Il simbionte Pokèmon si clona per tre volte su YouTube

Pokemon Casey Neistat

È il più grande male di questo secolo, creato per fare profitti sull’inedia delle ultime generazioni. È un’influenza straordinariamente positiva, che insegna l’importanza dell’iniziativa e di trascorrere del tempo assieme agli altri! È una moda del momento, destinata a scomparire come i raggi B vicino alle porte di Tannhäuser. È una tradizione decennale, da sempre ben concepita, che ha trovato un nuovo metodo d’esprimersi grazie al linguaggio nuovo dei computer-telefonici da taschino. È bello, è brutto, è fecondo e creativo, è biecamente commerciale. È la cosa in merito alla quale tutti, proprio tutti politici e calciatori inclusi, debbono avere un’opinione in questo luglio del 2016, alla stregua di ogni evento su scala globale che si rispetti, ed in determinati circoli ancor più delle disgrazie e duri fatti storici di questi ultimi tempi. Ciò soprattutto perché, esattamente come il topo giallo Pikachu, esso genera una sorta di energia potenziale, che attrae l’attenzione della gente generando interazioni, fiumi di commenti, click a profusione. Sembra in effetti che tutti amano detestarlo, e al tempo stesso, amino detestare amarlo. È l’argomento che si perpetua sulla bocca di tutti, perché costituisce nei fatti l’unico, di questa intera estate, che non offende nessuno, è leggero, non ha la colpa diretta di alcun perdita di vite umane (benché alcuni argomentino che almeno una persona sia stata uccisa in Guatemala, proprio MENTRE giocava a Pokèmon GO) e soprattutto, può servire ad occupare alcune ore con piacevolezza, tra un terribile telegiornale e l’ansia di dover presto iniziare la scalata del muro dei compiti delle vacanze. Così esso si propaga. Come una forza inarrestabile, costituita dalla pluralità di creature originariamente concepite da Satoshi Tajiri, il progettista di videogiochi fondatore della Game Freak, e disegnate dall’illustratore Ken Sugimori nel 1996. Esattamente le stesse 151 che oggi costituiscono l’intero roster della fenomenale App per cellulari Apple & Android, ricreate e connotate, attraverso gli anni, come del resto ogni altra produzione che sia stata in qualche modo associata al grande nome di Nintendo, da un’infinità di opere creative dei fan, tra fumetti auto pubblicati (dōjinshi) opere narrative derivate (fan-fiction) mini-esperienze interattive in Flash e poi questa sempre più diffusa modalità espressiva dei nostri tempi, il video d’azione su YouTube. Un qualcosa che generalmente ottiene un buon successo di pubblico, almeno a patto che: 1 – l’autore abbia un nome ed un volto noto; 2 – Il tema affrontato si allinei ad una fad primaria del momento e/oppure 3 – l’opera possa beneficiare di un ottimo comparto esteriore, ivi comprese acrobazie di stuntmen, location appassionanti, validi effetti speciali.
Sarebbe dunque semplicemente assurdo, con quest’aria dalla palpabile impedenza che tira, non attaccare un generatore di popolarità ai propri eventuali punti 1, 2 e 3, per lasciare che le proprie sponsorizzazioni affiliate pay per view facciano piovere milioni di prese di coscienza popolari sulla propria opera d’ingegno, generando quel punteggio che la vera misura del proprio successo internettiano: profitti, profitti, profitti! Volete un esempio? L’avrete forse già cliccato, in apertura del presente articolo: il buffo inseguimento intitolato “Pokémon Go IN REAL LIFE” dell’autore di video virali e film-maker Casey Neistat, uno dei pochi del ramo ad essersi espansi a pieno titolo nel regno dell’entertainment tradizionale, grazie alla sua trascorsa collaborazione con la HBO per la serie autobiografica The Neistat Brothers (a dire il vero, non esattamente un successo di pubblico e di critica ad alcun livello). Nel quale il creativo-regista-attore, diventato famoso in origine nel 2003 per la giustificata filippica che presentò pubblicamente alla Apple, in merito alle batterie non (ancora) sostituibili degli iPod, sale sul fido skateboard, indossa l’iconico cappellino di Ash Ketchum e si lancia all’inseguimento folle di un suo amico yuru-chara per le strade della sua beneamata New York. Ovvero, il Pikachu gigante, una creatura che ben conosciamo, sopratutto in forza delle marce periodicamente organizzate in Giappone dalla Nintendo stessa, con letterali centinaia di figuranti abbigliati con lo stesso ingombrante costume, un’espressione direttamente indossabile della cultura, tipicamente nipponica, relativa a personaggi in qualche maniera graziosi impiegati per rappresentare particolari situazioni, luoghi ed eventi. Ma che in un contesto così chiaramente occidentale, finisce piuttosto per assomigliare ad una sorta di candid camera, realizzata sul modello di quelle del famoso autore francese Rémi Gaillard, che è solito vestirsi da animale per andare a provacare i passanti e la polizia. Intendiamoci: l’intenzione in questo caso non è direttamente quella di creare disturbo, eppure il caos che il protagonista con il suo amico riescono a causare sembra tutt’altro che trascurabile, forse anche grazie alla suggestiva e bizzarra colonna sonora della canzone “Pokèmon ierukana?” (Possibile che si tratti di Pokèmon?) opera dell’eclettico musicista Imakuni? (il punto interrogativo fa parte del suo nome d’arte) che è solito comparire con la sua tuta aderente nera e le orecchie di Topolino in occasione delle più importanti convention sui mostri virtuali tascabili del suo paese. Così è soltanto con l’agognata cattura finale che, finalmente, la città potrà tornare in pace. Ma tale condizione altamente agognata non costituisce, in effetti, altro che una fuggevole illusione…

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Se Pac-Man fosse un microbo, come diventerebbe il fantasmino?

Microbe PacMan

Una domanda Importante. Per uno studio biologico dal peso…Effimero, proprio come ti aspetteresti dalle regioni del meravigliosamente piccolo, ove 50 µm (micrometri) sono sufficienti a contenere testa, corpo e coda, anzi pardon, flagello, l’unico organo di moto o arto che dir si voglia ad essere presente nella dotazione fisica di molte specie di protisti nuotatori. Minuscole creature, affini al regno dei batteri nella classificazione tipologica, benché molto più grandi e niente affatto somiglianti ad essi, per caratteristiche, aspetto e potenzialità. Ma nessuno sa davvero dove posizionarli, all’interno dell’enciclopedia. Roba da farti venire voglia di metterli alla prova, per comprendere non solo ciò che li distingue, ma anche i pochi punti che li accomunano a noi giganti, animali eucarioti con tanto di membrana cellulare, cervello e muscoli prestanti. Così come fatto, per l’appunto, dai membri di un gruppo di studio del College Universitario del Sud-Est della Norvegia, che procuratisi una certa (notevole) quantità di queste creature ha costruito, sfruttando l’assistenza del film-maker Adam Bartley, la più fedele riproduzione di un classico della sfida contro se stessi, e le gravose circostanze: un ambiente rettangolare al centro, tre mezze T sopra di esso, altre due rivolte verso il basso. Segmenti paralleli a profusione e alcune scatole più grosse, pareti impenetrabili ed impressionanti. L’avete riconosciuto? Certo che si. Bastava leggere il titolo! È un luogo, questo, bene impresso nella mente e nella memoria di qualunque giocatore digitale che si rispetti, ma anche del conoscitore medio della cultura Pop degli ultimi 30 anni: il labirinto della cosa che fa PAC-PAC-PAC, divorando pillole giallognole mentre i quattro spettri Akabei, Pinky, Aosuke e Guzuta (in Occidente Blinky, Pinky, Bashful e Clyde) fanno di tutto per riuscire a catturarlo e liberarsi della sua presenza indesiderata. Uno scenario, all’apparenza, indubbiamente fantasioso, creato all’epoca dal designer Tohru Iwatani per la sua casa produttrice di macchine da sala giochi, la Namco. Che tuttavia grazie a quanto qui dimostrato, sembrerebbe avere qualche cosa di più simile alla vita reale di quanto chiunque, tra i suoi estimatori, avrebbe mai pensato di affermare.
Il primo punto distintivo della scena è la sua straordinaria piccolezza: l’intero labirinto così ricreato misura in effetti appena un millimetro, e si trova ospitato su di un semplice vetrino da microscopio. Mentre i suoi diversi occupanti, come potrete facilmente desumere al primo sguardo, non raggiungono che una frazione di tale misura già considerata poco significativa. Ve ne sono, ad ogni modo, di tre tipi. Due pacifici ed uno straordinariamente vorace ed aggressivo. Ma andiamo con ordine: i più comuni, e rapidi, attori della scenetta sono dei normalissimi ciliati, micro-organismi unicellulari che si trovano nelle pozze o specchi d’acqua di ogni parte del mondo. Facilmente riconoscibili per l’approccio evolutivo assai particolare da loro selezionato per risolvere il problema della locomozione, ovvero l’impiego di un certo numero di flagelli di entità ridotta tutto attorno al loro corpo, caratterizzati da una forma più ondulata per facilitare il direzionamento della marcia verso il cibo, la compagna o il bisogno ancor più basilare di mettersi in fuga da un pericolo che incombe. Cosa che qui, dovranno fare molto presto e di frequente. Alcuni in effetti, non si capisce se scherzosamente o con assoluta sincerità, lamentano nei commenti la loro percezione dell’intera faccenda come una sorta di violenza sugli animali, per quanto insoliti, privi di colpe e meritevoli di un ulteriore senso di rispetto. Peccato soltanto che nessuna delle creature fin qui citate, in effetti, sia un animale.

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L’acrobatismo degli idraulici e del ragno umano

Super Mario Parkour

Che cosa magnifica, il Fair Use! La norma legale, vigente negli Stati Uniti, secondo cui personaggi, concetti o creazioni di proprietà di un’azienda anche straniera possono essere impiegate da creativi terzi, con la finalità di mettere assieme un qualcosa di sostanzialmente originale, utile o davvero interessante. Sarebbe infatti questa, fra i tanti, uno dei pilastri più importanti del web. Ovvero il fatto che il copyright, pur restando sacrosanto, possa talvolta essere piegato o reso collaterale, all’accrescere il patrimonio cognitivo della collettività. Perché resta fondamentalmente vero il fatto che nell’attimo del click selvaggio, quando una persona è in cerca disperatamente d’intrattenimento, il suo browser tenda a muoversi come il proverbiale mulo che conosce già la strada. Se io dicessi: guarda, il nuovo video dei Dark Pixel! Quanti saprebbero di cosa sto parlando? Mentre prova tu, a presentare l’opera come l’insieme di tre parole chiave: “Super”, “Mario” e “Parkour” per assicurarti una visibilità di certo assai maggiore, nonché la ripubblicazione del tuo materiale presso l’esercito dei siti di settore, o canali tematici quali YouTube Games. È una semplice realtà dell’era digitale, quella secondo cui ottiene il successo unicamente il volto noto. Mentre tutti seguono, belando, l’impronta fantasmagorica del brand. Mentre storicamente non tutti gli executive d’azienda, all’altro capo della filiera produttiva, si sono dimostrati in grado di capirlo. La stessa pluri-ventennale Nintendo, ad esempio, ha alle sue spalle dei lunghi periodi di diffidenza verso l’uso non direttamente autorizzato dei propri beneamati personaggi, con ordini di rimozione o vari tipi di lettere inviate dai legali, finalizzate alla rimozione di questa o quella re-interpretazione. Benché si giunga eventualmente ad un momento, particolarmente significativo, in cui la quantità, e talvolta addirittura qualità, di quanto viene prodotto dalla moltitudine dei fan tecnicamente competenti, finisce per superare quella degli spin-off per così dire, ufficiali. Ed a quel punto, che fermarli diventa contro-producente, sia dal punto di vista pratico, che dell’immagine internazionale. È una sorta di applicazione digitale, gioiosa e coloratissima, del principio della vecchia vita di frontiera. Chiamiamolo, se vogliamo, una sorta di Fair West.
Gente che comprende l’immaginazione. Persone che, acquisita l’abilità di impiegare il computer per creare ogni sorta di mondo fantastico, sono rimasti con i piedi bene saldi a terra, riuscendo a intravedere, dietro semplici muretti o vari tipi di arredo stradale, dei portali verso gli infiniti regni del divertimento. Sono quattro persone, volendo ridursi al nucleo degli autori fissi, ciascuna con un ruolo chiaramente definito. Landon Sperry, grafico degli effetti speciali. Suo fratello Casey, regista e addetto al montaggio. Mike Brown, musicista. Matt Morrel, specialista del compositing (l’amalgama dei diversi elementi visivi). Già gli autori di innumerevoli cortometraggi dedicati al mondo del cinema e dei videogiochi, liberamente disponibili sul loro vasto canale di YouTube, i Dark Pixel non sono soliti ripetersi, né reimpiegare vecchie idee. Ma hanno recentemente deciso di fare un’eccezione, con questo secondo episodio di quella che potrebbe a questo punto diventare anche una serie, visti gli alti valori di produzione e stilistici, finalizzati a mostrare due dei personaggi più famosi di questa generazione, il rosso e il verde idraulico del Regno dei Funghi, alle prese coi consueti pericoli più o meno semoventi, ma per una volta in un contesto niente affatto virtuale: i due campus delle Università dello Utah e della Utah Valley, entrambi siti nello stato di provenienza del fenomenale gruppo di filmmakers, senza comunque rinunciare alla partecipazione di due attori d’eccezione. Entrambi figure degne di nota all’interno dello sport in questione, che a sua volta, non sarebbe stato di certo sconosciuto ai grandi salvatori in tuta delle principesse rosa in difficoltà.

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La chiave per vivere Tekken a 360 gradi

Jacobus Kazuya

“Kakatte koi!” Fatti avanti, Ryu. O come ti chiamano da quando porti l’oscuro karate-gi nero, “Evil” R. Ma forse è per tutto un insieme di fattori, tra cui (incidentalmente) gli occhi illuminati di un sovrannaturale alone color del sangue, o magari la tua aura fiammeggiante d’energia, che si espande all’impatto di ciascun calcio, oppure pugno micidiale all’indirizzo di qualcuno. Illuso. Tu non conosci la vera malvagità. Non a caso, ti manca quella D all’inizio del tuo soprannome, che fa seguito all’equivalenza riammodernata della tua presenza in pixel sovrapposti, realizzata in tempi più recenti nella prefigurazione di colui che hai lì davanti, e che ti chiama col suo intento di assoluto annientamento. Guardalo, molto bene. Forse non riconoscerai, nei lineamenti e per la folta barba però niente affatto a punta, la figura temibile di Kazuya Mishima, l’uomo che ha rinunciato a tutto, incluso allearsi con il proprio stesso figlio contro il grande nonno Heihachi, sulla strada per diventare il combattente più formidabile del mondo. E di certo non vedrai le ali membranose da pipistrello oppure Diavolo, che assieme alla carnagione violacea, gli artigli a mani e piedi, la lunga coda appuntita, valsero a costui l’appellativo (vagamente Dantesco) di Devil, o per meglio dire “lu” demonio. Però non c’è nulla di strano in tutto questo: perché punto primo, se fosse giunto sulla scena già completamente trasformato, dove sarebbe stata la sorpresa? E punto secondo: qui siamo in realtà all’interno spazio fisico, della palestra pienamente accessoriata in cui si muovono persone veramente vive, tra cui niente meno che lo stuntman Eric Jacobus, uno stuntman/combattente versato in molte arti marziali differenti. Nonché un creativo, e un attore dalle doti tutt’altro che trascurabili, i cui principali ispiratori dichiarati sulla pagina di Facebook sono “Jackie Chan” e “Charlie Chaplin”. Una combinazione che sarebbe riduttivo definire…Scoppiettante.
La passione per il cinema e quella per le tecniche di offesa disarmate s’incontrano piuttosto raramente, soprattutto qui da noi in Occidente, ma è indubbio che ogni qualvolta ciò avvenga, il mondo si colori di una vera supernova in miniatura, non dissimile da quelle che fioriscono all’impatto di ogni colpo del presente video, con diciture funzionali come HIGH o LOW, virtualizzate sul modello del preciso luogo di provenienza delle due figure principali: Ryu di Street Fighter, che fa atto di presenza immobile e agisce come un manichino bidimensionale, e Kazuya di Tekken, più in forma e tangibile che mai. I protagonisti delle rispettive serie di videogiochi, nonché probabilmente i più celebri rappresentanti del genere ludico/interattivo dei picchiaduro 1-vs-1. E “Non è la prima volta che si scambiano mazzate!” Verrebbe da esclamare, ricordando il videogame crossover (ingiustamente criticato) che uscì nel 2012 su tutti principali sistemi in grado di ricevere l’input di un joystick, e persino oltre, con una curiosa riduzione touch per gli smartphone della Apple. Benché qui, è evidente, la situazione si presenti con dei presupposti e finalità del tutto differenti. Perché siamo di fronte, in effetti, alla più originale dimostrazione di arti marziali. Mr Jacobus, basandosi sullo studio approfondito e “sul campo” di un probabile schermo fuori dall’inquadratura, con la sequenza ciclica delle diverse movenze o “combo” di Kazuya usate da riferimento, pedissequamente riprodotte a beneficio degli spettatori. È un’iniziativa divertente e originale, che risulta utile a dimostrare come molte delle mosse ritenute impossibili fossero in effetti niente altro che la riproposizione su schermo di una probabile sessione di motion capture, quindi derivanti dalle effettive capacità di una persona in carne ed ossa, esattamente come l’unico personaggio reale di questo insolito show. E del resto sul finale pirotecnico, quando le cose iniziano a farsi davvero concitate, c’è sempre la post-produzione che può dimostrarsi in grado di darti una mano…Gatto permettendo.

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