Il sistema di barriere sulla foce che conduce le speranze di Dublino verso il mare

Città costiera che si affaccia sul Mare d’Irlanda, la capitale dell’Isola Verde avrebbe potuto costituire da molti punti di vista l’esempio di un porto perfetto. Situata su un terreno pianeggiante attraversato dal fiume Liffey, in corrispondenza di una foce riparata dalle intemperie del settentrione, semplicemente troppo utile dal punto di vista logistico per poter pensare di costruire in altro luogo i suoi moli. Se non che al concludersi dell’Era Medievale, e con il conseguente aumento delle dimensioni e del pescaggio delle imbarcazioni di uso comune, qualcosa di terribile iniziò a verificarsi: una quantità crescente di dispendiosi, e molto spesso tragici naufragi. Circa 300 registrati a partire dall’inizio delle testimonianze scritte dell’autorità portuale, principalmente a causa della coppia di banchi di sabbia situati sul fondale della baia, i due Bull del tutto invisibili al di sotto delle onde di superficie. La cui esistenza fu ad un certo punto collegata, grazie alle conoscenze idrologiche del tempo, alla quantità di sedimenti trasportati dal suddetto corso d’acqua, la cui velocità di scorrimento risultava insufficiente a spingerli oltre la zona antistante al punto d’approdo più tradizionale d’Irlanda. Ci sono tuttavia molteplici ragioni per cui il centennio a partire dal 1700 viene chiamato “secolo della scienza”, principalmente attribuibili ad un modo innovativo di concepire il rapporto tra causa ed effetto, che potremmo definire l’inizio del metodo scientifico propriamente detto. Allorché ben prima della codificazione accademica da parte del fisico italiano Giovanni Battista Venturi dell’effetto che oggi porta il suo nome, molti erano a conoscenza del modo in cui restringere ed incanalare l’acqua potesse incrementare la rapidità del suo scorrimento. Il che avrebbe portato attorno al 1715 alla costruzione di una prima barriera nelle acque antistanti il punto critico, costituita da una serie di piles (pali) in legno sulla parte finale del canale urbano. Ma soprattutto in seguito ad una serie d’inverni sufficientemente burrascosi da infliggere danni a tale opera, l’effetto si rivelò trascurabile il che avrebbe portato l’Assemblea Cittadina ad autorizzare una serie d’interventi maggiormente estensivi, concepiti al fine di edificare un vero e proprio muro che potesse resistere per lungo tempo all’incessante forza delle maree. Con il trasporto di una vasta quantità di pietre granitiche provenienti dalla cava di Dalkey ed altre miniere vicine, il progetto iniziò dunque a concretizzarsi nel 1748. Il suo completamento avrebbe richiesto oltre due decadi, un buon risultato tutto considerato, trattandosi all’epoca, con i suoi 5 Km abbondanti, del più lungo muro marino che fosse mai stato costruito da mano umana…

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L’appariscente ricorrenza che sancisce l’innaturale palingenesi del Fiume Giallo

Qualche dozzina di persone si avvicina cautamente alla recinzione non particolarmente elevata, gli ombrelli stretti saldamente in mano nonostante il sole in grado di spaccare le pietre. È la fine di luglio, d’altra parte, un momento in cui le autorità procedono ad implementare una delle procedure maggiormente spettacolari mai impiegate per regolare e agevolare le caratteristiche idrologiche di un fiume. Al suono acuto di una sirena, dunque, si ode prima un rombo simile al risveglio di un poderoso Leviatano. Ben presto seguito, innanzi agli occhi spalancati dei presenti, dall’improvviso palesarsi di un’enorme cascata, la cui caratteristica principale appare quella di scrosciare orizzontalmente, in una maniera paragonabile all’innaffiatura con la canna di un giardino spropositato. Mentre una pletora di gocce si trasformano in altrettanti gioielli, bambini e adulti applaudono, alzano le braccia, ridono, si abbracciano a vicenda. Ancora una volta, il mondo sta finendo. Per l’ennesima volta, il mondo si sta rigenerando.
Il 22 giugno del 2004, una delle imbarcazioni turistiche utilizzate per assistere all’adeguamento del livello dell’acqua e della sabbia della grande diga cinese Xiaolangdi dalla postazione privilegiata del suo bacino idrico si capovolse improvvisamente. Così 44 persone persero la vita, senza essere andati incontro ad alcun sommovimento ondoso, mentre si trovavano a distanza di sicurezza dal flusso principale, nella più totale assenza di scogli o altri ostacoli visibili dagli argini della scena. Per l’effetto invisibile e spietato di quello che viene definito dai pescatori locali come il terribile drago di fango: una gobba sabbiosa longilinea e serpeggiante, capace di protendersi dal basso fondale per urtare la parte inferiore degli scafi soprastanti. Il tipo di fenomeno abbastanza raro da poter difficilmente trovare un nome, in corrispondenza di qualsiasi altro corso d’acqua che questo. Del cosiddetto Fiume Giallo (Huáng hé – 黃河) la letteratura dell’Asia continentale parla fin dall’alba dei tempi, attribuendo ad esso il ruolo di barriera strategica, antonomasia poetica e risorsa utile a placare la spropositata sete dei giganti. Sostanziale culla di una civiltà, al pari del Tigri, l’Eufrate ed il Nilo, esso fu al tempo stesso venerato e temuto dal popolo della nazione, come origine di molte gravi e terribili devastazioni. Gli straripamenti dovuti alla caratteristica fondamentale del suo tragitto, “soltanto” il sesto nel mondo per lunghezza ma di gran lunga il primo in un parametro piuttosto inusuale: la quantità dei sedimenti trasportati dal potere della sua corrente. In quantità tale da donare alle sue acque una tonalità giallastra, arancione o marroncina che dir si voglia, tanto caratteristica quanto temuta a ragione da chi ben conosce le sue implicazioni più nascoste. Una spada pendente che semplicemente non sembrava potesse essere rimossa, almeno finché attorno alla terza decade del Novecento, un gruppo d’ingegneri associato al Partito Comunista coadiuvati dai loro colleghi provenienti dall’Unione Sovietica, non proposero la costruzione di una poderosa barriera di calcestruzzo, la diga gravitazionale di Sanmexia tra le due province dello Shanxi e dello Henan. Tale struttura completata solamente nel 1954, soltanto parzialmente finalizzata alla generazione di 400 MW distribuiti tra le immediate vicinanze, aveva in effetti l’obiettivo principale di controllare e limitare il flusso del pericoloso Fiume Giallo, benché ci si accorse ben presto di un problema collaterale: per ogni ettolitro, per ogni kilolitro trattenuto prima della foce, il livello dei sedimenti a monte tendeva a crescere piuttosto che diminuire, aumentando i problemi e pericoli generati per chi era tanto sfortunato da vivere negli immediati dintorni. Qualcosa andava fatto entro la fine del secolo, e doveva necessariamente trattarsi di una soluzione alquanto drastica e sufficientemente risolutiva…

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