A proposito delle meduse che hanno bloccato la maggiore centrale nucleare di Francia

Considerando attentamente l’esiziale vulnerabilità di un asset strategico come una grande centrale elettrica alimentata mediante l’utilizzo di carburante nucleare, è significativo il potenziale problematico di collocarla presso quello che costituisce per definizione il punto debole dei continenti: quella linea di demarcazione, più concreta che ideale, situata in modo tale da dividere la terra e il mare. Sulla costa come Fukushima, dove l’acqua del Pacifico serviva a raffreddare quei reattori eppure, l’innalzarsi di quella potente onda avrebbe reso manifesto il rischio di quella terribile deflagrazione finale. E non è certo un caso se da questo lato del globo terracqueo, nello stesso sito da cui le forze britanniche ed i loro alleati vennero imbarcati per lasciare temporaneamente agli autoritarismi il controllo d’Europa, un altro tipo di battaglia viene combattuto in modo ininterrotto a partire dal 1980. L’anno di accensione di quella che sarebbe diventata nota come la centrale di Gravelines a 24 Km da Dunkirk, da sempre in bilico tra funzionale presa di coscienza della propria utilità inerente assieme a dolorose considerazioni in merito al nostro presente e l’eventuale futuro. Così come durante il disastro giapponese del 2011, vennero varati piani per incrementare la sua sicurezza, e costruite lunghe, dispendiose dighe contro l’energia del Mare. Ma non è sempre possibile riuscire a prevedere in quale modo, questa volta, avrebbero trovato un’espressione le fondamentali rimostranze del dio Nettuno.
Il fenomeno si è reso manifesto dunque la scorsa domenica (10 agosto 2025) quando i tecnici supervisori avrebbero immediatamente riscontrato un’effettiva quanto preoccupante anomalia. Ovvero l’arresto automatico, in maniera pressoché contemporanea, di tre reattori sui sei presenti all’interno dell’impianto, per quello che sembrava un guasto ad ampio spettro dell’impianto di raffreddamento, necessario a prevenire l’inarrestabile fusione del nocciolo centrale. Situazione presto contestualizzata grazie al sopralluogo necessario, valido a confermare l’occorrenza di un fenomeno piuttosto raro ma non del tutto inaudito: letterali migliaia di meduse appartenenti alla classe degli Scyphozoa, spiaggiate attorno a quelle mura come risucchiate dentro i tubi degli afflussi idrici, fino al punto d’intasarli con i loro fragili e mollicci corpi tentacolari. Il genere di casistica capace di evocare l’immediato fascino della stampa e gli altri media internazionali, sebbene una percentuale relativamente bassa degli autori coinvolti si sarebbe trovata incline ad offrire l’identificazione della specie effettiva, protagonista di una tale proliferazione repentina ed altrettanto rara nel mare del Nord. Fatta eccezione per talune testate francofone tra cui TV5 Monde, trovatasi a citare il risultato delle osservazioni compiute dall’Istituto Nazionale dello Sfruttamento dei Mari (Ifremer) sull’argomento che nella persona della biologa Elvire Antajan ha pronunciato finalmente il necessario appellativo binomiale latino: Rhizostoma octopus, un tipo di cnidaria strettamente imparentata con la maggiormente familiare R. pulmo, soprannominata dalle nostre parti come il polmone di mare. Un potenziale quanto utile spunto di approfondimento ulteriore…

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Gli undici pilastri luminosi che conducono i viandanti verso le oasi del deserto saudita

Metafora dell’assoluta privazione, annichilimento, coda aculeata dell’entropia. Consapevolezza dolorosa che ogni passo potrebbe presto diventare l’ultimo, o che il tragico attimo del non-ritorno sia nei fatti già passato da un pezzo, mentre il nostro spirito procede lieve nell’incedere immediatamente successivo al trapasso. Nessuna vita, tranne quella degli uccelli che sorvolano in attesa della dipartita. Nessun fluido eccetto quello contenuto dalla diga di membrane cellulari, sempre più sottili, progressivamente meno funzionali allo scopo per cui sono state create. Giacché niente è “umano” più di quanto riesca ad esserlo il bisogno di acquisire l’adeguato livello di idratazione. Il che diviene progressivamente più difficile, una volta oltrepassati i confini di uno dei più inospitali biomi del pianeta Terra. Quello stesso ambito situazionale che il celebre Lawrence d’Arabia, contrariamente a quanto mostrato nell’eponima pellicola degli anni d’oro di Hollywood, si trovò a dover evitare su consiglio dei suoi compagni di viaggio tribali, pur considerandolo perfetta porta verso il retro delle postazioni difensive ottomane. Costeggiando, piuttosto che attraversando con al seguito gli esperti cavalieri beduini, l’arido erg del Nafud, in uno dei punti di svolta della Grande Rivolta Araba negli anni al culmine della prima guerra mondiale. Laddove oggi, come se niente fosse, schiere di turisti, avventurieri, cercatori o semplici curiosi non si fanno scrupoli a seguire le sue orme immaginifiche, tentando di sperimentare in modo personale l’assoluta solitudine ed il senso di totale indipendenza dalla civiltà vigente. Questo sapeva fin troppo bene l’avventuriero, guida ed escursionista saudita Mohammad Fohaid Al-Sohaiman Al-Rammali, venendo per l’ennesima volta chiamato ad andare in cerca di un automobilista atteso il giorno prima presso i familiari ad Hail, Baqaa o Al Qaid, presumibilmente bloccato lungo un sentiero accidentato con pneumatici forati, una coppia dell’olio frantumata o un semi-asse fuoriuscito dai perni di bloccaggio del veicolo malcapitato. Con il corollario, in un certo senso ancor più tragico, del comprovato esito possibile, corrispondente all’individuo in questione deceduto per disidratazione magari a poche centinaia, se non decine di metri di distanza da un serbatoio di rifornimento preventivamente disposto per abbeverarsi lungo i più battuti, pericolosi sentieri del vasto nulla coperto dalla sabbia impietosa. Dal che l’idea, contattando le autorità locali ed eventuali filantropi tra gli sceicchi della regione, di procedere all’installazione sull’inizio di quest’estate di un sistema tanto semplice quanto concettualmente privo di precedenti: fari non così diversi, per ogni aspetto relativo al funzionamento, da quelli tipicamente disposti sulle rocce al confine dell’oceano ed entro golfi dal fondale mendace. Affinché i condannati frequentatori del Nafud potessero, al presentarsi dell’opportunità o necessità evidente, usarli come punti di riferimento per raggiungere la condizione di salvare se stessi o i propri incolpevoli accompagnatori…

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Dalla mente fervida dell’inventore, la rotante biblioteca del sapere

Mentre lettere in sequenza si palesano di propria iniziativa sulla pagina, intingo la piuma dentro il calamaio e penso a quale potrà essere la giusta conclusione del componimento. Ripercorrendo con il dito quanto scritto fino ad ora, immagino concetti, confronto le nozioni cui potrò fare riferimento in rapida e risolutiva successione. Dove ho letto quella data? Quando ho udito per l’ultima volta, nel gremito padiglione della mente, il nome dell’autore a cui ho deciso di fare riferimento? Con un gesto lungamente collaudato, alzo la seconda mano verso l’elevata piattaforma di riferimento. Spingo lievemente con le dita, dando vita al meccanismo: CLICK-CLICK-CLICK, si ode risuonare nella grande biblioteca del monastero. Mentre l’incunabolo impiegato come fonte, lentamente scende sotto l’orizzonte degli eventi. Sostituito dalle pagine di un tomo differente! Ancora un tale movimento dovrà essere portato a compimento. Il completo giro della ruota, dalla mezzanotte all’ora del tramonto successivo e poi di nuovo, immantinente. Poiché la lancetta che traduce il flusso delle gocce nel sovrano simbolo del tempo, non può essere fermata. E parimenti è valido affermare questa cosa, per l’intento umano di acquisire la Sapienza.
Le diverse et artificiose macchine. Nelle quali si contengono uarij et industriosi Mouimenti. Degni di grandissima speculazione, per cauarne beneficio infinito in ogni sorte d’operazione. Queste le espressioni usate per il lungo titolo dell’unica opera sopravvissuta del Capitano Agostino Ramelli, italiano della seconda metà del XVI secolo famoso per essersi trasferito nel 1571 alla corte del duca di Angiò, futuro Re Enrico III di Francia. Dove tra una partecipazione e l’altra alle campagne militari contro gli Ugonotti, trovò il tempo per coltivare un’immagine conforme al celebre operato dei suoi connazionali inventori del Rinascimento: applicare lo studio della matematica, alla costruzione di macchine capaci di facilitare o migliorare la vita delle persone. Principalmente pompe ed altri attrezzi per il sollevamento delle acque, come spiegato e finemente illustrato nel testo di cui sopra, ma anche dei congegni dal campo d’utilizzo maggiormente specifico e personale. Vedi la sua celebrata, e più volte imitata ruota con il fine di facilitare la lettura per coloro che soffrivano di problematiche d’infermità dovute, ad esempio, alla gotta. Per cui sarebbe stato molto pratico poter disporre di una fetta significativa dello scibile in loro possesso posizionato così da potervi accedere in qualsiasi momento. Grazie a una versione ante-litteram, in altri termini, di quello che può fare un’odierno Kindle e capiente disco rigido per collezioni videografiche o fotografie pregresse, chiamata all’epoca Roue à livres, Bookwheel o “leggio rotante”. Un po’ come un archivio, benché vivente. Nella misura in cui l’effettiva capacità di continuare a muoversi, può essere considerata equivalente all’esistenza di animali ed esseri senzienti della nostra Terra…

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Eclissi gialla sulla miniera: storia della ruspa che poteva oscurare il sole

Esiste questa idea secondo cui il tirannosauro fosse l’animale più potente del Cretaceo, un assoluto superpredatore incontrastato nel dominio del suo legittimo regno d’appartenenza. Un preconcetto assunto per antonomasia, trasferendo le sue proporzioni in un contesto moderno, dove cesserebbe quel dualismo sincretistico che vede confrontarsi gli agili, scattanti carnivori con i mastodontici ed inamovibili mangiatori di piante. Ma così come oggi l’unico il vero re della savana è l’elefante, esistevano in quell’epoca sauropodi, vedi l’argentinosauro o i titanosauri della Patagonia, di fronte a cui il frainteso gallinaceo alto come una palazzina di due piani sarebbe rapidamente impallidito sotto le sue piume, dopo una contemplazione delle proprie chance di abbattere un bersaglio tanto più imponente di lui.
Trasferiamo adesso tale termine di paragone all’attuale conduzione operativa di una miniera a cielo aperto. Il tipo di ambiente antropogenico dove ogni singola creatura si vede attribuita un ruolo estremamente pratico, incluse quelle fatte di acciaio, gomma e fluido idraulico all’interno di così possenti vene. Come i camion da trasporto, addetti alla logistica e i bulldozer che preparano i siti di scavo, appiattendo la sacrificabile (?) cima di montagne per ottimizzare le opportunità di guadagno future. E gli escavatori dragline con i loro bracci perpendicolari, situati in zone strategiche per sollevare, filtrare e suddividere il materiale. Ma se ora vi dicessi che qui esiste uno strumento, la cui versatilità inerente è tale da riuscire a garantirgli la più alta mobilità in proporzione alla massa ed al tempo stesso, l’effettiva propensione di poter assolvere a ciascuna di tali diversificate mansioni? Come se fosse, al tempo stesso, la tigre ed il dragone. Il cavallo ed il rinoceronte. Lo squalo e l’anfisbena. In linea di principio, potreste conoscerla molto bene: è la ruspa. Bensì trasferita a proporzioni che oggettivamente sfuggono alla comprensione subitanea dell’immaginazione individuale. Un tipo di veicolo sovradimensionato che oggi trova il produttore maggiormente celebre nell’azienda giapponese che prende il nome dalla città dove fu fondata un centinaio di anni a questa parte. La Komatsu Ltd, il cui operato è da tempo sinonimo di competenza, affidabilità e… Ambizione. Quella di poter assolvere, con i suoi modelli prodotti in serie, ad esigenze del movimento terra dalle proporzioni totalmente prive di termini di paragone. Un sentiero al cui termine ideale possiamo individuare la PC8000, negli ultimi tempi diventata popolare su Instagram e Tiktok grazie a una serie di comparative videografiche tra la sua massa e quella di un bipede senziente del pianeta Terra. Con il secondo pronto a divenire, in quel contesto, la passiva equivalenza di un mero stuzzicadenti con distinte capacità deambulatorie…

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