Essere un cittadino dell’Impero Romano d’Oriente costituiva un vantaggio sia dal punto di vista amministrativo che culturale, capace di rendere i prestigiosi membri di quell’universo i promotori di precisi standard di organizzazione che ispiravano ed affascinavano le altre civiltà coéve. L’arrivo delle legioni, in modo particolare, successivamente alle battaglie e l’attrito proveniente dall’occupazione militare, iniziavano in base a una prassi collaudata a costruire strade, nuove infrastrutture, diffondere la conoscenza nell’impiego delle suddette al fine di semplificare e migliorare la qualità della vita. Non capitava molto spesso, d’altra parte, che i portatori delle Aquile restassero del tutto senza parole, poco dopo l’ingresso all’interno di una roccaforte nemica. Come quando Flavio Eraclio I di Bisanzio nel 627, analogamente a quanto fatto dai suoi antichi predecessori d’Occidente, accerchiò i Persiani che avevano attaccato Costantinopoli, fino ad assediarli nella loro capitale Ctesifonte. Ed attraverso l’uso della superiore tecnologia e pazienza posseduta dalle proprie armate, vide i propri emissari fare un ingresso trionfale oltre le mura da cui avrebbe tratto origine un vantaggioso trattato di pace con la dinastia di Sasan. Eppure quelle invicte armate nel proprio trionfo, mettendo per la prima volta piede nel palazzo del re persiano Cosroe II, non poterono fare a meno di guardare in alto rimanendo totalmente senza parole. Mentre scrutavano coi propri occhi la singola costruzione che neppure l’Urbe stessa, in tutta la sua magnificenza, avrebbe mai potuto vantarsi di possedere. Immaginate una struttura alta 37 metri e larga 26, il cui spazio principale risulti essere del tutto vuoto. Un ingresso ad arco in parole povere, tipicamente rappresentativo della sala delle udienze nell’architettura iranica e che oggi viene definito iwan, da un potenziale slittamento etimologico dalla parola apadana. Incorporato nella facciata di un gigantesco edificio, attraverso il quale venivano fatti passare i visitatori con l’intento molto pratico d’incutere sopra le loro teste un incombente senso di soggezione. Obiettivo tipico dell’architettura al servizio del potere assoluto, che qui veniva d’altra parte elevata al rango di una vera e propria arte. Per volere e in base alle precise direttive di un imprecisato membro di quel clan regnante, dando luogo ad uno dei più significativi fraintendimenti dell’architettura dei popoli del Golfo Mediorientale. Giacché in maniera senza dubbio sorprendente, soprattutto visto il contesto assai documentato di quell’importante regione, ad oggi non sappiamo quale possa essere precisamente l’anno, e neppure il secolo della sua svettante edificazione. Con le due principali attribuzioni interconnesse alle figure di altrettanti, cronologicamente distanti sovrani…
storia
Ecosistemi umani: la scatola di legno e vetro che condusse alla nascita del giardino globale
Oh, magnifico ed ornato insetto, larva di creatura nata sulle piante che ho raccolto lungo le terrose aiuole di Watling Street. Verde, giallo, bluastro bruco lungo tre quarti di spanna, destinato a diventare la falena dei presagi, che ricorda e invoca la figura di un teschio scarnificato. Oh, morte! Che ho causato alla tua schiatta, in questo giorno infausto, per la svista di una digressione di memoria, il tempo speso a coltivare il mio giardino londinese. Avendo posto sullo sfondo l’altro inutile progetto messo sotto vetro in un’ampolla, così poetico, tanto interconnesso alla filosofia dei giorni, di nutrirti ed accudirti fin all’ora della metamorfosi desiderata. Cos’è, in fondo, il rimorso… E soprattutto che cos’è… Quello? Erbetta verde sulla terra che doveva essere il sostrato? Della tua dimora chiusa e trasparente, racchiuso mausoleo che torna ad ospitare una timida speranza del suo domani? E se adesso lasciassi tutto questo nella stessa strana condizione? Saresti ancora lì a sbocciar tra un giorno, una settimana, un mese?
Raccontano i diari di Nathaniel Bashaw Ward, affermato medico della Londa vittoriana che aveva appena raggiunto i suoi 38 anni nel 1829, che il fortuito esperimento avrebbe avuto una longevità insperata: ben quattro anni di un’ininterrotta vita vegetale, per quanto umile, racchiusa nella tomba trasparente e sigillata dell’irrealizzabile falena, avendo nutrimento unicamente dalla decomposizione, la luce e quella limitata quantità d’acqua ripetutamente assorbita, liberata in forma di condensazione e poi caduta nuovamente alle mura trasparenti fino al fondo della piccola prigione in vetro. Un risultato tanto inaspettato quanto ricco di un profondo potenziale, giacché il praticante non per scelta del mestiere paterno tanto a lungo aveva desiderato di girare il mondo come marinaio, avendo anche vissuto l’esperienza in gioventù di giungere fino alla Giamaica, nel corso del suo primo e unico viaggio al di là del vasto mare. E adesso che questa possibilità gli era preclusa, per le ovvie e universali ragioni dell’età adulta, vaste soddisfazioni avrebbe ricevuto dalla successiva migliore possibilità: ricevere dai suoi colleghi appassionati di botanica, in giro per le colonie e il resto del globo, ogni sorta di magnifica creatura vegetale. Da inserire nella propria collezione precedentemente composta soprattutto da qualche orchidea e felce, inevitabilmente deperite a causa dell’aria inquinata della city surriscaldata l’effetto della febbre più terribile, la prima e inarrestabile Rivoluzione Industriale. Fu così che il medico, dopo un rapido sopralluogo all’ufficio brevetti, decise entro il 1833 a passare a vie di fatto. Facendo costruire una coppia di versioni sovradimensionate del suo speciale contenitore, da inviare fino all’altro capo di un lungo viaggio in Australia con alcune felci britanniche rare all’interno. Di certo non poteva immaginare, all’epoca, di aver creato il primo terrarium della Storia…
Il sistema di barriere sulla foce che conduce le speranze di Dublino verso il mare
Città costiera che si affaccia sul Mare d’Irlanda, la capitale dell’Isola Verde avrebbe potuto costituire da molti punti di vista l’esempio di un porto perfetto. Situata su un terreno pianeggiante attraversato dal fiume Liffey, in corrispondenza di una foce riparata dalle intemperie del settentrione, semplicemente troppo utile dal punto di vista logistico per poter pensare di costruire in altro luogo i suoi moli. Se non che al concludersi dell’Era Medievale, e con il conseguente aumento delle dimensioni e del pescaggio delle imbarcazioni di uso comune, qualcosa di terribile iniziò a verificarsi: una quantità crescente di dispendiosi, e molto spesso tragici naufragi. Circa 300 registrati a partire dall’inizio delle testimonianze scritte dell’autorità portuale, principalmente a causa della coppia di banchi di sabbia situati sul fondale della baia, i due Bull del tutto invisibili al di sotto delle onde di superficie. La cui esistenza fu ad un certo punto collegata, grazie alle conoscenze idrologiche del tempo, alla quantità di sedimenti trasportati dal suddetto corso d’acqua, la cui velocità di scorrimento risultava insufficiente a spingerli oltre la zona antistante al punto d’approdo più tradizionale d’Irlanda. Ci sono tuttavia molteplici ragioni per cui il centennio a partire dal 1700 viene chiamato “secolo della scienza”, principalmente attribuibili ad un modo innovativo di concepire il rapporto tra causa ed effetto, che potremmo definire l’inizio del metodo scientifico propriamente detto. Allorché ben prima della codificazione accademica da parte del fisico italiano Giovanni Battista Venturi dell’effetto che oggi porta il suo nome, molti erano a conoscenza del modo in cui restringere ed incanalare l’acqua potesse incrementare la rapidità del suo scorrimento. Il che avrebbe portato attorno al 1715 alla costruzione di una prima barriera nelle acque antistanti il punto critico, costituita da una serie di piles (pali) in legno sulla parte finale del canale urbano. Ma soprattutto in seguito ad una serie d’inverni sufficientemente burrascosi da infliggere danni a tale opera, l’effetto si rivelò trascurabile il che avrebbe portato l’Assemblea Cittadina ad autorizzare una serie d’interventi maggiormente estensivi, concepiti al fine di edificare un vero e proprio muro che potesse resistere per lungo tempo all’incessante forza delle maree. Con il trasporto di una vasta quantità di pietre granitiche provenienti dalla cava di Dalkey ed altre miniere vicine, il progetto iniziò dunque a concretizzarsi nel 1748. Il suo completamento avrebbe richiesto oltre due decadi, un buon risultato tutto considerato, trattandosi all’epoca, con i suoi 5 Km abbondanti, del più lungo muro marino che fosse mai stato costruito da mano umana…
La cupa leggenda di Abashiri, carcere costruito sui gelidi confini del Giappone settentrionale
Con il repentino ingresso del Giappone nell’epoca moderna, successivamente all’apertura forzata dalle navi nere del Commodoro Perry a partire dal 1853 e la conseguente serie di sconvolgimenti sociali, amministrativi e culturali che portarono alla caduta del secolare shogunato dei Tokugawa, una nuova concezione del potere ebbe modo di palesarsi dai feudi occidentali di Chōshū e Satsuma, gestita da un’elite politica destinata a trovare in un preciso codice legale, piuttosto che il diritto ereditario, la legittimazione del proprio potere. Fu dunque priorità degli oligarchi, una volta restaurato l’antico potere non più meramente simbolico dell’Imperatore nel 1868, redigere una costituzione sul modello di quella prussiana, che introduceva il parlamento chiamato Dieta, diritti civili e persino un primo limitato accenno di suffragio popolare. Ma fu presto chiaro come l’instabilità inerente del paese sottoposto a simili sconvolgimenti potesse venire arginata soltanto in un modo: una nuova ondata di patriottismo e la rinascita delle mire espansionistiche verso i cosiddetti territori contesi, l’intera parte settentrionale dell’arcipelago un tempo popolata dal popolo etnicamente distinto degli Ainu, oggi nel mirino dell’insaziabile Zar di Tutte le Russie, Alessandro III. Obiettivo geograficamente complesso proprio perché suddiviso in una miriade di terre emerse, non tutte egualmente di valore se non dal punto di vista strategico e diplomatico, al fine di dimostrare la capacità della terra del Sol Levante di difendere i propri discontinui confini. Nacque in conseguenza di ciò la figura del kaitaku kōrōsha, il “grande pioniere” destinato per mandato governativo a trasferirsi in questi luoghi ghiacciati, dove avrebbe costruito strade, fattorie, nuovi insediamenti destinati a sancire il sacrosanto diritto ad esistere delle zone amministrative periferiche direttamente connesse al potere centrale. Ripercorrere la storia pregressa della vasta isola di Hokkaido, seconda per estensione di tutto il paese, permette tuttavia di notare la sospetta assenza di nomi strettamente connessi a molte delle opere civili che ne permisero l’ingresso nel nuovo sistema organizzativo e logistico fin qui descritto. Questo poiché tali implementi furono, sostanzialmente, costruiti dai prigionieri. Il nuovo codice legale dell’epoca Meiji prevedeva a tal fine quattro livelli di punizione: detenzione, detenzione con lavori forzati, pena di morte ed il cosiddetto trasporto. Non verso continenti lontani, come avveniva ormai da secoli nell’Europa del periodo coévo, bensì quegli stessi confini oggetto di faticosa e difficile colonizzazione. Il che, data la natura inclemente delle condizioni climatiche, tendeva a richiedere particolari sforzi in termini di organizzazione. E fu così che nel 1890 una letterale armata di 1200 prigionieri raggiunse il piccolo villaggio di Abashiri, con la missione di abbattere gli alberi della foresta e usarli per costruire quella che sarebbe diventata, nei lunghi anni a venire, la loro iconica e remota dimora…



