La mente visionaria dietro il video dei fiammiferi che ha conquistato il Web

Così girano e si sovrappongono, costituiscono figure geometriche o matematiche. Piccoli castelli che scompaiono nel giro di qualche secondo. E scompongono la loro stessa essenza, per volere della mano di un demiurgo, che in assenza di alcun tipo di pietà tagliuzza quelle piccole forme oblunghe, ne separa la capocchia combustibile, che poi diventa un elemento indipendente. Alcuni si trasformano in serpenti, altri crescono e si allungano verso il soffitto. In un saliente caso, come attratti da un potente magnetismo, si dispongo a raggiera tutto attorno a un ovulo centrale, nella più inaspettata e riconoscibile rappresentazione dell’origine di ogni cosa. In un carosello che, per chi dovesse incontrarlo senza nessun tipo di preparazione filosofica, non parrebbe in grado di esaurirsi senza un intervento da parte dello stesso processo entropico dell’Universo. Ah, sic transit gloria mundi!
Nessun creativo più di quello che ha deciso di sfogare il suo genio attraverso Internet, può trarre un maggior vantaggio dall’applicazione di una valida routine quotidiana. E Tomohiro Okazaki, designer/pubblicitario proveniente dalla città di Chigasaki, nella prefettura di Kanagawa, sembrerebbe essere riuscito, all’inizio dell’epoca pandemica, a trarre qualcosa di positivo da quello che potremmo definire uno dei periodi più difficili nella storia recente del suo particolare ambito operativo. Niente più mostre, nessun evento (per qualche tempo) la più totale assenza di confronti con il proprio pubblico. E soltanto l’accesso illimitato a quello che, nel corso della sua carriera, più di ogni altra cosa era riuscita a fargli compagnia: la sua fida videocamera digitale, un piano di lavoro, tutto il tempo del mondo e spazio per riuscire a coltivare, infine, quei progetti collaterali che avrebbero potuto o meno proiettarlo nell’Olimpo dei più celebri autori visuali del mondo contemporaneo. Idea interessante, pensiero intrigante, iniziativa stravagante. Chi l’avrebbe mai detto? Che qualcosa di tanto semplice ed almeno in apparenza, totalmente privo di segreti, avrebbe potuto trasformarsi nella base operante di un vero e proprio linguaggio, precedentemente ignoto nella mente di qualsiasi spettatore. Quello parlato, senz’alcun tipo di progressione logica, tra i bastoncini che talvolta utilizziamo per avviare la fiamma del più antico strumento dell’uomo. Fuoco, fiamme di un incendio senza nessun tipo di limitazioni. Tranne quelle, a voler essere ottimisti, del più puro ed intangibile regno della fantasia. Il video intitolato semplicemente “Matches” (cerini) con tanto di timestamp relativo al periodo documentato, da gennaio ad agosto del 2021, rappresenta effettivamente un evoluzione della più classica valvola di sfogo dell’artista: elaborare ogni giorno, o almeno una volta alla settimana, qualcosa di nuovo ed in qualche modo interessante, poco prima di provvedere a pubblicarlo sulle pagine digitalizzate della storia memetica e virale mediante un sapiente uso d’Instagram, nell’accezione maggiormente positiva di quest’ultimo veicolo diventato progressivamente più complesso. Su di un tema singolo e ripetuto, ovvero quello facilmente desumibile di quanti e quali siano i modi in cui il suddetto oggetto, almeno in apparenza privo di misteri, possa in realtà evolversi nel giro di qualche secondo e grazie al più semplice ed intuitivo degli effetti speciali. Fare un foto, cambiare leggermente l’universo, farne un’altra e così via a seguire. Start, stop; start, stop, la tecnica alla base della sua poetica come acclarato nelle mostre precedenti e in molte delle creazioni realizzate fino ad oggi, a partire dal momento in cui, Okazaki rivela, scoprì per caso la maniera in cui immagini simili tra loro tendessero a diventare spontaneamente i fotogrammi di un’animazione continuativa nel tempo. In quello che lui chiama alquanto stranamente un time-lapse (ripresa accelerata di una scena di lunga dorata) laddove nel glossario usato in Occidente dovrebbe trattarsi piuttosto del tipico stop-motion (tecnica impiegata spesso nella creazione di sequenze o lungometraggi animati) lasciando sospettare una deriva del significato anglofono all’interno della lingua corrente giapponese. Il che non è del resto particolarmente singolare, né in alcun modo insolito, nello stile comunicativo di questa particolare lingua. Lasciando il compito di fare da intermediario al più assoluto ed universale degli idiomi: quello dell’immaginario visuale trasformato in rapida sequenza attraverso l’asse temporale di una pura & semplice manciata d’istanti…

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Il drone che ha danzato con le pecore che non non cercavano celebrità internazionale

Particelle in viaggio, spinte innanzi per l’effetto di un vento cosmico che ha mai fine. Il poderoso flusso fluviale del destino. L’incombente concatenazione di causa ed effetto. L’elaborazione del bisogno e del desiderio, che guidano le scelte di ogni essere vivente. In una moltitudine che almeno in questo caso, sembrerebbe agire con intento collettivamente responsabile, verso l’ottenimento del proprio obiettivo finale: raggiungere i pascoli, quindi tornare nei recinti, infine prender posizione, di concerto, attorno a un’ampia serie di abbeveratoi. In quello che potrebbe anche sembrare un singolo piano sequenza, se non fosse per il reiterato cambio di colori e di vegetazione ad ogni singola inquadratura, per una probabile deriva di sito geografico o stagione cosmica apparente. Poiché nei fatti, come viene evidenziato dallo stesso autore Israeliano Lior Patel, questa breve sequenza di poco più che un minuto è un semplice riassunto di svariati mesi di riprese, realizzate mediante il fido drone DJI Mavic 2 Pro per un periodo di ben 8 lunghi mesi, con la probabilità di creare il più formidabile repertorio d’inquadrature, animate o meno, di una delle aggregazioni d’animali più rilevanti per l’uomo. Particolarmente in questi luoghi dove, dagli antichi testi della Bibbia, sappiamo essere stato praticato per svariati millenni l’allevamento sistematico degli ovini, come comprovata fonte di latte, cibo e tessuti da indossare. Con metodologie certamente meno tecnologiche, eppur concettualmente non così diverse da quelle messe ancora in pratica dall’agricoltore e proprietario del gregge in questione Michael Morgan, coadiuvato dal suo socio sudafricano Keith Markov fin dal 1985, in una collaborazione capace di portare le pecore fino al numero assolutamente rimarchevole di 1.750 esemplari. Una parte significativa dei quali possiamo ammirare nelle poche, sintetiche immagini offerte dall’artista senza il pagamento di alcuna royalty, in quello che ha già finito per diventare una via d’accesso internazionale diretta nei confronti del suo abile operato. Perché il video, intitolato Sheep in fast motion parla un linguaggio facile da comprendere per qualsiasi cultura, offrendo un punto di vista insolito nei confronti di un qualcosa che, almeno concettualmente, credevamo di aver già conosciuto abbastanza a fondo. Le dinamiche operative di una moltitudine, almeno in apparenza, capace d’agire come un singolo organismo, che finisce così per ricordare le contorsioni di un qualsiasi sifonoforo o medusa sommersa tra le acque del mondo. Laddove studi analitici pregressi hanno da tempo dimostrato, soprattutto nel corso dell’ultimo periodo storico, come le pecore domestiche siano in realtà animali di notevole intelligenza e profondità emotiva. Tanto da mettere immediatamente in dubbio lo stereotipo, ancora largamente diffuso, secondo cui modellare il proprio comportamento su tale specie possa condurre verso una problematica perdita d’individualismo. Tutt’altra storia, nel frattempo, quella raccontata da ricerche sul campo come quella di studiosi del Royal Veterinary College di Londra (Andrew J. King e colleghi) che nel numero di luglio del 2012 della rivista Current Biology intitolavano il loro articolo proprio Selfish-herd behavior of sheep under threat (Il comportamento egoista del branco di pecore soggetto alla minaccia di un predatore) sviluppando un complesso modello matematico per l’osservazione di come, all’avvicinarsi di una minaccia percepita come un cane appositamente addestrato, ciascun singolo individuo facesse il possibile per spostarsi verso il “centroide” ovvero un punto il più possibile protetto dai vulnerabili corpi dei propri compagni e compagne di vita. Esibendo una fenomenale simmetria operante, così apprezzabile anche nel video di Patel per una lunga serie di ragioni capaci di costituire una costante. Poiché chi può dire, realmente, se siano state le pecore ad adattarsi alla propria vita in cattività, oppure l’uomo stesso, attraverso i lunghi secoli di perfezionamento, a progettare una serie di passaggi e situazioni attraverso cui i propri soggetti animali si comportassero nella maniera di maggiore convenienza per lui… Una ricerca che ha accomunato numerosi popoli attraverso il corso delle Ere, ma forse nessuno più di quello che tanto spesso attribuì l’allevamento di queste utili creature ai suoi più insigni predecessori. Da Abele, secondo figlio di Adamo ed Eva, fino ad Abramo, Isacco, Giacobbe, Rachele e persino Davide, il predecessore di Re Salomone. In un ideale filo conduttore, capace di attraversare ininterrotto il lungo trascorrere delle Ere…

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Gumi, pappagallo dallo strano verso che sghignazza beffardo contro il Web

Chi non conosce il mito cinematografico dell’urlo di Wilhelm? Soprannome dato alla famosa registrazione dell’ultimo sussulto, emesso da un anonimo individuo che precipita lontano dal microfono, presumibilmente all’interno di un profondissimo fossato. Tanto anonimo da diventare, in un interminabile elenco di pellicole, il sinonimo pressoché inevitabile della fine di svariati “cattivi” o i loro sgherri, condannati dal destino a pagare il prezzo più alto per la loro divergenza dalle più commendevoli norme del vivere civile. I videogiochi, a loro volta, sono pieni di effetti sonori iconici, molti dei quali rimasti indissolubilmente legati a particolari serie lunghe plurime generazioni: il “DING” delle monetine di Super Mario, lo strano risucchio delle paratie spaziali a scorrimento verticale in Doom (e innumerevoli altri sparatutto coévi) il trillo allarmante prodotto dalle guardie che avvistano il giocatore nella serie stealth di Metal Gear Solid. E forse in molti penseranno, a questo punto, a un altro grande classico rimasto negli annali, anche grazie alla quantità di seguiti che ancora affollano gli scaffali virtuali dell’industria: il franchise zombie-horrorifico di Resident Evil, con le sue porte tutte egualmente cigolanti, allo stesso modo arrugginite. Capaci di produrre la perfetta e prototipica rappresentazione nello spettro aurale di un cardine che per ogni aspetto rilevante, sembrerebbe aver sperimentato giorni migliori. Momento il cui campionamento in epoca recente, nell’organizzativa realtà dei fatti, potrebbe aver coinvolto direttamente la figura professionale di Hideaki Utsumi, il quale si presenta al pubblico come ex-tecnico del suono per la compagnia nipponica CAPCOM, con all’attivo partecipazioni curricolari anche alla saga di Devil May Cry, ancor prima di un recente trasferimento presso la storica compagnia HAL (Pokèmon, Kirby, Alcahest…) E diventato imprevedibilmente celebre da pochi mesi a questa parte, in aggiunta a tutto ciò, per la pubblicazione online di una serie di video con protagonista il suo simpatico amico piumato, un pappagallo dal colore rosso che ha deciso di soprannominare pubblicamente Red Birb.
Un vero e proprio “Uccello Rosso” il cui vero appellativo è Gumi, la cui specie d’appartenenza, dopo un breve approccio investigativo, si scopre essere quella del Lorius garrulus o lori garrulo delle isole indonesiane, creatura nota per il suo forte richiamo e un’entusiastica, benché tutt’altro che perfetta, capacità di riprodurre le voci umane. Il cui ruolo nella fattispecie sembrerebbe configurarsi, d’altronde, nel far trovare il grande pubblico a contatto con la sottovalutata idea, che anche un semplice pennuto non più lungo di 30 cm possa riuscire a creare una particolare sequenza d’onde sonore capace d’entrare a pieno titolo negli annali super-selettivi del vasto Web. Come una risata vagamente subdola, non mancano risvolti presumibilmente malevoli, o in alternativa il suono di un piccolo motore che fatica ad avviarsi, traslitterato ufficialmente e dai suoi molti fan dei commenti di YouTube con l’onomatopea ripetitiva “wuewuewuewuewue” che non riesce tuttavia ad esprimere neanche una frazione dell’effetto comico e sorprendente che si realizza, mentre il buffo personaggio fa oscillare ogni volta la testa da una parte all’altra, facendo vibrare il becco di un color arancione acceso. Frangente che riesce a realizzarsi nei momenti meno prevedibili, come durante il gioco con il suo padrone, mentre avvicina la testa ad un telefono (benché si tratti, in effetti, dell’altoparlante) o ancora rotolandosi felice tra le coperte, quando all’improvviso, dopo un attimo d’immobilità, si volta verso la telecamera poco prima di prodursi nella sua più amata e caratteristica esecuzione. Già rivelatosi capace di trasformarsi in un meme, grazie agli innumerevoli fotomontaggi in forma di gif o altro simile formato, spesso ispirati a vari titoli del mondo videoludico che tanto ha saputo dare, ricevendo altrettanto in cambio, nelle pregresse esperienze lavorative del suo padrone…

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Il grande scheletro metallico di un drago addormentato sulle coste di Francia

Al principio di ogni cosa, bestie colossali popolavano la Terra. E si tratta di un curioso caso di simmetria concettuale, se si pensa alla nozione biblica secondo cui al concludersi dei tempi, un serpente lungo quanto una quaresima farà la sua comparsa dal regno dei Cieli, discendendo tra i viventi per assolvere al destino di ogni cosa. Compiendo la solenne annunciazione, che l’Altissimo si è ormai stancato delle nostre peregrinazioni. Ed è un vento di assoluto cambiamento, quello che ormai soffia sulle lande condannate dall’Apocalisse incipiente. Rapida, immediata? Senza alcuna possibilità di appello? Molte religioni, nel corso della travagliata vicenda umana, hanno fatto a gara nell’attribuire simili caratteristiche ad un frangente di questo tipo, come conseguenza considerata imprescindibile per l’esistenza di un intelletto superiore, che ogni cosa determina in forza di specifiche ragioni. Mentre l’evidenza della scienza ha ormai da molti secoli tentato di mostrare che se c’è un peggioramento in atto, si tratta più che altro di un lento degrado. In cui ogni cosa deperisce, ed un giorno tragico svanisce, per effetto del più puro e semplice dei sentimenti: il disinteresse. O inattenzione per l’ambiente in quanto metodo per il sostentamento, di ogni specie che è esistita, esiste o ancora deve comparire sulla lunga marcia dell’evoluzione animale. Poiché non c’è poi una differenza tanto grande, per l’estinzione causata dall’arrivo di una meteora, piuttosto che lo sversamento petrolifero dovuto al naufragio di una grande imbarcazione dei tempi odierni. Tutto ciò che resta, alla fine, è lo stesso scheletro e vestigia di quello che adesso, non potrà mai più riuscire a connotare l’Universo di ogni cosa che brulica e si nutre, insistendo per cercare un qualche tipo di risoluzione finale. Esseri defunti ormai da lungo tempo, come quello dalla forma lunga 130 metri che soggiace presso il bagnasciuga sulla foce della Loira, non troppo lontano dal villaggio francese di Saint-Brevin-les-Pins.
Che potremmo chiaramente definire un fossile, se non fosse che in tal caso, di sicuro lo vedremmo tra le sale ombrose di un museo. Custodito ben lontano da quegli stessi elementi, che ogni giorno lo ricoprono e lo scoprono al variare delle maree, mentre progressivamente si ricopre di alghe, muschio ed altre forme basiche di vita vegetale. Una condizione che agli osservatori potrà diventare maggiormente comprensibile, ogni qualvolta all’alba ed al tramonto gli capiterà di scorgere una lieve luce o barbagliante scintillìo metallico, risultante dai raggi di quello stesso Sole distante, e per l’effetto di una prospettiva temporaneamente chiarificatrice. “Alluminio, amici miei!” Grideranno allora i più dotati di un spirito d’osservazione, valido a identificare quella che può essere soltanto, per la legge del rasoio di Occam, un’opera d’arte costruita dall’uomo. Nella valida persona del cinese naturalizzato cittadino di Francia, Huang Yong Ping (1954-2019) già creatore nel corso della sua lunga carriera di una vasta produzione valida ad interpretare i possibili significati dell’esistenza, la corrente condizione delle cose ed una possibile via utile a risolvere i problemi che gravano sull’avvenire di tutti. Attraverso un linguaggio fatto di metafore, spesso mirate a distruggere lo status quo come anche esemplificato dalla sua famosa citazione: “Distruggi l’Oriente con l’Occidente, ed annienta l’Occidente usando l’Oriente” benché sia particolarmente difficile negare il più evidente dei suoi messaggi in aggiunta a una ricerca estetica di un tipo spesso insostanziale per le chiare influenze dadaiste: che ogni cosa che facciamo, grava sulla quantità di possibilità che ci rimangono, avvicinando progressivamente l’ora del rimpianto. Finché l’unica specie che potrà restare per pagare il pegno di tanti e tali gesta, sarà proprio la nostra, cui non resterà che andare incontro ai più giganteggianti antenati e serpenti marini di un tempo. Messaggio assai più reazionario di quanto si potrebbe essere indotti a pensare, se si considera la maniera in cui questo artista scelse di auto-esiliarsi dal suo paese natìo nel 1989 mentre si trovava per una mostra in Francia, proprio mentre a Pechino si compivano i famosi e tragici fatti della strage di Tienanmen. Poiché giammai, la censura di stato riesce a ben sposarsi con il ruolo e l’obiettivo degli artisti, soprattutto quelli che possiedono una storia da raccontare. Tanto maggiormente problematica, per la sua obiettiva ed eccessivamente chiara veridicità…

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