L’antica disciplina che rielabora le leggi gravitazionali a vantaggio della leggerezza dei corpi

Raccontano le rassegne della stampa risalenti al 1994, che un ladro straordinariamente abile imperversava nella notte a Pechino. Nel corso di un singolo mese, il misterioso personaggio svaligiò dozzine di appartamenti nei distretti di Dongcheng e Xicheng, arrampicandosi sui muri, correndo sui tetti e penetrando facilmente all’interno delle finestre lasciate aperte agli ultimi piani. In un risvolto particolarmente imprevisto, l’uomo venne dopo alcuni mesi avvistato ed inseguito dalla polizia in un vicolo cieco. Allorché balzando senza nessun tipo di difficoltà, egli sembrò sollevarsi e prendere il volo, smaterializzandosi al di sopra degli altrui sguardi ipnotizzati dalla scena. Tanto che a seguito di quel momento, iniziò a circolare una bizzarra voce tra i locali: che il malfattore potesse essere la diretta reincarnazione di Li San la Rondine, eroe popolare dei romanzi Wu Xia di epoca Ming e Qing. Un’assoluta fantasia, ovviamente: giacché il tipico protagonista delle storie di arti marziali (武) e cavalleria (俠) avrebbe dovuto costituire un paladino dei giusti e protettore della responsabilità confuciana, guidato ad atti di benevolenza dalla quieta consapevolezza del valido equilibrio tra il Cielo e la Terra. Non certo un criminale agevolato dal possesso di un’abilità superiore alla media, derivante dal mero allenamento senza un appropriata bussola morale da impiegare come supporto. Qualcosa di eccezionale si era palesato tuttavia nel quotidiano, ed i più colti cominciarono a evocare nuovamente una parola ormai prossima all’oblio: QingGong (轻功) ovvero, l’Abilità della Leggerezza. Un’idea potente e intrinseca nell’approfondimento delle doti fisiche del corpo umano, lungamente praticata dalle discendenze ancestrali del sapere di Shaolin, Wudang, Emei e Qingcheng. Tanto stratificata e complessa, in effetti, da essere raccolta in un unico corpus di discipline e denominata tramite quel termine soltanto retroattivamente, a seguito della nascita di una coscienza nazionale tra il XVII e XVIII secolo d.C. All’interno di classici frequentemente citati come il Gujin tushu jicheng (古今圖書集成) del 1725, “Collezione Completa di figure e libri dei tempi antichi e moderni” in cui un estensivo capitolo viene dedicato alle tecniche di agilità, salto, movimento e leggerezza marziale. Con un’apparente contraddizione in termini, per quanto concerne quest’ultima voce: non è forse vero che il peso di una persona è una diretta conseguenza della sua massa? E per quanto sia possibile addestrarsi nel compiere un salto, ciò è uno sforzo necessariamente limitato dal bisogno di raggiungere un determinato livello di condizioni fisiche, piuttosto che filosofiche o puramente mentali. Eppure la suprema consapevolezza vuole, così come ben sapevano gli antichi Maestri, che i fattori comprimari all’obiettivo potevano essere profondamente interconnessi, alla maniera dei due draghi leggendari eternamente in lotta tra le nubi in tempesta, intrecciati con le loro scaglie nel feroce tentativo di ghermire la perlacea sfera che conduce all’immortalità…

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Sorge a Shenzen l’edificio futuristico che allude all’iniziale del suo committente

In un punto d’interscambi commerciali d’importanza primaria fin dagli albori dell’Era Moderna, situata presso l’estuario del Fiume delle Perle, l’odierna megalopoli composta da Macao, Shenzen e l’isola di Hong Kong costituisce a memoria d’uomo uno dei cuori pulsanti del progresso e la tecnologia dell’Asia Orientale, se non il mondo intero. In questo luogo sottoposto ad un processo di continuo mutamento, antiche culture convergono, vengono integrate, producono connotazioni nuove ai sistematici princìpi del pensiero e dell’estetica umana. Con zone come il quartiere Sheung Wan costellato di templi e botteghe tradizionali, fronteggiato dal distretto di Central che fronteggia il mare, con il suo nucleo finanziario sovrastato da una serie di grattacieli appartenenti ad epoche e sensibilità marcatamente diverse tra loro. Ma è forse proprio il popoloso insediamento all’altro lato del conglomerato marittimo, direttamente collegato alle arterie stradali e ferroviarie dell’entroterra, ad offrire alcune delle viste maggiormente eclettiche o difficilmente caratterizzabili fuori dal particolare contesto di pertinenza. All’altro lato dello Shenzhen–Bay Bridge (深圳湾大桥, Shenzhenwan Daqiao) lungo di 5 Km di lunghezza, ormai da quasi quattro anni è possibile individuare l’ombra progressivamente sopraelevata di quello che potrebbe costituire il recente edificio più originale di questo skyline senza effettivi termini di paragone vigenti. Creazione dello studio architettonico di Zaha Hadid, che dell’eredità decostruttivista dell’omonima nonché fondatrice architetta britannica ha saputo fare il proprio marchio di fabbrica con opere costruite nei cinque continenti, lo Yidan Center è un doppio grattacielo ad uso misto con ponte di collegamento superiore, che ricorda vagamente il celebre quartier generale della CCTV a Pechino, il quale risulta maggiore nelle dimensioni con i suoi 234 metri d’altezza contro i 139 della creazione più recente. Sebbene rispetto all’opera del 2012 creata dagli OMA newyorchesi, la forma del palazzo per come dovrà presentarsi al suo completamento qui risulterà connotata dalle forme organiche di un’effettiva “pelle” composta da strati sovrapposti di finestre riflettenti e pannelli metallici curvi in alluminio di colore chiaro, interfacciati in base a un calcolo parametrico mirato a massimizzare l’illuminazione ed isolamento termico, privilegiando nel contempo l’ottenimento dell’ormai iconico profilo curvo degli edifici prodotti da questo studio. Ciò che emerge, tuttavia, da un’analisi più approfondita è il segreto nella grafia cinese del nome dell’edificio: 一丹中心 (Yī Dān Zhōngxīn) con riferimento diretto al nome di colui che fortemente l’ha desiderato. Niente meno che Chen Yidan, uno dei cofondatori del gigantesco conglomerato tecnologico e mediatico Tencent, nonché della fondazione e premio anch’essi omonimi dedicati al perfezionamento dell’educazione su più livelli. Ed è qui che le cose prendono una piega inaspettata. Nel momento in cui si mettono a confronto l’ideogramma 丹 (Dān) con la forma pienamente apprezzabile dell’edificio ormai vicino al completamento…

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La cupa leggenda di Abashiri, carcere costruito sui gelidi confini del Giappone settentrionale

Con il repentino ingresso del Giappone nell’epoca moderna, successivamente all’apertura forzata dalle navi nere del Commodoro Perry a partire dal 1853 e la conseguente serie di sconvolgimenti sociali, amministrativi e culturali che portarono alla caduta del secolare shogunato dei Tokugawa, una nuova concezione del potere ebbe modo di palesarsi dai feudi occidentali di Chōshū e Satsuma, gestita da un’elite politica destinata a trovare in un preciso codice legale, piuttosto che il diritto ereditario, la legittimazione del proprio potere. Fu dunque priorità degli oligarchi, una volta restaurato l’antico potere non più meramente simbolico dell’Imperatore nel 1868, redigere una costituzione sul modello di quella prussiana, che introduceva il parlamento chiamato Dieta, diritti civili e persino un primo limitato accenno di suffragio popolare. Ma fu presto chiaro come l’instabilità inerente del paese sottoposto a simili sconvolgimenti potesse venire arginata soltanto in un modo: una nuova ondata di patriottismo e la rinascita delle mire espansionistiche verso i cosiddetti territori contesi, l’intera parte settentrionale dell’arcipelago un tempo popolata dal popolo etnicamente distinto degli Ainu, oggi nel mirino dell’insaziabile Zar di Tutte le Russie, Alessandro III. Obiettivo geograficamente complesso proprio perché suddiviso in una miriade di terre emerse, non tutte egualmente di valore se non dal punto di vista strategico e diplomatico, al fine di dimostrare la capacità della terra del Sol Levante di difendere i propri discontinui confini. Nacque in conseguenza di ciò la figura del kaitaku kōrōsha, il “grande pioniere” destinato per mandato governativo a trasferirsi in questi luoghi ghiacciati, dove avrebbe costruito strade, fattorie, nuovi insediamenti destinati a sancire il sacrosanto diritto ad esistere delle zone amministrative periferiche direttamente connesse al potere centrale. Ripercorrere la storia pregressa della vasta isola di Hokkaido, seconda per estensione di tutto il paese, permette tuttavia di notare la sospetta assenza di nomi strettamente connessi a molte delle opere civili che ne permisero l’ingresso nel nuovo sistema organizzativo e logistico fin qui descritto. Questo poiché tali implementi furono, sostanzialmente, costruiti dai prigionieri. Il nuovo codice legale dell’epoca Meiji prevedeva a tal fine quattro livelli di punizione: detenzione, detenzione con lavori forzati, pena di morte ed il cosiddetto trasporto. Non verso continenti lontani, come avveniva ormai da secoli nell’Europa del periodo coévo, bensì quegli stessi confini oggetto di faticosa e difficile colonizzazione. Il che, data la natura inclemente delle condizioni climatiche, tendeva a richiedere particolari sforzi in termini di organizzazione. E fu così che nel 1890 una letterale armata di 1200 prigionieri raggiunse il piccolo villaggio di Abashiri, con la missione di abbattere gli alberi della foresta e usarli per costruire quella che sarebbe diventata, nei lunghi anni a venire, la loro iconica e remota dimora…

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La pianta che incentiva l’atterraggio delle mosche imitando l’odore di formiche ferite dai ragni

L’ingresso nel pacifico scenario dell’orto botanico di 40 acri Koishikawa, costruito nel quartiere Bunkyō di Tokyo all’epoca dello shogunato Tokugawa, è un’esperienza che può trasportare il visitatore verso un tempo e contesto culturale distante. In mezzo alla natura pre-configurata sulla base delle necessità e sensibilità umane, dove ogni pianta ha una ragione ed il susseguirsi degli eventi stagionali appare in subordine al mantenimento di uno status quo immutato lungo il corso delle alterne generazioni. Ciò che Ko Mochizuki, biologo dell’Università cittadina, ebbe modo di notare durante i propri sopralluoghi con ragioni di studio, era una concentrazione anomala d’insetti, che per una ragione o per l’altra era lungamente sfuggita ad un commento scientifico da parte dei suoi colleghi. Mosche impollinatrici della famiglia Chloropidae, per essere precisi, vivaci volatrici che al di là di qualsivoglia ragionevolezza in termini di anonimato dallo sguardo dei predatori, sembravano massimamente inclini a concentrarsi sopra i fiori verdi a cinque petali di una pianta e soltanto quella: il tachigashiwa (タチガシワ) alias Vincetoxicum nakaianum, anche detto apocino giapponese o dogbane, per la sua presunta capacità di avvelenare con serie conseguenze la stirpe quadrupede dei cani. Causa la produzione pressoché continuativa di una resina biancastra, lievemente maleodorante, affine a quella immediatamente letale del suo parente prossimo sorprendentemente comune nei parchi cittadini europei, l’oleandro (Nerium oleander). Con potenziali conseguenze assai meno pericolose in questa attraente versione locale, ma l’apparente capacità di massimizzare le proprie chance riproduttive mediante l’utilizzo di un meccanismo particolarmente raro in campo botanico: la recentemente scoperta tecnica della cleptomiofilia. Il cui funzionamento risulta essere, allo stesso tempo, semplice e decisamente affascinante. Potreste a tal proposito già conoscere la maniera in cui l’insetto sociale per eccellenza, l’onnipresente formica, sia solita comunicare con i propri simili mediante l’utilizzo dei feromoni. Codici olfattivi utili in qualsiasi circostanza, poiché consentono il riconoscimento, la dichiarazione delle proprie mansioni ed in determinate circostanze, l’invio di un’ultima, disperata richiesta di aiuto. Così come talvolta capitava, successivamente all’incontro sventurato con aracnidi famelici, persino nella falsa quiete del Koishikawa Shokubutsuen…

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