Il grande scheletro metallico di un drago addormentato sulle coste di Francia

Al principio di ogni cosa, bestie colossali popolavano la Terra. E si tratta di un curioso caso di simmetria concettuale, se si pensa alla nozione biblica secondo cui al concludersi dei tempi, un serpente lungo quanto una quaresima farà la sua comparsa dal regno dei Cieli, discendendo tra i viventi per assolvere al destino di ogni cosa. Compiendo la solenne annunciazione, che l’Altissimo si è ormai stancato delle nostre peregrinazioni. Ed è un vento di assoluto cambiamento, quello che ormai soffia sulle lande condannate dall’Apocalisse incipiente. Rapida, immediata? Senza alcuna possibilità di appello? Molte religioni, nel corso della travagliata vicenda umana, hanno fatto a gara nell’attribuire simili caratteristiche ad un frangente di questo tipo, come conseguenza considerata imprescindibile per l’esistenza di un intelletto superiore, che ogni cosa determina in forza di specifiche ragioni. Mentre l’evidenza della scienza ha ormai da molti secoli tentato di mostrare che se c’è un peggioramento in atto, si tratta più che altro di un lento degrado. In cui ogni cosa deperisce, ed un giorno tragico svanisce, per effetto del più puro e semplice dei sentimenti: il disinteresse. O inattenzione per l’ambiente in quanto metodo per il sostentamento, di ogni specie che è esistita, esiste o ancora deve comparire sulla lunga marcia dell’evoluzione animale. Poiché non c’è poi una differenza tanto grande, per l’estinzione causata dall’arrivo di una meteora, piuttosto che lo sversamento petrolifero dovuto al naufragio di una grande imbarcazione dei tempi odierni. Tutto ciò che resta, alla fine, è lo stesso scheletro e vestigia di quello che adesso, non potrà mai più riuscire a connotare l’Universo di ogni cosa che brulica e si nutre, insistendo per cercare un qualche tipo di risoluzione finale. Esseri defunti ormai da lungo tempo, come quello dalla forma lunga 130 metri che soggiace presso il bagnasciuga sulla foce della Loira, non troppo lontano dal villaggio francese di Saint-Brevin-les-Pins.
Che potremmo chiaramente definire un fossile, se non fosse che in tal caso, di sicuro lo vedremmo tra le sale ombrose di un museo. Custodito ben lontano da quegli stessi elementi, che ogni giorno lo ricoprono e lo scoprono al variare delle maree, mentre progressivamente si ricopre di alghe, muschio ed altre forme basiche di vita vegetale. Una condizione che agli osservatori potrà diventare maggiormente comprensibile, ogni qualvolta all’alba ed al tramonto gli capiterà di scorgere una lieve luce o barbagliante scintillìo metallico, risultante dai raggi di quello stesso Sole distante, e per l’effetto di una prospettiva temporaneamente chiarificatrice. “Alluminio, amici miei!” Grideranno allora i più dotati di un spirito d’osservazione, valido a identificare quella che può essere soltanto, per la legge del rasoio di Occam, un’opera d’arte costruita dall’uomo. Nella valida persona del cinese naturalizzato cittadino di Francia, Huang Yong Ping (1954-2019) già creatore nel corso della sua lunga carriera di una vasta produzione valida ad interpretare i possibili significati dell’esistenza, la corrente condizione delle cose ed una possibile via utile a risolvere i problemi che gravano sull’avvenire di tutti. Attraverso un linguaggio fatto di metafore, spesso mirate a distruggere lo status quo come anche esemplificato dalla sua famosa citazione: “Distruggi l’Oriente con l’Occidente, ed annienta l’Occidente usando l’Oriente” benché sia particolarmente difficile negare il più evidente dei suoi messaggi in aggiunta a una ricerca estetica di un tipo spesso insostanziale per le chiare influenze dadaiste: che ogni cosa che facciamo, grava sulla quantità di possibilità che ci rimangono, avvicinando progressivamente l’ora del rimpianto. Finché l’unica specie che potrà restare per pagare il pegno di tanti e tali gesta, sarà proprio la nostra, cui non resterà che andare incontro ai più giganteggianti antenati e serpenti marini di un tempo. Messaggio assai più reazionario di quanto si potrebbe essere indotti a pensare, se si considera la maniera in cui questo artista scelse di auto-esiliarsi dal suo paese natìo nel 1989 mentre si trovava per una mostra in Francia, proprio mentre a Pechino si compivano i famosi e tragici fatti della strage di Tienanmen. Poiché giammai, la censura di stato riesce a ben sposarsi con il ruolo e l’obiettivo degli artisti, soprattutto quelli che possiedono una storia da raccontare. Tanto maggiormente problematica, per la sua obiettiva ed eccessivamente chiara veridicità…

Talune creazioni dell’artista appaiono talmente grandi e complesse, che neppure un semplice piano sequenza può riuscire a rendergli l’opportuna giustizia. Come nel caso del suo più grande serpente parigino, qui notevolmente catturato grazie all’uso di una telecamera a 360 gradi (consiglio di aumentare al massimo la qualità nelle opzioni di YouTube).

Con una carriera artistica iniziata sul commento a cosa fosse, e quali gesti comportasse, l’opera di chi ha deciso di riuscire in qualche modo a commentare la sua epoca, Huang Yong Ping diventò quindi famoso su scala internazionale verso l’inizio degli anni ’80, per la scelta imprevista del suo intero collettivo di sostituire preventivamente le opere di una mostra con cumuli di spazzatura, dopo aver bruciato sulla pubblica piazza tutto quello che, di lì a poco, sarebbe stato sottoposto alla probabile censura di stato. Al che sarebbe seguita la costruzione di una serie di roulette o portatili ruote della fortuna, che mutuando una scelta operata in precedenza dal suo grande ispiratore Marcel Duchamp, sarebbero servite a determinare in modo totalmente causale il sentiero futuro della sua arte. Ma la più chiara ed autorevole dimostrazione di che cosa effettivamente lui pensasse del cosiddetto senso comune, sarebbe giunta nell’opera del 1987 “Una concisa storia dell’arte moderna dopo due minuti in lavatrice” in cui sopra una scatola di legno compariva l’ammasso di polpa e fibre cartacee proveniente dai due più famosi testi sull’argomento scritti rispettivamente dall’autore inglese Herbert Read ed il suo connazionale Wang Bomin. Un gesto destinato a rendere la sua posizione nel sistema dei valori sociali cinesi ancor più instabile ed il cui commento avrebbe contribuito, successivamente, alla sua scelta di emigrare in Francia.
Così che lo Huang Yong Ping che ritroviamo quasi una decade dopo, a partire dalla storica mostra Magiciens de la terre tenutasi nel 1989 presso il centro Georges Pompidou, appare maggiormente preoccupato dai problemi più trascendentali della Terra ed il suo ambiente, mentre alla sua codifica più prettamente astratta iniziano ad affiancarsi nuove metodologie espressive, facenti spesso uso d’installazioni di grandi dimensioni con figure d’animali, creati artificialmente o direttamente impagliati per l’occasione. Fino alla partecipazione alla Biennale di Venezia nel 1999, dove rappresentò la Francia con l’opera “Un uomo, nove animali” in cui un carro segnatempo ormai distrutto veniva sovrastato dalle statue incombenti delle Bestie dell’Apocalisse, ricavate per l’occasione dai normalmente benevoli animali dello zodiaco cinese. Ed è proprio qui che compare, per la prima volta, la figura del serpente nella poetica dell’artista, destinato successivamente ad essere declinato più volte ed in molti luoghi del mondo. Spesso rappresentato nella sua forma scheletrica, sia per una voluta e dichiarata ambiguità con la figura mitologica del drago, che per l’univoca natura modulare delle vertebre, ciascuna rappresentativa di un diverso momento nella marcia progressiva delle circostanze. A partire dalla serie dei relativamente maneggevoli Bâton Serpent esposti in giro per il mondo a partire dal 2011, il cui titolo costituisce un riferimento biblico alla verga di Mosé usata per guidare il popolo degli Eletti durante l’Esodo. Scheletri abbastanza simili al serpente della Loira tranne che per la lunghezza che non supera i 50-53 metri. E fino all’estremo del giganteggiante “Empires”, mostruoso Leviatano di 254 metri posizionato nel 2016 dentro l’area espositiva parigina del Grand Palais, circondato da container usati per simboleggiare l’avidità della moderna società e con un gigantesco cappello di Napoleone in bilico nel punto centrale, definito dall’artista stesso come una “trappola” ovvero il “tranello” pronto a cadere sui malcapitati, che per lungo tempo ha impedito ai potenti di vedere l’effettiva realtà delle cose. Un messaggio d’altra parte veicolato, in maniera forse meno chiara ma altrettanto pregna, proprio da quell’opera collocata nel 2012 sulle coste armoricane e non troppo lontano dalla città di Nantes, con il suo famoso Luna Park meccanico creato dal gruppo teatrale La Machine, altrettanto dedito alla rappresentazione di fantastiche creature inusitate. La cui natura permanente o almeno a tempo indeterminato, rispetto alla condizione spesso transitoria delle opere artistiche di grandi dimensioni, sembrerebbe avvicinarlo piuttosto a un’opera architettonica, che definisce ed in qualche modo determina gli spazi a vantaggio dei viventi.

Nell’opera di Wu Zei, posizionata nel museo oceanografico di Monaco nel 2011, Huang Yong Ping usava un polipo gigante per simboleggiare l’avidità che condiziona il nostro rapporto con l’oceano. In cui tutto ci appartiene o dovrà, un giorno, essere condannato a farlo. Il titolo è un gioco di parole tra i caratteri cinesi usati per la parola “seppia” e l’assai più cupa e profetica espressione “acque nere”.

Come per un fossile trovato in modo puramente accidentale, molti sono i sentimenti provocati dalla metallica posta strategicamente in corrispondenza della foce del fiume Loira. La cui forma bitorzoluta, con la sua improbabile presenza, finisce per assomigliare volutamente alla forma elegante del vicino ponte di Saint-Nazare, creando una contrapposizione inevitabile tra le forme opera di una presunta e ormai scomparsa natura, con tutto ciò che l’opera dell’uomo ha reso necessario e almeno da un punto di vista soggettivo, innegabilmente bello.
Perciò alla fine non è facile capire quale tra queste due possibilità riuscirà a verificarsi per prima: che crolli l’arco di una tale cattedrale di acciaio, cemento ed asfalto, frutto di una venerazione in corso d’opera che è poi l’esiziale principio narcisista della civiltà contemporanea. Oppur l’atteso risveglio della bestia mitologica sputafuoco, per il concludersi altrettanto deleterio di una lunga ed ormai terminata epoca di tolleranza. Perché la natura tende sempre verso le soluzioni maggiormente semplici ed eleganti. Il che può comportare, nei fatti, l’eliminazione del superfluo! Come già, in molti tra il consorzio senza alcun vessillo dei profeti pregressi, avevano previsto tra le pagine delle loro antiche e venerande, nonché inutili Scritture.

Lascia un commento