Come squittiscono i rinoceronti

Rhinoceros call

(E altri suoni di animali insospettati) uomo bianco che percorri la savana, disegnando dentro al tuo taccuino le creature naturali, ecco qui la bestia che stavi cercando: l’unico vero corno. Che poi sono due ciascuno, qui in Mozambico e nelle terre circostanti, mentre uno ad animale nei cugini più pelosi d’Oriente. Te l’aspettavi differente? Come il candido cavallo, nelle tue saghe o leggende, dalla figura splendida e leggiadra, che cavalca sopra il ciglio degli arcobaleni…Beh, ciò che fa nel tempo libero, io questo non lo so. Ma ocimanda, la bestia colossale, oppure sembele, come lo chiamano nella lingua dei Lozi, è una figura quieta e sonnolenta. La maggior parte delle volte. Tutt’altra storia dalla sua reputazione. Un turista, proveniente dalla Malesia, mi ha raccontato la leggenda del badak api, la bestia mitica che scaturisce fuori dal fitto sottobosco di quelle isole remote, per intervenire senza falla in caso di un incendio. Galoppando sui suoi zoccoli ungulati, con i quali quindi soffoca le fiamme vive, senza ustionarsi. Beh, non so che verso faccia, quella creatura, ma la descrizione era fin troppo chiara: nonostante ciò che logica vorrebbe dimostrare, fra le acque dell’Oceano sconfinato ed oltre l’India, ancora esistono i rinoceronti. E pensare che son tanto inermi, a conti fatti, contro la malvagità dell’uomo! Un erbivoro di queste dimensioni, totalmente privo di nemici naturali, non ha neppure l’istinto di fuggire. Soltanto bruca l’erba oppur le foglie, marcando con l’urina i margini del territorio. Non ci vede molto e forse pure questa è un po’ la sua maledizione. Perché non collabora, con i suoi simili, non ha un vero spirito del branco. Se qualcosa minaccia la sua placida esistenza, tutto quello che può fare è spingere la testa verso il basso e caricare. Perché ha ormai perso, raggiunta l’epoca della maturità, quell’innocenza che gli permetteva di parlare. Come? Cosa? Si, non sono in molti a ricordarselo. Ma, come grossomodo la maggiore parte dei mammiferi, siano questi piccoli o imponenti, stupidi o sapienti, per l’intero tempo dell’infanzia anche il rinoceronte ha un suo richiamo. Ed è… Grazioso, strano, insospettato. Pare il verso un po’ stonato di quel flauto traverso, che il collega Kenyatta suona verso sera presso il campo base della mia riserva. Te lo farei sentire (il cucciolo, intendo, non quel musicista scalcagnato) vieni qui con me, dietro l’albero svettante del baobab. Ecco, ddarlingx3, metti via la penna. È tempo di ascoltare.
Un trillo, un sibilo, il soffio di un palloncino che viene spremuto, la cui imboccatura si trasforma nell’unico foro di passaggio per dell’aria intrappolata. Un canto, un gorgheggio, il giocattolo per cani a forma d’osso con fischietto incorporato, masticato da questi ultimi per la soddisfazione di quel suono. E il gusto dolce della gomma, alla mattina…La stessa antica percezione sinestetica, secondo cui il regno della percezione sensoriale è il frutto di un filo conduttore ininterrotto, crolla sotto la pesante ed innegabile evidenza: questi cuccioli di Ceratotherium simum (rinoceronte bianco) sembrano dei topolini scatenati. Neanche i disegnatori, produttori ed animatori di cartoni animati, attraverso le generazioni trascorse, si sono mai presi la briga di farlo sentire. Come dici, non sono affatto bianchi i due piagnucolosi piccolini? Ah, beh. Questa è tutta un’altra storia.

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L’ottimo cannone laser del giovane Drake

Laser Shotgun

Gli hobby ci definiscono, connotano la nostra personalità. Ciò che scegliamo di fare del nostro prezioso tempo libero, sia ciò produttivo o un semplice mezzo per svagarsi, divertente o impegnativo, è lo specchio limpido di quello che siamo, oltre che dei nostri stessi desideri e del futuro prossimo e remoto. Che dire, quindi, di Drake Anthony, in arte Styropyro, per gli amici “The DIY laser guy”? (L’uomo dei laser fatti in casa) che non soltanto gestisce un canale video con 53 milioni di visite complessive, non solo colleziona componentistica ed assembla le versioni ingigantite dei comuni puntatori luminosi da qualche milliwatt, già di per loro ormai proibiti praticamente dovunque, ma che l’altro giorno, addirittura, ha messo assieme 8 diodi in grado di produrre un fascio di luce dalla potenza di 5 watt ciascuno, per un totale di 40 concentrati grazie all’uso di soluzioni ottiche in quello che potrebbe definirsi un solo grande raggio della morte. Lui lo chiama, in modo molto informale, il suo laser shotgun, ed afferma nelle prime battute della presentazione: “È troppo pericoloso perché possa servire a qualcosa, ma non era illegale costruirlo, e così l’ho fatto.” Negli Stati Uniti sussiste in effetti questo particolare meccanismo normativo, applicabile in diversi stati, per cui alcune armi o strumenti sono teoricamente proibiti alla popolazione, ma se qualcuno riesce a costruirseli da se, la polizia non può in alcun caso sequestrarli. Da questo nasce ad esempio l’intera sotto-cultura delle cosiddette ghost guns, i pericolosi fucili assemblati a partire da componentistica venduta liberamente, perché impossibile da impiegare in alcun progetto senza l’impiego di attrezzi specifici per modificarla, diciamo, leggermente. E qualcosa di simile avviene nell’Illinois presso cui abita e studia il giovane in questione con i laser al di sopra di una certa potenza, che non possono assolutamente essere importati, se non in parti rigorosamente separate tra di loro. Ma non credo che nessuno potrebbe attribuire a questo giovane genio ingegneristico alcuna intenzione di compiere gesti inappropriati, soprattutto visto l’entusiasmo spontaneo e l’assoluta spensieratezza con cui ci presenta l’attrezzo in questione, che comunque, sia chiaro, potrebbe accecare permanentemente una persona, anche di riflesso, nel giro di una frazione di secondo, o causare ogni sorta d’incidente aereo o stradale.
Che strano: costui ha costruito e messo in mostra, negli ultimi 7-8 anni, ogni sorta di applicazione del principio che seppe teorizzare per primo Einstein nel 1917 e che nel ’57 trovò la sua prima dimostrazione pratica ad opera dei fisici Townes e Schawlow, sebbene con dei presupposti necessariamente meno tecnologici di quelli che abbiamo alla portata delle nostre odierne mani. Così, non è certo questa la prima volta, né la maggiormente significativa, in cui Drake realizza un sistema in array di questa specifica potenza, per di più in questo caso limitato dal suo essere portatile e quindi disporre di una fonte energetica piuttosto contenuta.  Eppure metti un grilletto a qualcosa, dagli la forma di uno strumento d’offesa, potrai contare sul suo successo nel colpire, assieme ai tuoi bersagli non metaforici, quello più grande e rilevante della fantasia comune. Lo sapevano già i bardi e i poeti, che nelle loro narrazioni preferivano cantar le gesta di soldati e valorosi eroi. La violenza potenziale è straordinariamente divertente, per lo meno quando virtualizzata, o trattata da una sufficiente distanza di sicurezza. Poi, naturalmente, per dare adito a una simile atmosfera, qualche oggetto inanimato dovrà essere sacrificato alla sete di sangue collettiva.

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La sfida delle donnole sul muro

Weasel

Mamma anatra con i suoi cuccioli, perfettamente in fila indiana, che cammina dondolando per le strade cittadine. Quante difficoltà incontra, quella famigliola sfortunata? Quindici tombini, dodici attraversamenti pedonali, quattro marciapiedi e un alto muro. Per i primi l’unico pericolo è caderci dentro: Ma la sorte gli è propizia…E per lo più, quell’altra cosa è solo una questione di coraggio. L’importante è che le piume a ciuffetti siano pronte per saltare giù, da quei centimetri che le separano dal duro asfalto. Tanto lei, pazientemente, aspetta e poi riparte con lo stesso grado d’entusiasmo di qualsiasi cosa starnazzante. Sentimento che continua a perpetrarsi fino a che, dinnanzi alla sua marcia, non si presenta una parete invalicabile e senza cancelli. L’alto bastione architettonico, chiusura per la massima eccellenza, che l’adulta scala facilmente, grazie a un colpo d’ali attentamente calibrato. Mentre i piccoli al seguito, come da copione, restano incapaci di seguirla. Mattone su mattone, di nuovo e quindi ancora, la via per il futuro si è smarrita. C’è soltanto una speranza, in tali circostanze: la mano empatica dell’uomo, tante volte portato ad altruismo da un simile caso disperato, di siffatti batuffoli, così tremendamente incerti. È un copione noto al mondo prevedibile dell’intrattenimento digitale su YouTube, tra l’altro spesso ripetuto. Mentre appare più difficile, a conti fatti, immaginare il comportamento di noi messi in una situazione vagamente analoga, ma posizionata biologicamente all’esatto inverso di quell’altra. Fatta dai carnivori, veloci dove quegli altri erano lenti, furtivi invece che fiduciosi, zelanti piuttosto che pacifici. La brigata dei mustelidi ha un grande bagaglio di risorse: comparsa sulla Terra tra i 7 e i 5 milioni di anni fa, allo sciogliersi dei ghiacci nordici e l’espandersi delle aree erbose senza molti arbusti, si è abituata ad occupare nicchie evolutive estremamente ampie e variegate. Chi, se non la donnola, può costruire la sua tana in mezzo a una pianura, sotto i raggi battenti del Sole, in mezzo al nulla eppure indubbiamente inaccessibile a qualsiasi predatore. Che non la vede affatto! Per poi darsi alla caccia quotidiana, di ogni sorta di creatura vulnerabile a quelle file contrapposte di dentini acuminati: si stima che una singola famiglia di donnole dalla coda lunga come quelle qui rappresentate (Mustela frenata) possa giungere a uccidere e divorare fino a 250 cani della prateria l’anno, integrati nella dieta con topi, conigli, addirittura qualche uccello eccessivamente distratto e/o imprudente. Simili rappresentanti piccoli, ma a pieno titolo, dell’ordine dei Carnivora hanno inoltre doti che eludono i loro fratelli maggiori, tra cui quella di prolungare la gestazione anche per parecchi mesi, in attesa di un momento adatto a partorire: primavera, tempo di moltiplicarsi. Ma certi pericoli permangono in ogni stagione, specie negli ambienti modernamente occupati dagli umani, che hanno questa abitudine di costruire queste cose alte, lunghe, invalicabili all’esplorazione.
Così è la strana genesi di questo video di Jeff Zenger: in un punto imprecisato degli Stati Uniti (non c’è alcuna descrizione informativa) la tipica famigliola che presumibilmente zampettava allegramente presso i margini di un prato. Non che sia tanto facile riconoscere a colpo d’occhio la madre, soltanto leggermente più grossa dei suoi cinque pargoli, nonché rapida ad allontanarsi da questo indesiderato ammiratore umano. Dunque nel giro di un secondo, lei l’esperta già si arrampica scavalca il muretto del giardino, mentre la vita, per tutti quegli altri, inizia a farsi subito più complicata. È una scena…Interessante. Si forma una specie di piccola torre pelosa, con gli animaletti che tentano di aggrapparsi all’opus rustico della parete. Qualcuno raggiunge quasi la cima, poi ricade. Altri, che sarebbero più agili, poi non sono sicuri che sia il caso di saltare giù dal lato opposto. Alla fine, tira e spingi della situazione, sopra quella sommità ne resta solo uno: lì dubbioso, spaventato, letteralmente preso nel conflitto tra l’istinto e la ragione. Ed è a quel punto che torna indietro quella madre, lo afferra per il collo in mezzo ai denti e lo trascina via con se. Anche questa è la ragione della donnola: far di necessaria fuga, virtù morsicatoria. Ma sovviene a questo punto un dubbio: perché mai il titolo del video parlava di “furetti”? Ecco…

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25 Kg: il fungo commestibile più grande al mondo

Giant Puffball

È sempre importante, nella definizione di un’intera classe di organismi, determinare la linea di confine degli estremi contrapposti: il più lento e il più veloce, quello che proietta la sua vita maggiormente lontano Vs. l’effimero rappresentante di un’eterna giovinezza, che vive per qualche giorno appena, comunque sufficiente a riprodurre copie di se stesso all’infinito. Non che questa particolare via d’accesso alla comprensione del mondo naturale, il guinness del biologo, sia così facile da percorrere, soprattutto in un ambito che esula dal suo contesto in modo estremamente preminente. Perché cos’è, in effetti, un fungo? Non certo l’escrescenza vegetativa con l’ombrello, che spunta all’improvviso dopo un temporale in gruppi geometricamente disordinati ma pur sempre contingenti. Benché questa presenza, sostanzialmente l’insieme degli organi riproduttivi della creatura pseudo-vegetale, rappresenti il suo unico strumento d’interfaccia con la superficie. In fondo come descrivere addirittura un uomo, in senso meramente oggettivo, se non tirando in ballo la somma dell’aspetto fisico ed i suoni che produce, il modo in cui si muove ad influenzare il mondo…Nessuno, richiamando alla mente i propri amici o familiari, si prefigura i villi celebrali e le diramazioni del sistema nervoso. Eppure queste cose sono, solamente, portatrici del concetto di individuo. Come il rizomorfo del micelio, la cosiddetta radice dei funghi; che non ha sapore e non si vede sulle tavole, ma è alla base remota di tante escursioni di ricerca, la cesta sotto braccio, tra gli alberi della foresta e pregustando un nuovo piatto a base di…odorosi, fibrosi, dolceamari baccelli per le spore, rigorosamente consumati prima che maturino, riempiendosi di quel pulveriforme veleno potenziale. Ah, che meraviglia! Camminare senza un singolo pensiero al mondo, con soltanto il verso degli uccelli a farti compagnia, finché non ti trovi davanti ad una rara infiorescenza di Calvatia gigantea (teste calve) o per usare il termine comune in lingua inglese, giant puffball (grandi pallette). Come teschi dimenticati dei giganti, venti, trenta cose tonde, candidamente adagiate in mezzo all’erba e circondate da altrettanti piccoli fratelli, a loro volta virtualmente indistinguibili da uova di lucertole smarrite. Cosa fare, dunque? Thomas Harwood, l’autore del presente video, non ha perso tempo ad esitare: chiamando i suoi amici, ha subito deciso che entro la serata si sarebbe organizzato il più munifico banchetto a base di pietanze fungine. Così il gruppo ha iniziato la perlustrazione, raccogliendo alcuni dei migliori esemplari per farne un alto cumulo a margine della radura, dall’altezza ed estensione veramente significativa. Al punto che, venuta l’ora di lasciare la scena del crimine, per trasportare via il carico sarà necessario avvicinarsi con la macchina, problematica di certo poco nota a chi è solito procacciarsi giusto qualche ovulo, graziosi gallinacci, due spugnole o un porcino. Mentre non c’è niente di usuale, nella forma tondeggiante e nel funzionamento di questo raro quanto persistente organismo fungino!
La C. gigantea appartiene alla classe dei gastromiceti o funghi con lo stomaco, una sotto-categoria dei Basidiomycota, tra i principali esseri multi-cellulari in grado di riprodursi senza l’uso degli embrioni. Caratteristica del fungo in questione, come dei suoi parenti più prossimi, è di non produrre le spore portatriceidi DNA all’esterno della sua superficie, facendola scaturire dalle lamelle sotto l’ombrello, ma al centro stesso del suo globo, in un nucleo che una volta maturato si presenta di una consistenza e colorazione differente. A quel punto, quindi, il fungo si apre letteralmente, fessurandosi nella parte superiore, per lasciare che il vento, la pioggia e gli insetti facciano il dovuto. Persino il suo gambo stretto e fragile, unico collegamento con il substrato che costituisce il vero corpo del fungo, è fatto per spezzarsi alla minima sollecitazione, affinché la forma di quel globo rotoli liberamente, con conseguente diffusione di se stesso verso le diverse direzioni cardinali. È una strana giustapposizione, questa di un essere apparentemente completo, che non ha strumenti difensivi di alcun tipo, ma piuttosto sembra chiedere a tutte le creature circostanti: “Mangiatemi, fate di me un sauté” e invero, questo avviene perché ciò che noi di solito definiamo “il fungo” sostituisce in realtà soltanto una minima parte del micelio stesso, persino quando ha il peso di un bambino di sei anni.

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