Il gatto sullo skate che scotta

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Più virale dell’influenza, hot quasi quanto la Playstation 4, questo felino dall’inconsueta abilità con la tavoletta, il veicolo di Tony Hawk, non l’iPad, potrebbe rappresentare il soave simbolo di un paradosso: che non importa quanti elettroni debbano percorrere le ardue strade della rete telefonica, né il numero di chilometri che ci sono tra noi e server di YouTube, avremo sempre un gatto sopra i nostri schermi. Se dovesse venirci pure a piedi, dentro a un tubo e in cima ad un half-pipe, saltando cose, muri e autoveicoli. Spuntano dalle pareti nanometriche dei nostri processori, crescono come le piante sopra i letti fertili di centomila yottabyte, questi piccoli leoni digitali. E si palesano con doti nuove, in confronto alla collettività, ma soprattutto grazie agli occhi del padrone, per il suo successo e il pubblico ludibrio. Sono come dei mutanti con il gene X, perché anticipano l’evoluzione della specie – felina, canina, umana; seguono, del resto, la dura legge del web, quella secondo cui una cosa appena vista è già diventata vecchia, pronta al dimenticatoio. Così crepano le nostre menti, ma di risate, interiori e perché no, anche a denti stretti. Provateci voi, ad andare in giro per Miami a questo modo, dietro a un gatto sopra quattro ruote. Vi guarderanno come un pazzo. Ma il giorno dopo, sul calar del sole, sarete degli eroi.
Il video è stato pubblicato presso il canale CATMANTOO, risorsa ufficiale della Malibu Dog Training di proprietà di Robert Dollwet, ex aviere, grande amante di tutti gli animali a quattro (o meno) zampe nonché, a quanto sembrerebbe, uno straordinario addestratore.  Si tratta, per inciso, di un successo pubblicitario da oltre un milione e mezzo di visualizzazioni in meno di due settimane. A vederlo non è difficile comprendere il motivo. C’è una storia d’amore, tra Ollie, lo skateboard auto-semovente con tanto di registrazione all’anagrafe, ed il “suo” gatto (dell’uomo? Dell’attrezzo?) Che rasenta l’assurdismo. Un’ottima regia e poi va detto, un sincero senso del divertimento. Tendiamo sempre ad attribuire doti umane ai nostri animali domestici. Fin troppo raramente, invece, interpretiamo per associazione i loro specifici punti di forza, che maggiormente li distinguono da noi. È questa la lezione di Catwoman! Come un tipico supereroe, Didga, questo è il suo nome, salta sopra e sotto i pali, vola giù per rapide discese ed alla fine, con rullo di tamburi, vola pure sopra un grosso cane, Lucy, la rottweiler. Assicuratevi di guardare pure i titoli di coda. Spunterà a sorpresa un candido volpino, compagno d’improbabili avventure.

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Il vero cane nascosto dietro a Doge

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“Wow!” Disse il can-e: “Tutto scorre, che fluidità”. Le orecchie a punta, gli occhi a mandorla, il pelo vaporoso di un giallino fluorescente. Sullo schermo posto innanzi a lui,  la familiare cascata verticale di caratteri verdi, paralleli, dal significato chiaramente arcano; “Quale… (Magnifica) traslazione semantica!” Non c’era pace, sull’hovercraft volante Nabucodonosor, né distensione. Inseguiti dagli agenti tentacolari del mondo delle macchine, gli ultimi rappresentanti di questa palpitante razza umana, gli orfici protagonisti del film Matrix, oscillavano di continuo fra realtà e ingannevole simulazione, materia del sensibile o del digitale. E nonostante tutta la tecnologia fantastica fuoriuscita dalla mente degli sceneggiatori, fra cavetteria neurale o spinotti corticali, c’era sempre una costante d’interfaccia, fra loro e l’altro mondo: l’immancabile grafema, portatore di un significato semantico ulteriore. Quel Codice, che cadeva verso il basso, componente di molti cupi ambienti scenografici, tutti perennemente in viaggio, per necessità di trama. “A forza di guardarlo, non vedi più le cifre. Ma bistecche, belle donne o patatine fritte” Diceva un certo personaggio, “Wow…” Aggiungeva forse poco dopo, sotto voce.
Però a forza di studiarla, questa sequenza velatamente incomprensibile, capivi pure qualcos’altro. Che si trattava di caratteri giapponesi katakana, invertiti e ruotati di 180 gradi. Trasformati in glifi misteriosi, oltre che per il metodo di un simile artificio grafico, anche grazie al mutamento del contesto di fruizione: “Quanti fra il pubblico..” Avranno pensato, “…Riconosceranno questa scrittura, tutt’altro che internazionale?” Nel contempo, secondo certe teorie, la scelta di regia voleva essere un (comodo) omaggio ad altre creazioni cyberpunk, fatte d’anime fantasmagoriche nel guscio, diciamolo, relativamente: per i pochi eletti capaci di capire. Così, privo del suo senso nipponico di partenza, quell’alfabeto fonetico, normalmente usato per i termini stranieri, era diventato…Qualcos’altro. D’insensato, eppure così tremendamente significativo.
Passano 14 anni di monitor misteriosi, fra screen saver, video parodie ed animazioni in flash. La cascata del codice scorre tutt’ora, sebbene meno in evidenza, relegata a qualche sito di aspiranti anarchici ed hacker digitali. Ma fra le pieghe dell’approssimazione più simile a quel paventato mondo d’illusione, la variegata Grande Rete, spunta pure un cane, gigantesco, con il muso a Tokyo e la coda riccioluta, oh, addirittura! Fra i canali di Venezia. E altre Repubbliche marinare. Un logo imperscrutabile, l’icona per eccellenza, senza l’ombra di una lettera d’accompagnamento. Il supremo, l’onnipresente Doge. Che prima di essere anche lui canonizzato, trasformato in puri pixel trascendenti, era un vero cane. Di sesso femminile, pensa un po’. “Wow!”

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Beato il cane al sushi bar

SushiDog

Coco è una labrador davvero fortunata. Ad ogni compleanno, come da tradizione familiare, riceve l’onore di un grande pranzo preparato dal suo padrone, Gajyumaru. Giorno dopo giorno, vivendo insieme a un animale, si stabilisce con lui un lessico fatto di gesti, simboli e parole. E se pure Coco non saprà mai, davvero, cosa siano cookies, sasami e splendidi nigiri, già ne assapora il gusto mentre, rispettosamente seduta, attende il suo momento. L’apoteosi del gourmet. Questa scena, tanto gradevole e compunta, è simpatica, ma pure affascinante. La festeggiata prende posto di fronte a un piattino piuttosto originale, oblungo e frastagliato. Tutto intorno, gli strumenti del mestiere. Pare un tipico scenario da ristorante giapponese: da una parte il cuoco, esperto affettatore di pesci e materia vegetale, che produce con la sua sapienza quel momento irripetibile, non soltanto fatto di sapori, ma anche di spettacolo e atmosfera. Dall’altra…Noi. Perché non c’è figura più autorevole con cui identificarsi, come neofiti di quel mondo culinario, rispetto a quella dell’amico cane. Coco sono io, siamo tutti noi. E non importa quante volte siete stati a Tokyo…Le portate di quel particolare evento, vi assicuro, saranno nuove anche per voi.
Lo chef presenta il suo menù, tracciato a penna sopra un semplice foglio di carta (tutto è semplicità, modestia) con ottima calligrafia, va detto. “È un po’ che non ci vediamo, signora, davvero vuole dirmi che oggi è il suo compleanno?” Già dagli ingredienti si capisce la particolare attenzione utilizzata, nel proporre un pasto su misura: ci sono carne e pesce naturalmente, e molte altre delizie, ma soltanto cose adatte a un cane. Con lungo coltello alla mano, si comincia. Apre il pasto un biscottino per cani avvolto nell’alga nori, servito insieme al riso bianco (sumeshi). *GULP* Sparito! Quindi arriva il primo piatto, un rotolo (maki) di cavolo, ripieno di riso, carote e verdurine. La pietanza è costruita con l’aiuto del tradizionale tappeto di bambù, poi tagliata a fette, come la versione per bipedi parlanti. Coco apprezza, talmente tanto che manda giù tutto, senza nemmeno masticare. Al momento di bere, riceve con gioia la sua ciotolina da saké, riempita, per l’occasione, con del più consono latte di mucca (gyuunyuu). Un colpo di lingua sfortunato, ondata tellurica imprevista, ne rovescia parte del contenuto, fra le risate dei presenti. Ma niente paura. Gajyumaru, giocosamente, di nuovo tratta il cane come se fosse una persona: “Signora, che succede, si è già ubriacata?” Poi, rapido, pulisce. Lo spettacolo deve continuare.

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Cinque topi acrobati, un gatto e un cane cliccatore

Nana&Kaiser

Potrebbe sembrare il cast di un circo, ma non lo è. Tanti animali, tutti assieme, che agiscono per il più nobile degli obiettivi: la divulgazione dell’addestramento etico, basato sul rinforzo positivo, o per così dire multimediale. Molti di quegli animali, tigri, leoni, elefanti e così via, probabilmente ne trarranno giovamento, prima o poi. E il merito, si capisce, è anche dell’abile padrona. Nonché del fido clicker, portachiavi rumoroso, da lei usato per comunicare, in modo istintivo, con i suoi variegati amici a quattro zampe. E con che risultati! Questa YouTuber semi-anonima, senza volto per sua scelta, è da tempo nota attraverso il nome del suo cane, Nana. Ma una sola rappresentante del suo metodo, per quanto d’eccezione, poteva lasciarci qualche dubbio. Ovvero: si può, per così dire, cliccare, onde farsi comprendere da ogni specie? Senza limiti di proporzioni? Simili interrogativi, nella loro fondamentale importanza, ci assillavano da tempo. Così quest’agilissima border collie, di una razza tipicamente amata dagli addestratori, è per gradi diventata l’inseparabile compagna di Kaiser, l’imponente, maestoso gatto ibrido del Bengala e di Suki, Famous, Raven, Shadow e Paris, cinque eccelsi roditori, dal pelo splendido e fluente. Per un simile team di eroi dei nostri giorni, tutto è possibile. Pubblicità, video virali, servizi fotografici…. A partire dall’altro ieri, in particolare, sta ricevendo ampia visibilità una nuova sequenza, durante la quale i cinque topoloni, superficialmente simili agli abitanti delle proverbiali fognature, si trasformano in altrettanti Power Rangers, balzando fra le sedie, dentro ai tubi, sopra ai muri, oppure dritti nella mano della padrona. Meglio di Ratatouille! (imprese culinarie a parte, e meno male) Così si scopre, non ce l’aspettavamo, che addestrando il più classico nemico dell’umanità, paventato parente del demonio, se ne potevano trarre grandi soddisfazioni; vallo a trovare, un cane che ti salta a questo modo, l’equivalente della sua lunghezza, per 9, 10 volte. O che salga adorante sopra la tua gamba, sperando nell’essenziale bocconcino. Del resto con il cibo, lo diceva la sapienza popolare, si addestrano pure le belve. Però qui, per fare tali e tante cose, soltanto quello non bastava. Infatti c’è qualcosa in più: quel suggestivo sound, di un “flauto” meno magico, ma molto cliccatore…

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