L’imbroglio coniugale delle vongole nei fiumi

Mussels Lure

Si dice che l’amore sia cieco, perché intelligenza vuole dire non guardare all’origine di ciò che è puro e soave sentimento, ovvero proveniente dal profondo della propria umana essenza. Ciò è vero, in buona parte, pure per la vongola Lampsilis ornata, l’abitante bivalve dei gelidi ruscelli del Missouri. Anche perché, ovviamente, non ci vede. Affatto. Figuratevi che nel momento lungamente atteso, l’attimo di gloria della sua riproduzione, il maschio impollina la Luna oltre la remota superficie, perché quasi non può muoversi, almeno non abbastanza da cercare la sua lei. E la femmina di vongola, se per puro caso poi riceve quel prezioso carico da far fruttare, lei libera pure gli embrioni nella rapida corrente, ben sperando che possano ritrovarsi tutte assieme, presso l’ambiente ideale per crescere e prosperare. Ovvero, la bocca di un pesce persico, possibilmente. Se non è chiedere troppo? Come ci riesce, è un epico racconto narrato dagli aedi e fin da tempo immemore, ammirato.
La conchiglia allungata della vongola non è mai del tutto chiusa. Da una parte sporge il suo peduncolo a forma d’accetta, la parte che, contraendosi e tirando a se la bestiolina, gli permette una se pur limitatissima deambulazione. In contrapposizione a quello, invece, c’è il mantello. Si tratta, essenzialmente, della cosa più simile ad un organo complesso nella fisionomia di questa classe di molluschi, una propaggine ricca di terminazioni nervose, normalmente ben nascosta dentro il guscio multistrato in carbonato di calcio, conchiolina e madreperla. Ma non nella stagione degli amori, se così vogliamo chiamarli, quando invece serve come dicevamo per liberare, ricevere e depositare. Presso una banca con le pinne, tutt’altro che collaborativa. Perché il pesce coinvolto, suo malgrado, nella riproduzione della vongola, non è che sia proprio entusiasta della cosa. Ma non può resistere, né rifiutare quel richiamo: le diverse famiglie di vongole, ma in modo particolare quella delle Lampsilis, hanno sviluppato nei secoli e millenni una particolare forma del mantello, incredibilmente simile ad un’alosa, oppure una piccola perca. Uno di quei pesciolini, insomma, di cui il persico si nutre, estremamente realistico, con tanto di occhi, pinne e un accenno di scaglie. Così quello, timidamente qualche volta, altre con tracotanza, s’avvicina. E quando meno se lo aspetta…
Ciò che è statico, da tempo immemore, conduce un doppio gioco con le bestie deambulanti della Terra. La vegetazione che nutre le vacche, l’albero che dà le ghiande, il pomo splendido del melo, ciascun diverso estremo di quella diramazione, fa parte di un sistema. Ed è un meccanismo che prevede si, la perdita inevitabile di una parte insostituibile del proprio stelo, oppure ancora peggio, ciò che sboccia in primavera, poi compie metamorfosi stupefacenti e variopinte, ma in cambio…Manda il seme altrove. Nessun uccello può resistere al richiamo invitante del nudo embrione di albero, la mandorla gettata a terra. Sarebbe per lui, letteralmente, come lasciare dove sta la cioccolata! E per le creature superiori, ciò che serve non è altro che: un richiamo invitante, ancora più gustoso. Il frutto irresistibile dell’ora di pranzo; che se pure tu rimuovi attentamente, con forchetta, col coltello e lo stecchino, di certo questo non fa la scimmia, il cane, il porcospino. Siamo tutti camere d’incubazione, per la metà vegetativa del creato. Forti e duri predatori d’erbe d’ogni tipo, estremamente dotati dal punto di vista fisico (per lo meno, relativamente) ma soprattutto, specializzati. Tanto in alto sulla metaforica struttura dell’evoluzione, che ormai non possiamo neanche più scorgere le molte e variegate alternative, le molte vivaci strategie che scaturivano dal brodo primordiale. Come lancia la tua prole e dopo scappa nel tuo guscio, poi rifallo un’altra volta e così via…

Il mondo sommerso, poi, è ancor più complicato. Come mai potrebbe diffondersi, un mollusco che giace su uno scoglio, ben abbarbicato coi suoi simili, sempre statico, incapace di cercare una compagnia…Eppure, guarda: ci sono vongole di tutti i tipi. Striate, maculate, iridiate. Nei lunghi fiumi degli Stati Uniti, questo onnipresente piccolo animale si era tanto moltiplicato, prima della venuta degli esploratori europei, da costituire una parte imprescindibile della dieta di molte tribù native. Oggi, coltivati nei vasti stabilimenti dell’Estremo Oriente, innumerevoli esponenti della tipologia Mytilidae vengono surgelati, poi spediti verso ogni remotissima nazione.
Nell’ottica omni-comprensiva delle cose, al tempo attuale, quando una creatura viene allevata dall’uomo, significa che ce l’ha fatta. Sopravviverà, davvero molto a lungo. La biologia è strana, a volte, perché a differenza della fisica dei materiali, non osserva regole precise di conservazione dello sforzo alla ricerca di una “via più breve”. O se anche dovesse fare questo, segue strade tanto complicate e imprevedibili, da sfuggire alla dialettica dei numeri, il puro calcolo applicato. La vongola fa così perché…Funziona! Ma perché, funziona? Beh… Chiedetelo a quel pesce disgraziato!

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Una volta inseminato dalla femmina della vongola, il persico prosegue un po’ perplesso la sua vita. Lui non sa, semplice nuotatore spensierato, che la nube polverosa rilasciata da quella strana cosa, assolutamente non commestibile, dura come una roccia, era in realtà fatta di minuscole creature, già in grado di serrarsi come una minuscola tagliola. L’insidiosa evoluzione, in questo modo ha decretato: il cucciolo di vongola, una volta entrato nella bocca del persico, prosegue fino alle sue branchie, dove si aggrappa saldamente (già facendo, in questo modo, come i genitori sullo scoglio). Inizia a questo punto, il periodo maggiormente variegato ed eccitante della sua breve vita di mollusco. Portato in giro, assieme ai suoi fratelli, dall’ospite inconsapevole, gli succhierà il sangue con entusiasmo, filtrandolo con il suo minuscolo sistema digerente, esattamente come in seguito farà con la semplice acqua per trarne gustoso plankton. Cresce e forma il suo guscio, secondo le istruzioni ricevute da un complesso e multiforme codice genetico, finché ad un certo punto, reputando di aver ricevuto abbastanza, si stacca e cade sul fondale. La prima analogia che viene in mente, a noi esseri di terra, è chiaramente quella della zecca. Anche se usare un tale parallelo, in fin dei conti, è offensivo per il vivace insetto tondeggiante e pasciuto, come per la frastagliata conchiglietta, statica e meditativa.
Curioso, come una forma di riproduzione essenzialmente aggressiva e parassitaria come questa, possa trovare posto nel ciclo vitale di un essere tanto passivo all’apparenza. Siamo abituati a temere ciò che si sposta rapido, mangia voracemente: le cavallette che divorano i campi coltivati, le vespe che ti invadono l’abitazione. Ma che potrebbe mai fare, una semplice conchiglia nel mare? Beh, a quanto pare, parecchie cose. Questa famiglia di vongole è estremamente prolifica e invasiva. A tal punto funziona efficacemente, questo sistema d’inseminazione truffaldina, che una particolare specie, quella delle cosiddette zebra mussels (Dreissena polymorpha) è riuscita a colonizzare l’intero continente statunitense, cadendo accidentalmente fuori dalle sentine delle navi provenienti dall’Europa. Nelle acque assai pescose di quei luoghi d’oltreoceano, quindi, si è moltiplicata all’infinito, filtrando e pulendo l’acqua senza un minimo di autocontrollo. Finché alla fine, antichi laghi ricchi di microorganismi, muffe e altre curiosità biologiche non sono diventati specchi purissimi, limpidi quanto l’acqua del ferro da stiro. Così delicati, sono gli equilibri del sistema ecologico del mondo! E basta tanto poco per cambiare radicalmente le regole del gioco.
Pensateci: la vongola non ci vede, non sente e non ha la minima concezione di cosa sia un pesce persico, tanto fondamentale. Essa semplicemente giace e libera nell’acqua, come hanno fatto mille generazioni prima di lei, il suo materiale biologico e parassitario. Ma se la vongola non dispone di un’esca funzionale, il semplice stato di fatto garantisce la sua incapacità di riprodursi. Così, volta dopo volta, una spruzzata di seguito all’altra, prevale la sempre maggiore somiglianza.
Ci vuole, ovviamente, un tempo molto lungo. Mentre esiste almeno un caso teorico, in cui la trasformazione della vita marina verso un qualcosa di utile alla sua sopravvivenza sarebbe stata indotta per l’effetto delle usanze umane: L’Heikeopsis japonica, comunemente detto granchio Heike, rassomiglierebbe per le pieghe della corazza sulla sua schiena il volto infuriato di uno dei samurai sconfitti ed affogati nella battaglia navale di Dan-no-ura, combattuta nel 1185 presso lo stretto giapponese di Shimonoseki. In un’interpretazione pubblicata nel 1952 dal biologo Julian Huxley, tale somiglianza sarebbe aumentata negli anni, per l’effetto dei pescatori superstiziosi del luogo, che da quell’epoca rigettavano in mare gli animali in cui tale terribile rassomiglianza si presentasse come maggiormente pronunciata. Ecco che può fare la mano dell’uomo: milioni di anni d’evoluzione, accelerati in appena un millennio di attiva partecipazione. Siamo davvero…utili? E chissà che molto presto, le vongole non inizino ad inseminare pure noi!

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