L’irresistibile furbizia del tasso del miele

Honey Badger

In un’economia che traballa per l’effetto dei venti di traverso dell’inflazione e della Grande Crisi, non è facile trovare un metodo d’investimento che garantisca dividendi degni di essere chiamati tali. Guardatevi attorno, che alternativa vi rimane? La vostra convenienza ha un solo nome, facile da pronunciare e se possibile ancor più da tenere in mente: Moholoholo, la vostra banca-zoo sudafricana. Moholoholo: “I nostri tassi sono differenti.” Dove nessuno riesce a entrare o uscire senza il permesso scritto del guardiano Brian, la cui prudenza è quasi leggendaria, per lo meno nel settore della riabilitazione degli animali con qualche fisima in famiglia, fisica o mentale. Al cui occhio nulla sfugge, tranne la creatura semi-leggendaria che può superare tutti i suoi recinti, anzi qualsiasi cosa simile, il fluido, il furbo, lo scattante Stoffel. Un giovane esemplare di Mellivora capensis, ovverosia quella creatura che comunemente accomuniamo, per una mancanza di validi termini di paragone, ai nostri tassi d’Europa e nordamericani. Nonostante il suo aspetto, il comportamento e l’intelligenza dimostrata rientrino in categorie ed un ordine di operatività profondamente differenti, creando un tutt’uno simile piuttosto a una donnola sovradimensionata, o nello specifico, il temuto gulo gulo (ghiottone/volverina). Questione di cui si può facilmente prendere atto, studiando la storia individuale di un tale rappresentante della specie così…Favolosamente dispettoso.
Tutto ebbe inizio, secondo le informazioni facilmente reperibili su questa vera e propria celebrità locale, con un facoltoso abitante della vicina città di Krugar, che se lo era procurato da cucciolo per farne, in qualche improvvida maniera, il proprio animale domestico definitivo. Una missione apparentemente impossibile, benché la casistica ci insegni che altri appartenenti alla famiglia dei mustelidi, come furetti ed ermellini possano teoricamente imparare a vivere con gli umani, spesso con grande profitto di entrambe le parti coinvolte. Il problema, tuttavia, restano le dimensioni: perché un conto è ritrovarsi a dover gestire un piccolo carnivoro iper-attivo, che corre da ogni parte come le frecce di un archetto a ventose per bambini, mentre tutt’altra cosa risultano essere le scorribande di una volpe con gli artigli, che può facilmente raggiungere i 10-15 Kg di stazza. E che pensa e si applica, costantemente alla ricerca di nuovi metodi per far valere la propria presenza. Così leggenda vuole, o almeno ciò raccontano alcuni membri locali del forum Reddit, che Stoffel fosse stato lasciato per un tempo medio, durante le ore di una fatidica giornata, all’interno della BMW del suo presunto benefattore. E che dopo alcuni problematici minuti di noia, fosse stato colto come da un’ispirazione, nel corso della quale un’apparizione tutelare lo informò di come all’interno dei sedili del prezioso autoveicolo, per qualche imprevista ragione, ci fosse un premio culinario. Oppure, la via per raggiungere il proprio padrone? Chi può dirlo? Difficile comprendere cosa passi per la testa di una simile creatura. Fatto sta, che il pomeriggio stesso, l’automobilista-zoofilo si fosse ritrovato con urgente bisogno di una visita dal carrozziere (tappezziere? Arredatore?) Per non parlare del bisogno fortemente percepito, assolutamente, soggettivamente cruciale, di “riabilitare” il tasso, depositandolo presso il valido caveau reticolato della celebre Moholoholo, sempre pronta ad accogliere qualunque essere nato in cattività e che si fosse ritrovato all’improvviso privo di un indirizzo di residenza da poter chiamare casa. Luogo che per il qualcuno dalla larga striscia bianca sulla schiena, a quanto pare, non dovette apparire significativamente diverso da un inferno di artificiale ed indesiderabile contenimento, sul quale far valere il credo del capogruppo Ramsey dei prigionieri de “La grande fuga” (James Donald) che al culmine della seconda guerra mondiale spiegava al suo supervisore tedesco: “Colonnello Ruger, è il dovere di ogni prigioniero tentare la fuga. Qualora ciò non fosse ottenibile, il suo dovere diventa occupare il maggior numero di truppe nemiche per farsi tenere a bada. Logorando il nemico dall’interno.”

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L’immensa gioia di abbracciare un orso

Russian Bear Hug

Come in un sogno, in cui le ansie di difficili giornate possono svanire nell’abbraccio tenue di Morfeo, così è l’incontro con quella creatura tipica di molte fiabe, che dopo aver vagato alla ricerca di cibarie in mezzo agli alberi della foresta, ritornava finalmente a casa, nella sua caverna o dentro l’antro di un ennesimo letargo. Certo, quando giunge la notte, si dorme. Finché si è bambini, normalmente, assieme all’orso. Ma è pur vero che nelle oscure notti di luna piena, come ben sapevano gli antichi, qualsiasi creazione della fantasia tende ad animarsi e può persino, raramente, parlare? “Cosa devo fare, padrone? Mi dai da mangiare?” Grossi guai! Per tutti coloro che dovessero dimenticarsi di nutrire…Il peluche! Soprattutto, in un’ipotesi speciale, ancor più rara e degna di essere onorata col rispetto dell’accordo primigenio. Perché quando è notte, c’è la luna piena, e addirittura si verifica l’allineamento tra Mercurio e Marte in prossimità della costellazione dell’Orsa Maggiore, non soltanto la vita torna a visitare quei pacifici pupazzi, ma esattamente come la zucca di Biancaneve questi potranno assumere una proporzione ben più grande, o nello specifico, a dimensione NATURALE. Il che per un orso, è tutto dire: guarda qui che roba. Un vero disastro…
In un cortile assai chiaramente russo, perché il video ha molti titoli e quasi tutti in quell’idioma, un uomo dall’aspetto amichevole è alle prese con una particolare, straordinaria contingenza: il suo cane gioca amichevolmente assieme a lui, strofinando il grosso muso sulla sua testa, slinguazzandolo con espressione sciocca, alzando allegramente le corpose zampe che poi appoggia sopra le sue spalle, come la creatura straordinariamente affettuosa che, senza ombra di dubbio, è. Soltanto che a un’analisi più approfondita…Forse questo non è propriamente un pastore tedesco. Non è un levriero. Non è uno spinone, ne un boxer o un labrador. Ma qualcosa di radicalmente differente….L’URSOS ARCTOS, per essere tipologicamente precisi, ovvero l’imponente specie il cui areale giunge ad estendersi per una buona parte del continente Nordamericano dove riceve spesso il nome comune di Grizzly, e poi nell’Eurasia, dalle propaggini occidentali della Russia fino alla remota terra di Siberia, dove spalanca la sua grossa bocca e poi saluta con gli artigli i pochi avventurosi viaggiatori in moto o in auto, rigorosamente fuoristrada. Qui in Italia, ancora oggi ne permane una sempre più scarsa popolazione, di non più di 30-40 esemplari, tra l’Abruzzo e le montagne del Morrone. Che talvolta riesce ancora a procurare dei problemi all’uomo. Eppure non c’è nulla di selvatico, in questo allegro svago del momento presente, il tipico rilassamento di chi sa che il piatto è ben fornito, la carne è chiusa lì nel frigo e dunque non c’è una singola, valida ragione per stringere lievemente le zampe anteriori, stritolando l’adorabile “padrone”. E allora il sentimento che un tale scena ispira nella mente degli osservatori, in molti casi soggettivi, non può essere che invidia.
Guarda quel testone, la cui portata cranica raddoppia per diametro la fragile apparenza della controparte. Il pelo lucido e probabilmente morbidissimo, in forza di una dieta di alta qualità. La sua presenza immane ma bonaria, come quella di un drago del fantastico, o un leocorno, o un candido grifone, reso docile dalla presenza di un qualcosa di meraviglioso, vedi la prototipica e splendente dama (rigorosamente vergine) in attesa del suo cavaliere di rincorsa, con la lancia ed il vessillo sfavillante. Per non parlar di Jaime Lannister nel telefilm di Game of Thrones, malefico e spietato, che dinnanzi al pericolo di un orso diventava il salvatore della Sua… Ma che poi, serviva veramente, quello lì? Alla fine, gli animali sono esattamente come noi. Trattali con rispetto e considerazione, loro ti daranno – TUTTO. Benché questo non significhi, in considerazione delle circostanze di contesto, che gestire un orso sia una cosa – FACILE. Ciò denuncia, l’evidenza! Per non parlar dell’esperienza, di quei pochi che osarono percorrere la strada, prima ancora di questo signore russo, il cui nome resta ignoto al vasto web.

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Incontro col più raro e piccolo degli armadilli

Pichiciego

Quanto state per vedere in questo video è davvero molto insolito. Si ma quanto, esattamente? Talmente tanto che Mariella Superina, direttrice di un gruppo di ricerca speciale all’interno del CONICET (Consejo Nacional de Investigaciones Científicas y Técnicas) che da 14 anni si occupa di questo animale, non ha mai avuto d’incontrarlo in prima persona senza le sbarre di una gabbia a fare da interfaccia con la sua presenza. Almeno che l’armadillo fata rosa (Chlamyphorus truncatus) non l’avesse appena liberato lei stessa, poco tempo dopo averlo ricevuto da qualcuno, con lo scopo di salvarlo da un destino molto sfortunato. Lo stesso YouTube, normalmente ricco di sequenze riprese dai nativi o turisti che si trovino a contatto con le bestie più diverse, in natura o negli zoo, non dispone che di un gran totale di tre video dedicati a quello che in Argentina chiamano il pichiciego, creatura difficile da trovare, perché dalle abitudini notturne e sotterranee. Che per di più risulta affetta da una strana sindrome, estremamente problematica, che gli impedisce di essere tenuta in cattività, dimostrando la propensione a morire nel giro di poche ore o giorni dal momento della cattura, se non persino durante il trasporto via dalla dimora naturale. È piccolo e delicato. Misura 15 cm, al massimo. È letteralmente sconosciuto ai più. Eppure, rappresenta da solo il 22.5% della diversità genetica della famiglia dei Dasypodidae, gli ultimi discendenti dei mammiferi Cingulata che un tempo percorrevano le lande americane. La loro eventuale estinzione, dunque, sarebbe una grave perdita per tutti noi. Il problema principale, tuttavia, resta il fatto che ogni considerazione sullo stato di salute della specie resta largamente aneddotico, fondato su farsi del tipo di “Prima se ne vedevano di più!” Per il semplice fatto che anche nelle generazioni ormai trascorse, “di più” voleva dire un paio l’anno, invece di uno al massimo, quando si è veramente fortunati. Questa, è l’effettiva rarità del video qui realizzato da Willy Escudero, presso una semplice strada di campagna vicino Mendoza, nell’Argentina centro-occidentale.
A tale considerazione, potrebbe seguire subito un vago senso d’invidia. Perché non capita spesso, né a molte persone di questo pianeta, di poter realizzare le proprie fantasie di essere d’aiuto alle creature semi-sovrannaturali, tipo gli unicorni, le manticore, il cane nudo messicano… Il titolare del canale, la cui voce si sente impegnata in un breve dialogo con un altra persona presente sulla scena, si rende subito conto del problema: l’armadillo, dall’aspetto vagamente simile a quello di un’aragosta senza coda, si trova esattamente al centro della rudimentale carreggiata, apparentemente perplesso dalla sua incapacità di fare breccia nel fondo sterrato e compatto, risultando, quindi, una potenziale vittima per qualunque predatore di passaggio, incluso il più pericoloso in assoluto: la ruota di una macchina o di un camion. Purtroppo. Così, l’approccio scelto e semplice e diretto. Con un bastoncino, il protagonista umano tenta di indurre a scappare l’armadillo, che tuttavia risulta totalmente privo di un simile istinto e reagisce a malapena. Talmente è abituato a vivere in stretti cunicoli, dove la velocità è un optional del tutto inutile allo scopo. Il risultato ottenuto, dunque, risulta quasi comico, con l’animale che scava freneticamente, poi, una volta ridirezionato a forza, ricomincia nuovamente a scavare, come se non fosse successo alcunché di nulla. All’intera vicenda non viene fornito un epilogo, con l’indicatore che raggiunge la fine della barra proprio sul più bello, ma possiamo comunque presumere che i due, alla fine, abbiano trovata il modo di spostare il pichichiego dei pochi metri necessari per salvarlo dalla situazione scomoda e imprevista. Ma la vera risoluzione sarebbe giunta solo successivamente, quando quest’ultimo, finalmente lasciato solo e in pace, sarà riuscito a fare breccia e ritornare nel suo unico luogo sicuro: il buio della dimensione sotterranea, da dove uscire solamente a notte fonda, per cercare qualche insetto particolarmente succulento, utile ad ottimizzare la sua dieta composta primariamente di materia vegetale marcescente.

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Le steppe inospitali dell’antilope dal grande naso

Saiga Documentary

Puoi andare da qualsiasi parte, puoi fare qualunque cosa. Guarda questo spazio sconfinato, d’erba commestibile, dove gli antenati hanno vissuto per generazioni. All’orizzonte, non c’è nessuna barriera, tranne il cielo che divide il mondo percorribile dal Sole incandescente. Ma libertà vuol dire solitudine, e questa strada non è percorribile per loro, il popolo degli ungulati. Così è ben nota, fin dalla notte dei tempi, l’abitudine che hanno di formare gruppi simili a tribù, con qualche dozzina di esemplare ciascuno, per vagare alla ricerca di un momento ed un incontro, il giorno della verità. È uno spettacolo che non ha pari a questo mondo: decine di migliaia di Saiga tatarica, le particolari antilopi che vivono nella regione che si estende tra i Carpazi ed il Caucaso, spingendosi talvolta fino in Mongolia, si radunano in un vasto spazio tra gli spazi, un punto di partenza per la grande migrazione. Quindi, al palesarsi di un segnale a noi del tutto sconosciuto, iniziano la lunga marcia che le porterà, durante i primi mesi dell’inverno, fino ai semi-deserti del distante meridione, dove disperdersi di nuovo, in piccoli gruppetti di esemplari pronti a correre dai predatori, quando necessario. Con il trascorrere dei mesi, quindi, una volta che il loro manto è passato dal marrone a una tonalità biancastra, utile a nascondersi tra i ghiacci dalle aquile e dai lupi, ricominciano a pensare ai grandi pascoli del Nord, dove le attende cibo a profusione e la stagione degli accoppiamenti, in primavera. Così ritornano, ma questa volta senza sentire la necessità di unirsi per formare il grande branco. Ciò perché già sussistono le divisioni e la rivalità tra i maschi alpha, che di lì a poco dovranno competere per il diritto a riprodursi, una cornata dopo l’altro. A discapito di altri, contro l’inclemenza delle circostanze. Perché l’antilope saiga, un tempo considerata tra gli animali più prolifici, è dall’epoca della fine dell’Unione Sovietica che sta andando incontro ad un progressivo processo di spopolamento, tale da ridursi del 95% a partire dalla fine degli anni ’90. Un processo letteralmente inaudito in precedenza, che oggi viene considerato la più veloce via per l’estinzione mai sperimentata da un mammifero del pianeta Terra.
Prima di analizzarne le ragioni, che sono più d’una, sarà opportuno parlare brevemente di questo animale, il cui aspetto estremamente caratteristico, se non proprio grazioso, è valso l’iscrizione ufficiosa al club degli animali bandiera, ovvero quel gruppo di specie a rischio scelte dalle istituzioni ecologiste come testimonial per le proprie raccolte fondi. La saiga è un’abitante atipica della regione eurasiatica, che si conforma nello stile di vita al tipico erbivoro cornuto del continente africano, da cui prende la denominazione di antilope, benché il ceppo evolutivo della sua provenienza, si ritiene oggi, sia del tutto differente. È infatti più piccola, con un’altezza al garrese massima di 0,8 metri e un peso che si aggira sui 50 Kg, come quello di una pecora. Inoltre presenta la caratteristica evolutiva di un grande naso simile a una proboscide, con le narici nella parte anteriore, che si ritiene abbia lo scopo di filtrare la polvere d’estate, riscaldando invece l’aria durante il corso dell’inverno, prima che questa possa raggiungere i polmoni dell’animale. La sua genìa migratoria, che esiste fin dall’epoca del Pleistocene e che ricorda da vicino, nell’aspetto vagamente chimerico, alcune illustrazioni sugli animali preistorici successivi all’ultima glaciazione, si spingeva un tempo fino all’area dell’attuale stretto di Bering, varcandola per giungere nel continente nordamericano. Ma di quegli anni di gloria e grandi esplorazioni, oggi resta molto poco.

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