tipologia di suolo che era stata precedentemente spianata ad uso veicolare, per di più trovandosi particolarmente esposto all’occhio degli armieri nemici. Tutti gli altri dovranno avanzare…Dove…Càpita. Il che può includere, a seconda del teatro di battaglia, foreste, paludi, deserti. Tutti luoghi in cui un automobilista responsabile, persino se alla guida del miglior fuoristrada sul mercato, si avventurerebbe soltanto con ottime ragioni, e per tratti davvero limitati. Considera! Gli imprevisti capitano. E se finisci bloccato nel fango, con un mezzo che pesa quanto una casa di piccole dimensioni, non sarà davvero facile tirarti fuori. Potranno, nei fatti, salvarti soltanto tre cose: un carro attrezzi (più carri attrezzi) dall’estrema possanza, un altro carro armato come te, o l’abilità di guida, se applicata in una condizione comunque recuperabile, ovvero una buca non troppo profonda, né eccessivamente sdrucciolevole. Qualcosa di simile, insomma, a quanto capitato a questo pilota americano, che durante un esercitazione non meglio definita, nel 2012, finiva dentro all’equivalente naturale del fossato del castello di Edinburgo. Cosa fare, dunque, se non dare gas! Ed altro gas, della turbina a gas, nel turbinìo cacofonico di un crescendo di sforzi erculei, nella speranza di non dover chiedere aiuto a qualcuno. Perché se una simile “svista” dovesse giungere fino alle orecchie dello stereotipico, spietato sergente…

Leopard brakes
Nel frattempo, in Olanda…

Il carro armato M1 Abrams fu il risultato imprevisto di un progetto cooperativo degli Stati Uniti con la Germania Ovest degli anni ’60, che mirava alla creazione di un rimpiazzo per l’ormai antiquato M48 Patton, un carro non più all’altezza dei nuovi modelli sovietici. Il veicolo originariamente pianificato, definito l’MBT-70 (Main Battle Tank) sarebbe stato un dispositivo di assoluta originalità funzionale, che vedeva l’intero equipaggio ospitato nella sua grande torretta, con il guidatore seduto in una postazione basculante, che lo manteneva sempre rivolto verso il senso di marcia. Il costo eccessivo, nonché la poca praticità di simili soluzioni, portarono al naufragio dell’idea originaria, mentre i due paesi, portandosi a casa il know-how acquisito, proseguirono ciascuno per la propria strada. Il carro tedesco Leopard del 1974, parimenti a quello americano che tutti ormai conosciamo fin troppo bene, costituisce tutt’ora uno dei migliori esempi d’ingegneria bellica della storia, mentre il suo successore Leopard 2 può facilmente contrastare qualsiasi altra macchina contemporanea. L’assoluta fiducia che i suoi utilizzatori hanno nelle doti tecniche del veicolo può essere facilmente esemplificato da questo strano video emerso dai Paesi Bassi all’inizio del 2014, in cui un gruppo di soldati dell’accademia carristi metteva alla prova i freni di uno di questi mostri da 60 tonnellate, ricoprendo essenzialmente lo scomodo ruolo di un muro per i crash test. Fortunatamente, allora nessuno si fece male, ed altrettanto fortunatamente, una simile impresa da allora non è più stata tentata. Ma torniamo all’altro lato dell’Oceano Atlantico.
L’Abrams, al momento della sua ormai remota introduzione nel ’79, costituiva uno dei primi mezzi militari di terra dotati delle tecnologie informatiche moderne. Con un sistema di calcolo del tiro in deflessione, ottiche dotate di visori notturni e meccanismi di triangolazione relativa per comunicare la posizione del bersaglio agli altri membri dello schieramento, ha costituito per molti anni l’assoluto dominatore dei campi di battaglia, in grado di costituire la forza inarrestabile di una vera e propria postazione di fuoco che poteva irrompere tra le linee nemiche e occupare uno spazio, per quanto ostile, fino al sopraggiungere delle sue truppe di supporto. La sua particolare armatura “Chobham” (dalla località del centro di ricerca nel Surrey inglese che l’ha sviluppata) è costituita da una serie di strati sovrapposti di acciaio, kevlar, polimeri e plastiche, in grado di assorbire l’impatto di quasi qualsiasi proiettile convenzionale. Soltanto le più tecnologiche e moderne munizioni anticarro, dotate di cariche esplosive multiple che esplodono in sequenza, si sono dimostrate in grado di arrecare un qualche tipo di danno diretto a questi possenti veicoli, che nei fatti, per intere decadi, sono state vulnerabili unicamente all’artiglieria ed agli attacchi dal cielo. La loro principale vulnerabilità tattica, piuttosto, è sempre stata un’altra: la necessità di una linea di rifornimenti che possa dirsi del tutto ineccepibile. La turbina di un M1 Abrams consuma, soltanto per giungere a regime, 37 litri di carburante. E a quel punto non abbiamo ancora iniziato a muoverci, attività che richiede, di media, 6,3 litri per miglio percorso, o anche in condizione di stasi, 38 litri l’ora. Si può in effetti dire che una parte significativa della dottrina bellica statunitense, fatta di attacchi fulminei portati avanti con il massimo potere distruttivo a disposizione, sia stata in parte condizionata dallo stile ingegneristico dei suoi dipartimenti tecnici, votati alla ricerca della massima efficacia, anche se spesso a discapito dell’autonomia.
C’è un modo di vedere le cose particolarmente diffuso nella meta-cultura internettiana, secondo cui negli Stati Uniti qualsiasi grande impresa sarebbe sempre condotta a coronamento con costi considerevoli. Mentre “la Russia” (una sorta di entità noetica che include il suo popolo e/o il suo governo degli ultimi 30 anni) risolverebbe i problemi con un geniale tipo d’ingegno raccogliticcio, la sapienza dei nonni applicata alle più ardue situazioni, più o meno guerresche ed insolite. Pensate, per esempio, alla celebre leggenda metropolitana della “penna spaziale” costosissimo implemento di scrittura a gravità zero, che il principale paese dell’allora blocco orientale avrebbe invece semplicemente aggirato, impiegando una mera matita. Certi video, a margine della questione dei carri armati impantanati, sembrerebbero riconfermare la strana linea di pensiero:

T-80 in Mud
Gli ordini russi dei T-80 sono stati recentemente molto ridotti, in attesa dell’entrata in produzione del nuovo mezzo da battaglia nazionale, il T-14 Armata. Molto presto, avremo modo di conoscere la risposta statunitense a questo potenziale avversario.

È un video catastrofico, variegato. Nei fatti, uno strano susseguirsi d’improbabilità, questo mostrato nel contesto del canale Epic Smash Disaster (un nome, un programma) in cui ogni sorta di carro armato si ritrova in condizioni comparabili a quella dell’M1 Abrams di apertura. Non mancano diversi suoi colleghi statunitensi, anche se il centro dell’attenzione, in questo, caso, appare decisamente spostato verso l’altro lato dell’ormai abbattuta barricata (speriamo non ritorni mai). Diversi T-90, il più recente carro armato russo, ma anche alcuni T-80 e quello che sembrerebbe essere, a tutti gli effetti, un antiquato T-54/55, ovvero quasi un residuato bellico ma anche il singolo tank costruito in maggior numero nella storia, combattono a denti stretti contro l’ultimo e il più orribile dei loro nemici: la natura. Fosse acquose, dirupi scoscesi, torrenti rabbiosi. Ce n’è per tutti, mentre da una rapida presa di coscienza dell’intera serie di disgrazie, si acquisiscono istantaneamente alcune nozioni potenzialmente utili: ad esempio che una qualsiasi torretta, normalmente, prima di dis-impantanare il carro, andrebbe puntata verso l’alto e il retro, onde evitare possibili danneggiamenti al cannone. Oppure che non importa quanto sei pesante, l’insieme delle molecole d’acqua di un tranquillo fiumiciattolo potrà comunque riuscire a trascinarti via. Ma la cosa forse più singolare è lo strano campanilismo dei commenti al video, in cui un gruppo di tifosi entusiasti difende a spada tratta le doti di questo o quel carro armato. Quasi che la capacità di liberarsi da una situazione imprevista, in qualche modo, sia la metrica nel valutare l’efficienza di una macchina bellica moderna. E per inferenza, degli interi meriti di un’identità culturale nazionale. Dev’essere la chiara associazione di un veicolo come questi, frutto di un progresso incitato di volta in volta dai nuovi modelli della controparte, al mondo più istantaneamente comprensibile dell’evoluzione. Oppure la chiara somiglianza estetica tra il dispositivo che costituisce nei fatti lo strumento principe del carro armato (il suo “naso”) e quell’altro, anch’esso un’arma nelle mani della trasmissione di un patrimonio genetico verso il futuro. Ma nessuno, su Internet, può sopportare l’offesa rivolta al proprio beniamino di metallo preferito. E come sempre succede, la sostanza preferita per dirimere le accese discussioni resta quella: terra ed acqua, mescolate assieme. Il fango, che corrobora e sprofonda, sotto tonnellate di retorica e tenaci convinzioni.

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