Sculture-formicaio create grazie all’alluminio

Ants cast

Uno strano alberello di Natale, questo qui. Tanto per cominciare, non ha gli aghi. Sfoggia il colore argenteo di un vassoio in sterling, però pesa quasi nove chili. Appoggiato sopra a una robusta base ovale in legno, per oltre 40 cm si sviluppa in ramificazioni capillari, bulbi globulari, blocchi granulosi. L’asimmetria di una scultura che ha, o per lo meno aveva, uno scopo estremamente definito: viverci dentro…Tastando i pavimenti con le mandibole, strofinandosi le antenne, prima di metterci 6 zampe, l’una dopo l’altra, in cerca della camera della Regina. Perché per esplorarlo dall’interno, se non fosse ancora chiaro, bisognava essere formiche. Per farlo adesso, usando invece gli occhi, basterebbe metterlo sul caminetto, così, girato all’incontrario.
Avete mai dovuto condividere gli spazi personali con le valide esponenti della specie myrmicinae? Piccole instancabili creature, che camminano dovunque, esplorano i pertugi, si mangiano quello che gli riesce di trovare. Dove ce n’è una, presto ne arrivano dozzine, centinaia. “Operaie” dell’appropriazione indebita. Guerriere pronte a una crudele auto-immolazione! Fuchi volanti, sciamati sulle lampade o i televisori! E c’è anche di peggio, come queste solenopsis, le altrimenti dette formiche del fuoco. Dal morso velenoso, doloroso, fonte di ulcere o rischiose anafilassi. Oh, my! Non dentro al mio giardino! Qualcuno potrebbe pure innervosirsi, scavare una buca nel terreno, scaldarla fino a 660 gradi celsius, squagliarci l’alluminio, riversarlo dentro a un crogiolo e poi mettere in pratica la sua vendetta. Un piatto da servire caldo, anzi caldissimo.

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L’oceano metallico dei pesci a serratura

The Deep

C’è un singolare merito, oltre alla bellezza scenografica, nei corti animati dell’artista americano PES – al secolo Adam Pesapane, nato nel ’73. L’immediatezza del metodo creativo. L’atmosfera è rimediata, casuale nelle procedure di trasformazione di ciascun elemento della scena. Stavolta poi, che scena! Proprio là, nel mezzo delle più profonde tenebre marine, dove si percepisce il mondo soltanto con metodi particolari, dalle sue poliedriche invenzioni visuali, pesci e bestie misteriose, sfugge un guizzo di verismo che non può che provenire dall’interno; dell’anima ribelle, della mente anticonformista o della discarica sommersa, luogo in presunta opposizione verso l’immanente mondo naturale. Di un’introduzione, tanto per cambiare, non v’è traccia. E senza circostanze, resta solo l’immaginazione.
Non si sa come, né perché, le pinze nuotano nell’acqua torbida, piantate dentro ad un morsetto. Così è, la cernia, in questo mare d’eccedenza dal mondo della logica comune. Senza un suono, si nutre d’invitanti “alghe” dentellate, ingranaggi di un sistema mai studiato; sullo sfondo, scorrono le chiavi, chiavette o sardine, stranamente bio-luminescenti. Dissolvenza. Un batrace di stoviglie che placidamente rasenta le catene. Alghe? Chi può dirlo? Di nuovo dissolvenza. E sguisciano desuéti compassi metallici-barra-meduse, sommersi come quello utilizzato dal divino Sir Isaac Newton, nella stampa allegorica di William Blake (1757 – 1827), poeta, filosofo nonché dichiarato maestro storico di questo autore, il nostro genialoide PES. Che quivi ce ne ha messe molte altre, di cose metalliche (per niente arrugginite). Strumenti musicali, tenaglie, attrezzi a pappagallo e robuste chiavi inglesi. Ciascuna trasformata in una fiera abitatrice d’acque scure, tanto lugubri e tombali. In un’intervista, pubblicata sul portale Motiongrapher, ci racconta del metodo usato per creare tale suggestiva ambientazione: pochi effetti digitali, forniti dal collega Wolfgang Maschin dello studio dei Demiurge, e poi molte particelle di polvere, ripresa in più passaggi sopra un telo nero, con messe a fuoco differenti. Tutto è analogico con PES, spontaneo, come fosse un gioco. Da bambini – personalità che abbiano, soprattutto, un gusto sviluppato per l’insolito, voglia di sorprendere vetuste percezioni soggettive.

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L’argenteo pennuto metallico d’Inghilterra

Silver Swan

Passa il tempo, si compiono i gesti, ripetitivi. Mangiando, dormendo, tutti gli esseri sembrano uguali. Le stagioni corrono, inesorabili, come lancette di un orologio. Meccanismi del mondo animale, pennuti. L’identità è nei dettagli: di uccelli che cantano, volano? Ne abbiamo milioni. Splendidi e variopinti, qualche migliaio. D’argento e d’oro, bé, se ne vedono pochi. Come questi, nessuno. Il cigno d’argento del museo di Bowes vive, per così dire, dentro un alto castello. Vi giunse, attraverso le alterne vie aeree del fato, nel 1872. Al suo nido, giorno dopo giorno, accorrono centinaia di esseri umani, per trarne un ricordo, una foto, il video di un incredibile evento. Lui, con eleganza, flette il suo collo. Si risistema le penne. Mangia un pesce. Sempre lo stesso! Vanesio, magnifico cigno. Sei soltanto un automa, non potrai digerirlo…
Nel 1869, John Bowes, figlio del decimo Earl di Strathmore, e sua moglie, la contessa di Montalbo, misero in atto un enorme progetto. La costruzione di un museo delle meraviglie, con gallerie d’arte, sculture, vasti giardini e luoghi di ristoro. Investirono, secondo una stima, più di 100.000 sterline, con l’obiettivo dichiarato di far comparire magicamente, nella campagna inglese della contea di Durham, l’anacronismo di una reggia francese del Primo Impero. Tra quelle mura, progettate dall’architetto Jules Pellechet, avrebbero posto tesori di ogni tipo, dipinti e gioielli. Le manifestazioni fisiche dell’ineffabile mondo dell’arte. Questa, avevano deciso, sarebbe stata la loro eredità al mondo: un’enorme finestra sull’infinito. Come spesso capita, non mancarono le critiche. Nell’orgogliosa Inghilterra vittoriana, si pensava che l’edificio fosse inappropriato, mancasse di una giusta identità nazionale. Persino dalla lontana Germania, Nikolaus Bernhard, studioso d’arte coévo, lo definì: “Sproporzionato, più simile al municipio di un paesino della Provenza”. I tempi si allungarono, al punto che 20 anni dopo, purtroppo, la costruzione risultava ancora incompleta, chiusa al suo auspicato pubblico. I due mecenati, ormai anziani, passarono oltre. Non prima, tuttavia, di aver disseminato le vaste sale di oltre 800 dipinti, varie cose e…Almeno un uccello. Il cigno d’argento di James Cox. Ancora oggi, alle 14:00 di ogni giorno, risuona il suo canto. E quel singolo, dannato pesce nuota in un fiume di vetro, inespugnato.

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L’uomo che vive nel cubo di New York

Man in a Cube

Un’intera casa, obliqua, che ruota liberamente di 360 gradi, dotata di gabinetto chimico, tavoli a scomparsa e un pratico generatore a pedali. Nascosta dentro a un cubo, che dovrebbe, in teoria, servire per tutt’altra cosa. Che poi sarebbe il celebre capolavoro di Tony Rosenthal, pioniere dell’interazione fra l’artista degli spazi pubblici e chiunque passi di lì, chiamato da lui a partecipare, volta per volta, della sua caratteristica creazione. Magari non in questo modo tanto viscerale. Gli scultori dell’astrattismo, piuttosto che rappresentare la figura umana, per veicolare un messaggio scelgono una forma. Ma come direbbe Platone: non si può assegnare un peso a questa grande geometria. I solidi dell’empireo, che descrivono i confini della materia, fluttuano liberi nella psiche, perfettamente ineffabili nella loro sublime sacralità. E più le cose sono simmetriche, ineccepibili, meno si prestano alla gretta quantificazione da parte delle moltitudini. Tranne quando si riesce, in qualche modo, a dargli forma materiale. Bisogna intrappolarli nella prigione del metallo solido, sostanza costruttiva d’elezione. Allora una gravità, inevitabilmente, ce l’hanno: quel cubo, ad esempio, pesa giusto 830 Kg. Per usare un termine di paragone, la sfera bronzea del Ministero degli Esteri, di Arnaldo Pomodoro ha una massa di 10 tonnellate circa, quasi 12 volte tanto. Che opere, che arte! Verrebbe voglia di eleggerle a propria dimora. Così qualcuno, per gioco, ci fa credere di averlo fatto. Costui si chiama, neanche a dirlo, Dave – come il protagonista della pubblicità dei cellulari discussa, proprio ieri, in questi stessi lidi.
Nel corso del suo esaustivo exploit, denominato, alquanto appropriatamente, Man in a Cube, il giovane manager ci parla dei pregi, e dei difetti, della sua originale scelta immobiliare. Ricavarsi una tana fra le pieghe degli arredi urbani, dentro quella che potrebbe dirsi la sua fortezza di Alamo, ultimo rifugio dagli stress del mondo lavorativo…

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