Chi misura gli alberi più alti al mondo

Big Lonely Doug

Dietro un record significativo c’è (quasi) sempre una grande storia, e questo tanto maggiormente vero nel caso di un categoria da guinness, forse meno immediatamente spettacolare de “la creatura più veloce” o “l’uomo più forte del mondo” eppure straordinariamente importante per giungere a una comprensione più profonda del nostro pianeta. Perché risponde a una domanda d’importanza fondamentale: fino a che punto può spingersi la natura, nel rendere imponente e duraturo un solo, gigantesco essere? In se stesso dotato di ogni presupposto a sopravvivere per molte interminabili generazioni, ed al cui confronto noi effimeri camminatori del terreno non possiamo che esprimere la nostra riverenza, per venerarne ad un livello istintivo lo spirito prezioso ed antico… E la ragione di una simile avventura? Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è affatto facile assegnare un numero all’immenso, per quanto immobile e del tutto privo d’intenzioni. O per lo meno, è difficile farlo in maniera precisa. Voglio dire, provateci! Simili alberi massivi crescono, generalmente, in luoghi estremamente remoti, o in altri termini abbastanza scomodi perché, nelle generazioni, nessuno si sia mai preso la briga di buttarli giù, con l’obiettivo di creare gigantesche navi o la struttura d’edifici di ogni tipo. Non è quindi possibile sfruttare punti di riferimento, con la finalità di fare, per così dire, ad occhio. Né la soluzione più tecnologicamente moderna, dell’impiego di un sistema di misurazione laser, sortisce facilmente l’effetto desiderato, visto come la cima tenda ad oscillare nel vento, i rami siano molteplici e l’ottenimento di una misurazione oggettivamente corretta, anche per questo, estremamente passibile d’errori. Così alla fine, non resta che un’unica possibile soluzione: armarsi e partire.
Come fatto da questo team formato da vari individui dell’Arboreal Collective e dell’Ancient Forest Alliance, entrambe organizzazioni con sede nella Columbia Britannica, al fine di cementare, ed iscrivere nei libri mastri, la scoperta di “Big Lonely Doug”. Un abete. Non esattamente uguale a quello che avete addobbato in occasione del Natale scorso: se questo fosse un edificio, avrebbe almeno 15 piani. E la circonferenza del suo tronco è tale, che se un’automobile con quattro porte dovesse mettersi a girargli attorno, essa sparirebbe pressoché immediatamente dalla vostra vista. Queste sono, per intenderci, le dimensioni di cui stiamo parlando. 66 metri d’altezza, 4 di larghezza. Una vera enormità. E dire che l’antico vegetale, sito nel bel mezzo dell’isola di Vancouver, non è nemmeno vicino ad essere il più grosso del mondo sotto alcun parametro, venendo facilmente superato da almeno un suo simile alto quasi il doppio, laggiù nella contea di Coos nell’Oregon, per non parlare di tutti gli altri appartenenti ad una lista che viene ogni anno pubblicata, documentata ed aggiornata, con al suo interno la più vasta selezione di arbusti dell’America Settentrionale, australiani ed appartenenti ad ogni recesso geografico dell’area dei Tropici. Già, ma misurati COME? Salendoci sopra, se proprio volete saperlo! Il sistema più efficace, “semplice” ed a prova d’errori: un coraggioso, scelto tra i più agili del gruppo, dovrà premurarsi di lanciare a grande altezza un tenue e lungo filo, con un contrappeso alla sua estremità. Quindi mettersi a tirare quella cosa giù dall’altra parte, ma non prima di averla assicurata ad una corda da alpinismo, che egli impiegherà, secondo i suoi metodi e ritmi, per giungere fino alla cima della foresta e del mondo. E tutto questo, con la sola finalità di ritrovarsi da solo, lassù, una mano saldamente stretta al più solido ramo del circondario. Ed un altra, che stringe saldamente un nastro di misurazione, la cui estremità crescente dovrà essere gettata giù. Ottenendo, finalmente, una lettura in chiari metri dell’originale senso di stupore e meraviglia. Ed è proprio così, alla fine, che qui nasce una leggenda.
L’impresa relativa a questo particolare abete di Douglas, che viene definito il secondo più alto del Canada, non è del resto neanche tra le più incredibili. Ma soltanto una delle meglio documentate su YouTube. Gli alberi della specie Pseudotsuga menziesii, infatti, sono estremamente resistenti, rapidi nella crescita e vivono fino a 1.000 anni. Il che significa che essi attraversano, nel corso della loro vita, un’ampia serie di cambiamenti, tra cui il processo di auto-potatura dei rami più bassi per ottimizzare il proprio dispendio di energia. Raggiunto il secolo d’età, quindi, essi presentano uno spazio di circa 10 metri da terra, in cui l’unico appiglio offerto agli aspiranti scalatori è il tronco nudo dalla ruvida e sugherosa corteccia. E gli ostacoli si moltiplicano, con il distanziarsi del soprastante obiettivo…

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L’arma segreta dei pompieri americani

Dc-10 Air Tanker

Il problema del fuoco, come agente naturale, è che non ha una forma definita. Il suo comportamento presunto ed automatico è quello di replicarsi senza fine, consumando e distruggendo tutto ciò che incontra lungo il suo cammino. L’unico modo per contenerlo, allo stato attuale dei fatti, è tramite una chiara dimostrazione di forza e di efficienza operativa, generalmente messa in atto da una squadra di individui appositamente addestrati, non a caso detti in lingua inglese: fireFighters. Le cui doti tatticamente necessarie aumentano, nell’entità richiesta per uscire dalla situazione, sulla base della scala a cui si è giunti nell’agire del disastro. Se l’estensione delle fiamme è ancora contenuta e si sviluppa in un punto privo di beni eccessivamente combustibili, non sarà così difficile fornirsi di una pompa oppure due, triangolando il punto in cui direzionare la risorsa liquida a disposizione. Mentre quando ci si trova all’interno di un ambiente architettonico precisamente definito, come un complesso di appartamenti o uno stabilimento, si è limitati nello spazio per i propri macchinari, come del resto il fuoco nell’ossigeno a disposizione. Ciò contribuisce a mantenere bassi i termini del duro confronto. Ma c’è una particolare situazione, purtroppo tutt’altro che infrequente, in cui l’accrescimento di quel processo distruttivo viene portato alle sue ultime e finali conseguenze: l’incendio boschivo. Quando resina, legno, fronde e corteccia diventano il perfetto carburante, generando l’equivalente carbonifero di un pericoloso forno atomico, l’apocalisse vegetale. In tali condizioni, per quanto bene attrezzata, la cooperazione degli umani appiedati può giungere soltanto fino a un certo punto. E per di più, tanto maggiormente si avvicina a un tale limite, più corre il rischio di ustioni, problemi respiratori o conseguenze ancor più gravi.  Per questo, attraverso il trascorso dell’ormai concluso il primo secolo dell’aviazione (ormai siamo nel secondo secolo della reazione) si è tentato in tutti i modi una maniera per contrastare la propagazione del grande distruttore rosso ed arancione senza mai trovarsi innanzi al suo cammino. Ovvero volando, bombardandolo dal cielo. Tipica è l’immagine dell’elicottero, con secchio annesso sotto alla cabina che si reca a cucchiaiare da un vicino lago, per poi scaricare il proprio carico nell’oculum del rogo inviperito. Come altrettanto diffuso, e valido, è l’impiego dell’equivalente velivolo ed idrovolante, il mai abbastanza celebrato Canadair (Bombardier 415 Superscooper) tipicamente colorato di un bel giallo canarino. Esistono tuttavia dei casi, sopratutto in certi Stati nordamericani grandi e aridi del Sud-Ovest, in cui il semplice raggiungimento della zona ad opera di truppe di terra richiederà inerentemente qualche ora, e il lancio di qualche manciata di limpida acqua fresca, senza nessun tipo di supporto, si dimostrerà efficace quanto il rilascio di un bicchiere nella canna di un camino. Finendo letteralmente vaporizzata, prima ancora di toccare il suolo. Ed è infatti proprio qui, che entrano in gioco i VLATs (Very Large Air Tankers) ovvero quella classe di macchine volanti, fra tutte, che sono le più potenti armi a disposizione dell’uomo contro il pericoloso incedere del quarto elemento.
Si tratta di un ragionamento piuttosto semplice, in fin dei conti: nel momento in cui si presenti questa necessità di scaricare, al posto della comune H2O, sostanze chimiche ritardanti, concepite in laboratorio per massimizzare le potenzialità ignifughe dell’area di terreno in cui vengono cosparse, la variabile fondamentale è diventata la capienza dei tuoi serbatoi. Naturalmente non potrai rifornirti in prossimità del fuoco come nel caso di elicotteri & così via, ma soltanto presso l’aeroporto appositamente attrezzato, per quanto questo sia lontano dal punto dell’intervento necessario. Come è altrettanto vero che una linea di quello speciale fango rosso, generalmente fosfato d’ammoniaca LC-95A, sia tanto più efficace, quanto maggiormente è lunga e in grado di fare barriera all’incendio. Così, ecco palesarsi la visione: un possente trimotore Douglas DC-10, normalmente in grado di trasportare fino a 380 persone, dal peso a vuoto di oltre 120 tonnellate, che si lancia in picchiata lungo l’irta parete del canyon Silverado nella parte settentrionale della California, durante i gravi ed estesi incendi che colpirono la zona nel 2013. Come un falco che ghermisca la sua preda, quindi poi risale in uno spazio di 2 Km appena, prima d’impattare contro l’altro lato della depressione, nonché il coraggioso proprietario della telecamera, tale Jesse Peterson. Come nasce un tale fulmine di guerra, da dove proviene?

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Dragoni cingolati di foreste canadesi

Ponsse Scorpion

Ai margini occidentali della Columbia Britannica, vasta provincia nordamericana, si trovano rispettivamente la città maggiormente popolosa e quella più antica della zona. Sono Victoria e Vancouver, l’una sulla terraferma, l’altra capoluogo costiero, oltre un braccio di mare e su di un’isola che ha nome, alquanto stranamente, anch’essa Vancouver. Come il suo insediamento contrapposto, piuttosto che quello direttamente soprastante. Fraintendimento comprensibile. L’incontaminato e fronzuto Canada naviga in due Oceani, non uno soltanto, ciascuno da esplorare con dei mezzi molto differenti; il primo è di barche, navi ed aliscafi. E l’altro è il dedalo dei tronchi, un verde labirinto dalle molte vie d’ingresso. Ovvero, il bosco misterioso. Chi dovesse entrarvi partendo a suo rischio dalle coste dello stretto di Georgia verso Est, si ritroverebbe presto circondato da conifere rabbiose, pini atroci e querce belluine; gli antichi nemici dell’umanità. Alberi, questi, che sottintendono mancanza di controllo, spazi e strade da percorrere su solidi pneumatici, tra il metallo di automobili rassicuranti. Siamo forse scoiattoli, pernici o beccaccini, a doverci accontentare delle intercapedini di un legno stolido e indefesso…
Tutto questo, inoltre, sottintende la questione architettonica. Del materiale, per l’appunto. Quell’utile sostanza ormai defunta, la polpa e la corteccia, da tagliare, levigare ed inchiodare su pareti, paraventi e scrivanie. Il legno arreda e costruisce, offre rifugio dal pericolo degli elementi. Non avremmo ad oggi le nostre svettanti città, senza aver pagato un caro prezzo in vita vegetale. Il che si traduce, essenzialmente, in una singola latina locuzione: nemora delenda est. “Sia dannata la foresta, boscaioli, e tutto quello che contiene” Dicevano gli antichi, alquanto ingenuamente. Ancora non capivano, in mancanza del bisogno, che il mondo naturale deve esser coltivato. E trattato con rispetto; altrimenti, alla fine cosa resterà? Solamente l’incredibile tecnologia, roba da nulla! Quella, come questa, in grado di produrre macchine, stupende, che risolvono i problemi. PONSSE Scorpion: vi presento il fulmine svedese con otto pneumatici, cingolabili all’occorrenza, una cabina stabilizzata e il braccio distruttivo di un titano. Armato, quest’ultimo, di uno strumento assai particolare, detto harvester. Perché gli alberi, come noi uomini, sono sostanzialmente tutti uguali. Ben lo sapevano i francesi, durante la celebre Rivoluzione. Quando ghigliottinavano i nemici del Progresso: una testa rotola, lo stesso. Purché sia ghigliottinata e ghigliottinare un tronco, dopo tutto, non è così difficile. Basta premere un pulsante di questa cabina di comando.

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Rami sporgenti, pale rotanti, spade taglienti

Helicopter Air Saw

Ci sono due modi per tagliare un prato: velocemente, oppure bene. Nel caso di una foresta come quella della Michigan’s Upper Peninsula, invece, che stava disturbando i pali della luce, rischiando di ridurre al buio cittadine intere, c’era questo modo, e basta. Il quale, almeno giudicare dalle semplici apparenze, non si è rivelato lento, né tantomeno inefficace. Il pendolo della deforestazione. L’alabarda fulminante della potatura. Ovvero la speciale pratica che consiste nel brandire con perizia dieci seghe circolari, messe in fila su di un palo, alimentate da un motore a benzina indipendente, appese sotto a un elicottero lanciato a gran velocità. L’addetto ad un simile strumento aviotrasportato, con rombo di tuono e abili manovre, può svolgere in appena un’ora l’equivalente di una giornata di lavoro tradizionale, condotto da un’intera squadra di esperti tagliaboschi. Niente più camion, quindi, che per giungere in quei luoghi remoti avrebbero richiesto l’edificazione di sentieri temporanei, dal significativo impatto ambientale. E neppure scale, imbragature, funi di recupero, bracci meccanici o altri mezzi ponderosi. Soltanto lui, il pilota, la folle macchina e molto, moltissimo carburante. Il risparmio, alla fine, si ritrova anche nell’ambito della sicurezza. C’è sempre un elemento di rischio in simili missioni, che nel caso in cui siano coinvolti molti operatori, piuttosto che ridursi, si moltiplica in modo esponenziale. Insieme alle ingenti spese di assicurazione.
Tale soluzione, nonostante ciò che saremmo portati a pensare, non è poi tanto insolita nei vasti Stati Uniti. La temibile “sega volante” proviene dal settore privato, ma per sua natura vive un rapporto simbiotico con le compagnie statali di distribuzione dell’energia. Questo video in particolare, pur provenendo dal canale ufficiale della American Transmission Co, raffigura le gesta di un elicottero chiaramente brandizzato con il logo della Aerial Solution Inc, un’azienda che opera dal 1985. Proprio loro, guarda caso, si definiscono inventori dell’idea, che però con gioia mettono al servizio, volta per volta, di chi ne ha maggiormente bisogno. L’efficacia del sistema, assolutamente innegabile, non può comunque prescindere dal suo effetto estetico spettacolare. C’è un senso pionieristico, in un attrezzo come questo, che rasenta l’arte fanciullesca di arrangiarsi. Pare l’arma di un gigante.

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