Caposcuola dello sminamento cambogiano

Aki Ra

Se si dovesse realizzare una classifica dei peggiori cinque incubi notturni, assai probabilmente includeremmo questo: noi che avvistiamo tra la terra smossa un’invitante noce di cocco. Noi che la strappiamo dal groviglio di radici del selvaggio sottobosco, a colpi di feroce zappa, poi la solleviamo sulla punta di una lama di coltello. Per percuoterla, squarciare la sua scorza e farla a pezzi, prima di renderci conto… Che quello non è un frutto. Ma una bomba, il presupposto della fine! C’è un paladino che tale precisa sequenza di gesti la ripete giorno dopo giorno, dal 1991. Non per obbligo costituito, bensì per scelta e senso di profonda responsabilità.
Aki Ra, il suo nome di battaglia. Quello vero, non ci è noto. Tale appellativo andrebbe detto almeno per due volte, come le contrapposte vite che ha vissuto l’uomo. Se Aki Ra avesse del semplice ghiaccio nelle vene, probabilmente proverebbe molto caldo. Il suo sangue, infatti, dimostra poco meno della temperatura di Plutone, moltiplicata per l’inverso della radice cubica di una cometa. Eppure la sua mano, lungi da tremare per il freddo, è precisa come il tocco del chirurgo volontario, che rimetta in sesto l’innocente vittima di un esplosione. Il suo operato personale, del resto, è assolutamente comparabile nella difficoltà. Dal punto di vista dell’utilità. Nonché della funzione. E molto superiore per il rischio! Visto come si realizza sotto il fuoco potenziale di un nemico subdolo, ormai defunto eppure ancora pronto a far del male incalcolabile, per decreto delle tristi leggi di un conflitto universale. Quello che ci porta spesso e volentieri, come bipedi territoriali, a bersagliarci vicendevolmente con pallottole perforanti, usando razzi esplosivi, con missili a ricerca e bombe distruttive. Nel tentativo di raggiungere il terribile Nirvana della morte, un sistema finale per decidere chi ha meno torto. Ah, l’adempimento dell’eterna sofferenza! Aki Ra conosce bene questa problematica. Lui, che nacque, già quasi lavorando tra le risaie della sua terra, in un periodo veramente sfortunato: tra il 1970 e 1973, all’incirca. Non lo ricorda, né potrà mai saperlo. La sua biografia imprecisa, per il modo in cui appare su diversi siti web, assume il formato singolare di una serie d’episodi, come varie immagini di una vicenda travagliata, brevemente illuminate dal bagliore d’esplosioni rivelatorie. Primo lampo: la sua gioventù, quando entrambi i genitori, per motivi poco chiari, furono uccisi dagli Khmer Rouge. Secondo lampo e scoppio del minuto: lo ritroviamo a 10 anni, con un fucile di provenienza russo tra le mani, che viene addestrato, suo malgrado, in qualità di bambino del regime. Suo, del resto, fu il destino di un’intera generazione nazionale, coinvolta dai conflitti che servirono a ridefinire, più e più volte, il bordo impenetrabile tra le sfere d’influenza. Un concetto tanto pericoloso quanto deleterio, così inutile da non manifestarsi neanche nelle mappe del futuro. Ma che richiedeva, nonostante questo, sangue, piombo e terra di nessuno. La quale, generalmente o preferibilmente, impraticabile. Terzo scoppio… Aki Ra, preso prigioniero dall’esercito vietnamita, viene messo a lavorare. Piazzerà, negli anni dell’adolescenza, un imprecisato numero di mine. Chissà quante sono ripassate, ad anni di distanza, tra le stesse ferme mani!

Kurt Vonnegut (1922-2007) il grande autore letterario del pacifismo statunitense, descrive nel romanzo Mattatoio n.5 la triste vicenda, avvenuta nel secondo conflitto mondiale, del bombardamento a tappeto della città di Dresda, da lui vissuto in prima persona, come prigioniero dei tedeschi. Parla a lungo, usando lo strumento della fantasia, di come funzioni la mente delle persone in quei momenti, prese nell’abisso terribile della violenza. Ma nel momento culmine della tragedia cittadina, la descrive in modo curioso ed assurdista. Si tratta di un brano spesso citato nelle antologie: gli aerei americani sorvolano volando in retromarcia la Germania in fiamme. Esercitando una sorta di forza sovrannaturale, risucchiano metodicamente la totale distruzione sottostante, all’interno delle loro stive di metallo. In qualche modo, lì dentro, i piloti incapsulano il fuoco in solidi cilindri neri. Costoro attraversano quindi l’Atlantico ed atterrano, sempre all’incontrario, sulle piste delle basi negli Stati Uniti. Qui del personale specializzato disarma i velivoli, prendendo quegli strani oggetti e trasportandoli fino alle fabbriche di smantellamento. Dove le bombe vengono ridotte alle materie prime, dunque risepolte nelle viscere del mondo. È un immagine altamente poetica, questa, che si ritrova realizzata nella vita adulta di Aki Ra.

Aki Ra 2

Ricapitoliamo. Un orfano di guerra. Un bambino soldato. Un addetto al piazzamento delle mine vietnamite. E al quarto lampo di luce con il botto, questa volta frutto di una lunga alba, lo rivediamo oggi, adulto e curatore di un museo. Cosa ci sara mai, tra quelle mura? Indovina!
A partire dal 1991, Aki Ra trova impiego come consulente operativo delle Nazioni Unite. Così inizia la sua utile, magnifica passione: dare la caccia agli ordigni che un tempo lui stesso disponeva. Come membro dell’organizzazione umanitaria UNMAS (United Nations Mine Action Service) sfrutta dapprima i mezzi della ragionevolezza. Usando tute protettive, metal detectors, strumenti e vari tipi di flagelli, lavora senza mai stancarsi. Forse proprio in questo periodo si era guadagnato il suo nome internazionale e maggiormente noto, ad opera di un collega giapponese. Un gioco di parole sulla compagnia di macchine industriali AKIRA, vera antonomasia d’efficienza. O magari proveniva dal manga di Otomochi lo sa… Terminato il suo contratto di un solo anno, tuttavia, lo sminatore prosegue nel suo lungo lavorìo. Stavolta privo di altri attrezzi, che un coltello, un bastone ed una zappa, si avventura tra i villaggi della giungla, in cerca di individui mutilati. Una vista trucemente comune, in tali luoghi. Per lui, un segno molto chiaro. Di essere nel punto, e nel momento, per rimettersi a scavare. E snocciolare, enucleare tali orrende cose.
A partire dal 1999 Aki Ra, che aveva comprensibilmente accumulato nella sua casa un alto numero di ordigni decommissionati, ormai innocui, inizia a farsi pagare dalla pletora di curiosi, che ogni giorno venivano a vederle. Così nasce il Museo cambogiano delle mine, destinato a trasformarsi in un’istituzione valida e riconosciuta. Ad oggi tale complesso, ricollocato nei pressi di un tempio e a circa 25 Km dalla città turistica di Siem Reap, ha il merito di finanziare, con i suoi profitti, la crescita e l’educazione di decine di bambini, tutti vittime, in qualche maniera tristemente evidente, di tali residui bellici esplosivi.
Difficile non entusiasmarsi, dinnanzi ad una tale risultanza. Come nel vederlo all’opera, tanto sicuro da scardinare i pezzi delle bombe a colpi di tagliente lama. Nel suo caso, l’espiazione è semplice da calcolare. Avrà già rimosso un numero di mine superiori a quelle messe a terra in gioventù? Probabilmente, chi lo sa. Ad ogni modo il suo Purgatorio, frutto di una scelta imperitura, ha soltanto due possibili coronamenti. Possa dunque continuare a rinnovarsi, fino alla fine della Guerra stessa.

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