Volendo stilare un’ipotetica graduatoria degli uomini più influenti in uno specifico momento storico, sarebbe impossibile non porre in prima posizione colui che possiede la capacità d’influenzare e dirigere i flussi di forza. Ovvero lo spostamento, attraverso l’aere e lo spazio, degli atomi instradati attraverso il percorso della sua incrollabile volontà. Ed era il 26 giugno del 1897 quando, durante la sfilata della marina per il giubileo di diamante della regina, il conte irlandese del castello di Birr, Charles Algernon Parsons, sarebbe diventato quest’uomo, dinnanzi ad alcune delle figure più importanti della sua epoca e niente meno che il principe del Galles, colui che sarebbe salito al trono d’Inghilterra come Edoardo VII nel giro di appena sei anni. Figlio ed erede della monumentale monarca Vittoria, colei che aveva visto e determinato la crescita del più vasto Impero, nonché uomo di marina dalla notevole esperienza. Il quale tuttavia non avrebbe potuto far nulla, dinnanzi alla spropositata arroganza del suo contemporaneo.
Tutto ebbe inizio in un lampo di luce di una ciminiera incandescente, tra gli spruzzi del mare oltre la costa di Spithead nella contea dello Hampshire, dove storicamente si erano sempre tenuti simili eventi di rappresentanza: effetti prodotti dal riflesso ed il rapido movimento dello yacht privato, sottile come una spada da samurai, costruito e pilotato dal capitano Christopher J. Leyland, in qualità di proof-of-concept per un nuovo metodo finalizzato a trasformare l’energia del calore in navigazione. Turbinia era il termine scelto da Parsons stesso, di nome e di fatto. Così come sarebbe stato particolarmente evidente per chiunque avesse potuto scrutare, con occhi indagatori, all’interno della sua sala macchine sferragliante. Dove non v’era traccia residua, di nessun tipo, del sistema tradizionale della macchina a vapore e in effetti neppure l’ombra di un pistone. Entrambi sostituiti da un approccio decisamente più semplice ed elegante: l’elemento girevole ed aerodinamico, replicato tre volte e direttamente collegato a un’impressionante serie d’eliche, con un’efficienza energetica assolutamente invidiabile (per l’epoca) di circa il 10-15%. Ciò che tuttavia ebbero modo di vedere, e in qualche modo metabolizzare, i nobili e il futuro re assiepati sugli spalti sabbiosi antistanti, sarebbe stata l’impressionante velocità di 34 nodi (63,4 Km/h) raggiunta dal natante, abbastanza da girare letteralmente attorno ad alcune delle più possenti navi militari della sua epoca, gettando copiosi spruzzi sul ponte dagli equipaggi increduli e incapaci di fermarla. Viene in effetti narrato, a proposito di questo attimo leggendario, che alcuni dei marinai incaricati avessero tentato di puntare i cannoni all’indirizzo dell’intruso non identificato e in attesa dell’ordine di far fuoco, senza tuttavia riuscire a inquadrarlo nei propri mirini. Talmente elevata era, in parole povere, la velocità del Turbinia.
Si trattò di un rischio attentamente calcolato, dalle chiare finalità pubblicitarie “d’assalto”, nonché la risultanza di molti anni di lavoro da parte del suo inventore, colui che avendo intrapreso una carriera ingegneristica nel nuovo campo della generazione elettrica, avrebbe invece finito per rivoluzionare il sistema di propulsione per eccellenza del mondo militare. Perciò prima di spostarci in avanti nella nostra cronologia, vediamo almeno per un attimo di considerare da dove, ed in che maniera, fosse giunto alla ribalta questo impressionante bolide dei britannici flutti…
irlanda
Skelling Island, terra di Jedi e monasteri fantasma
L’abate Etgal guardava gli stranieri in avvicinamento con la loro demoniaca macchina volante. Sentì come un brivido lungo il collo, mentre nella sua mente formava il pensiero: “In nome del Santo Arcangelo, questa storia non finirà bene.” Di certo lui, che aveva conosciuto le conseguenze di un invasione vichinga verificatosi qualche tempo addietro, aveva ottime ragioni di temere ogni forma di novità e l’arrivo di sconosciuti. Sedendosi sulla panca di pietra che si trovava ai confini più estremi dell’eremo meridionale, affacciò il suo sguardo oltre la rupe alta almeno 80 metri, mormorando fra se e se una preghiera a San Finnian, fondatore di questo luogo remoto. Quindi con un profondo sospiro, si alzò, fece otto passi verso il baratro, e saltò verso l’azzurro dell’oceano sottostante. Una brezza leggera, tipica dell’Irlanda nei mesi di primavera, lo raccolse al volo per trasportarlo all’altro capo dell’isola di Sceilig Mhór.
“Che cosa vuoi dire, CREDI che abbiamo rovesciato un nido? Lo sai quanti permessi ci sono voluti per poter girare quassù? E cosa succederà, quando informeremo le autorità dell’accaduto?” L’individuo senza nome, posto a capo della grande produzione hollywoodiana, guardò con espressione truce il pilota di elicottero. Quest’ultimo appariva contrito ma fondamentalmente, anche un po’ perplesso. “Mr. [REDACTED] che cosa le devo dire… C’era un solo posto, in tutta questa dannata roccia, in cui potessimo atterrare: l’orto sopraelevato tra le mura del monastero. E ci avevano detto che andava bene, ci avevano detto così. Però la vede anche lei quella terra smossa? E quell’uovo rotto? Lì c’era una famigliola di berte minori, sono pronto a giurarci. E allora mi dica adesso, dove sono i pulcini?” Sui presenti calò immediatamente il silenzio. Tutti ricordavano, bene o male, l’allucinante spezzone della BBC, in cui i piccoli dell’oca facciabianca saltavano giù dalle scogliere scozzesi, nel tentativo di spiccare il volo. E il terribile destino che aspettava, inevitabilmente, tutti quelli che non riuscivano a farlo. “Vuoi dire che… Beh, potrebbero essersi spaventati, aver… Aver spiccato il volo per mettersi in salvo. No?” Fu in quel momento che l’uomo della produzione sentì, all’improvviso, un suono mai udito prima. Come un frastuono disarticolato proveniente dalla costa sottostante, le cui modulazioni si dimostrarono provenienti, nel giro di qualche secondo, da un’assembramento di uccelli marini agitati. Lentamente, un passo alla volta, si avvicinò al ciglio assieme al pilota, quindi entrambi guardarono verso il basso. La scena si stava svolgendo all’incirca 25-30 metri più in basso, su uno sperone di roccia. Una coppia di giovani uccelli, simili a piumini grigiastri, si erano radunati al margine estremo dello spazio a disposizione. Altri tre, letteralmente smembrati e trasformati in letterali mucchietti di ossa e piume, erano già stati scarnificati dai loro carnefici infernali. Una dozzina di gabbiani, gli occhi giallastri spalancati per la gioia malefica, si spintonavano a vicenda, nel tentativo di guadagnarsi l’accesso all’ultima portata di questo banchetto fuori programma.
Mentre fuori si svolgeva l’orribile dramma, l’addetto alla supervisione delle location cinematografiche stava facendo il suo ingresso nella cupola di pietra della Cella F, tipico clochán rappresentativo del sesto/settimo secolo dopo Cristo. Il piccolo edificio, messo insieme secondo il principio dell’arco a mensola condiviso da innumerevoli culture di tutto il mondo, era sorprendentemente luminoso all’interno e riparato dalla brezza marina. Tutta la luce proveniva dal singolo oculo di forma circolare e il diametro di circa 30 cm, situato verticalmente sotto il tetto del singolo ambiente pietroso. “[REDACTED], vieni a vedere!” Con l’espressione ancora un po’ scossa, il capo della produzione si affacciò dall’arco dell’unico ingresso previsto dagli antichi monaci. Osservò attentamente l’ampiezza dell’ambiente, il suo fascino quasi preistorico e misterioso. Quindi annuì pensieroso, mentre con una scrollata di spalle, esprimeva un pensiero sulla falsariga di: “Ma si, tanto ormai abbiamo pagato…” E con un gesto consumato, tirò fuori il bloc-notes dal taschino della camicia. Afferrata la penna con la mano destra, fece allora un segno di spunta sulla sua lista, alla voce “tempio Jedi”. Fu in quel preciso momento, mentre il collega era già uscito per andare a supervisionare l’edificio dell’oratorio grande, che l’aria parve convergere in un singolo punto. Di fronte al suo sguardo incredulo, tra macchie di muschio verde-ocra, iniziò a prendere forma lo spettro di Obi Wan Kenobi.
Il Realismo magico è una corrente pittorica, filosofica e di pensiero, secondo cui l’oggettività umana non può mai completamente prescindere da suggestioni fantastiche, oniriche o poco probabili. Venendo, piuttosto, influenzata dalle situazioni di contesto, finché i pensieri non prendono forma quasi tangibile, dando luogo a visioni che meritano di essere rappresentate. Meritano di essere narrate. E qualche volta, persino inventate. Non sono molti i luoghi di questo mondo, dopo tutto, ad essere intrisi di un carico di misticismo superiore a quello della piccola isola di Skellig Michael con la sua sorella minore, Little Skellig, situate a circa 12 chilometri dalla costa sud-occidentale della Terra Verde per eccellenza. Dove ci si ricorda, in maniera pressoché spontanea, che i padroni di un tale nazione devono il loro nome a un leggendario eroe, il quale secondo la leggenda venne sepolto proprio tra simili scogli, dopo essere annegato a causa delle stregonerie dei Tuatha Dé Danann, popolo indigeno dedito alla venerazione degli antichi dei. Il suo nome era Ir, e la sua discendenza, un’importante fattore: il padre Míl Espáine, in un’altra vita, aveva avuto nome Milesius, ed era stato un soldato romano al servizio degli ultimi Imperatori. Prima di decidere, grazie a un colloquio con il Destino, di dover partire alla volta d’Irlanda.
L’effetto del mare sul nuovo intercettatore d’Irlanda
La XSV 17 “Thunder Child” (Figlio del Tuono) è l’ultima creazione ingegneristica della Safehaven Marine, azienda della città irlandese di Cork specializzata nella creazione di battelli al di sotto dei 20 metri, ottimizzati per gli impieghi tecnici e militari più diversi. Spinta da due motori Caterpillar C12.9 per un totale di 1.000 cavalli, capaci di fargli raggiungere agevolmente i 54 nodi di velocità (esattamente 100 Km/h) si tratta di un motoscafo compatto, costruito in materiali compositi, parzialmente invisibile ai radar e capace di trasportare fino a 10 persone, di cui 6 posizionate su dei sedili ammortizzati del tutto simili a quelli presenti su un’aereo acrobatico o un’automobile da corsa. Il concetto del vascello in questione, capace di montare una pluralità di sistemi d’arma letali e non, è di unire i caratteristici punti forti di una barca da recupero in mare a quelli di un incrociatore costiero, il tipo di scafo che oggi trova largo impiego nella corrente situazione d’instabilità internazionale. Una caratteristica insolita di questo prototipo, in realtà una versione perfezionata della serie d’imbarcazioni denominata con il termine Barracuda, è l’alto grado di visibilità che sta ricevendo online, grazie ad una campagna di marketing sui social condotta in maniera spontanea, ma davvero efficace, dal titolare della compagnia, Frank “Wild Cat” Kowalski. Un vero lupo di mare che nonostante la generazione d’appartenenza, e i capelli completamente bianchi, firma personalmente tutti gli articoli sul suo sito e non si fa problemi a mostrare il suo volto nelle situazioni marittime più diverse, mentre illustra con voce chiara e stentorea le eccezionali caratteristiche della sua attraente creazione. Particolarmente riuscito, in quest’ottica, si è dimostrato essere il video in cui la Thunder Child veniva capovolta mediante l’impiego di una gru portuale, con a bordo tre persone tra cui lo stesso Kowalski, al fine di dimostrare la sua notevole capacità di tornare autonomamente in assetto normale, senza rischiare in alcun modo l’affondamento. Ma anche il record del mondo ottenuto nella circumnavigazione ad alta velocità dell’Isola Verde di provenienza, per un percorso di 2.067 Km nell’inospitale e freddo Atlantico del Nord, portato a termine nell’estate del 2017 andando incontro a tutto il successo prevedibile ed auspicato. Una circostanza, questa, che difficilmente avrebbe potuto verificarsi senza l’ampio ventaglio di test a cui era stato sottoposto il battello, prima dell’atteso ed emozionante giorno della sua partenza.
Volendo produrre un’ipotesi, il successo mediatico dell’imbarcazione denominata sulla base della torpediniera corazzata dell’originale dramma radiofonico inglese “La guerra dei mondi” va probabilmente ricercato anche nella sua estetica di fondo: l’innovativa forma triangolare dello scafo, concepita per funzionare sia mediante il taglio diretto delle onde ad alta velocità, che per sollevarsi al di sopra di esse in un assetto di maggiore comfort per l’equipaggio, la fa assomigliare al design impossibilmente “cattivo” di determinati veicoli della storia cinematografica, su tutti il vasto parco motoristico del supereroe dal cupo mantello, Batman. Ma neanche i progettisti di Gotham City avrebbero potuto ideare, per il loro segretissimo e spietato cliente, un sistema così ingegnoso di regolazione idraulica, per cui le due eliche scoperte di produzione italiana (marca Metamarine) possono essere riorientate liberamente durante la marcia, cambiando la configurazione operativa a seconda delle preferenze dell’equipaggio e le necessità della missione. A completare il profilo la “pinna” idrodinamica, e radar-riflettente, posizionata sopra la cabina di pilotaggio, contenente le antenne e il sistema di comunicazione radio, in un unico scomparto protetto dalla forza delle onde nel caso d’inaspettati cappottamenti durante una tempesta, che quindi non riusciranno a rallentare le operazioni più di qualche minuto al massimo. Mentre i coraggiosi uomini e donne della Guardia Costiera, rispondendo all’emergenza di turno, potranno fare affidamento su tutta l’affidabilità dell’alta tecnologia. Ed anche, cosa non da poco, la sua notevole capacità intimidatoria…
L’antico sport dei guerrieri d’Irlanda
Gli alti bastioni di Emain Macha, sulle colline di Armagh, sembravano chiamarlo ed accoglierlo con un senso di possente aspettativa. Il ragazzo ben sapeva, grazie a un’intuizione superiore al normale, che qualunque cosa fosse successa in quel fatidico giorno, sarebbe stata predestinata dagli Dei. E questo aveva detto prima di partire a sua madre Deichtine, figlia ed auriga del re di Ulster, Conchobar mac Nessa. Così, all’età di soli 11 anni, il coraggioso Sétanta aveva lasciato la tenuta di famiglia, l’equivalente di un feudo medievale nell’epoca del primo secolo d.C, per recarsi presso la capitale del regno, ed unirsi alle bande guerriere dei giovani difensori dei clan. A vederlo, non sembrava ancora fatto della stoffa di un eroe: egli era basso, con la carnagione scura, non particolarmente muscoloso o imponente. Il lunghi capelli, dai riflessi cangianti tra il castano, il biondo e l’oro, erano stati legati con cura attorno alla sua nuca. La tenuta era modesta ma conforme a quella tipica del viaggiatore, con un mantello di colore verde dal cappuccio abbassato, stivali stretti alle caviglie con la corda ed una larga tunica, dalla stoffa decorata a quadrettoni variopinti. Nella mano destra stringeva, come sua abitudine, il fido bastone da passeggio dalla testa appesantita, che il suo popolo era uso a definire shillelagh. Nessuno, nella capitale, conosceva il suo volto. Eppure i guardiani del portale dell’arena, vedendolo palesarsi, subito si fecero da parte: c’era un qualcosa, nello sguardo e il portamento di quel ragazzino, che riusciva a suscitare un senso immediato di soggezione, persino tra i guerrieri veterani delle molte battaglie dell’Ulaidh, la terra che un giorno lontano avrebbe preso il nome di Irlanda del Nord.
Quasi immediatamente, sopra l’erba rigogliosa del luogo di scontro ed addestramento in cui si era inoltrato lo straniero, calò uno stato innaturale di immobilità. Chi correva, chi lanciava e riprendeva la sliotar, tradizionale palla in legno e crine di cavallo, chi si adoperava negli scontri simulati col camán, una sorta di versione piatta e larga della mazza da guerra, simile ad un remo, con rinforzi di metallo alle sue contrapposte estremità…16 ragazzi, ancora troppo giovani per essere guerrieri, si fermarono, si riunirono in un minaccioso capannello, quindi avanzarono verso quello che non potevano fare a meno di considerare un intruso: “Chi sei tu, insignificante individuo…” A parlare era il capo della banda, che l’abbigliamento identificava come il figlio di un nobile della città, “…Che osa mettere piede nello stadio di Emain Macha, senza prima chiedere la protezione a uno di noi? Lo sai cosa comporta questo gesto?” A quel punto Sétanta, i piedi ben piantati nella posizione di riposo del Gioco, lo shillelagh ben stretto tra le mani e in posizione orizzontale all’altezza della vita, serra i denti e increspa il labbro superiore: “Voi…” Le pupille improvvisamente ingrossate, prendono a muoversi in maniera ritmica da destra verso sinistra, e viceversa, mentre le sopracciglia sporgono in fuori, a guisa di malefici vermi di terra: “Siete voi…La giovane banda…Che progetta di assalire il Connacht? Voi…Non siete pronti.” Colto in contropiede, l’arrogante condottiero apre la bocca, quindi la richiude. Alza in alto il suo intimidatorio camán. Poi pronuncia le fatidiche parole: “Ragazzi, questo qui viene da fuori, ad insultarci. Dategli subito ADDOSSO!”
Ora, naturalmente, nell’Irlanda protostorica le risse erano già una cosa seria. Ce n’erano di ogni tipo, nelle locande, nelle piazze, durante le riunioni di governo nella lunga sala del sovrano. Per le ragioni più diverse: una disputa su scambi commerciali, ad esempio, oppure divergenze in materia di proprietà terriere. O ancora l’incertezza su chi dovesse cedere il passo alla sua controparte. Una donna. Ma nessun argomento infiammava gli animi, soprattutto nella primavera della vita, che la sensazione di aver ricevuto un’offesa d’onore. E questo, Sétanta lo sapeva molto bene. Così alzò subito lo shillelagh, per deviare il colpo del suo nemico. Qui lo fece mulinare in un ampio discorso persuasivo, simile al movimento ritmico di un direttore d’orchestra. La banda dei giovani esitò. Ma il primo di loro, che nonostante l’età era già scaltro e furbo nella lotta, si era nel frattempo mosso alle sue spalle con la fluidità del vento, e alzato l’attrezzo in legno e ferro sopra la sua testa, lo vibrò poderosamente all’indirizzo del nipote del re, colpendolo alla spalla destra. Quello, quindi, cadde a terra rovinosamente. E tutto sembrò essere perduto, mentre già il resto della banda, ripreso il coraggio, insidiava la figura ripiegata su stessa da ogni lato. Se non che all’improvviso, il futuro difensore dell’Ulster parve come illuminarsi, in un vortice di calore divampante, mentre i capelli si scioglievano spontaneamente dall’acconciatura e prendevano un aspetto paragonabile a quello della chioma di Medusa. La sua pelle assunse una tinta minacciosamente rossa, mentre gli abiti si agitavano per l’effetto di un vento sovrannaturale. La mazza gettata da una parte, appariva ormai del tutto priva di significato, visto come la mani strette ad artiglio parevano atteggiarsi alle zampe di un orso. Sétanta balzò in piedi, mulinando come un ossesso. In breve tempo, l’intera cricca degli aspiranti guerrieri fu annientata dal nuovo arrivato. Qualche osso qui e là, secondo il resoconto dei presenti, potrebbe aver ceduto all’entusiasmo della situazione.
Gli adulti distanti, che osservavano la scena dagli spalti, capirono immediatamente a cosa avevano assistito: era questo, niente meno che un leggendario caso di ríastrad, l’invasamento divino. Il ragazzo trasfigurato, quindi, riprese il controllo e ritornò ragionevolmente “umano”. Ma da quel giorno, nessuno avrebbe più dubitato del diritto di Sétanta a percorrere il campo da Iomáint di Emain Macha, e sarebbero anzi stati i giovani locali, con un senso di atterrita soggezione, ad implorare il suo permesso per accedervi, e giocare.