La ben collaudata capacità di far convergere una forma funzionale ed un aspetto accattivante del prodotto finale rientrano rispettivamente nelle competenze del progettista ingegneristico e del designer industriale. Il che non toglie che in determinate circostanze, queste figure contrapposte solamente in linea teorica possano convergere in qualcuna o qualcuno di adeguatamente preparato in entrambi i campi, così da dare forma al miglior tipo di creazioni tecnologiche, dispostivi che si mostrano perfettamente realizzati da ciascuna angolazione si scelga di guardarli. Essendo giunti a costituire la perfetta manipolazione da parte della mano umana, di quelli che sono i princìpi d’armonia ed integrità espressi normalmente dalla natura. Non è un pesce e nemmeno un insetto pattinatore, d’altra parte, questa sfuggente imbarcazione radiocomandata Hydrajet 701, mostrata con contegno al tempo stesso espressivo e professionale dalla sua creatrice Tamara Ivancova, giovane ingegnere di Southampton, Regno Unito. La cui velleità procedurale in questo campo, lei stessa ama raccontare, nacque negli anni del Covid successivamente al concludersi di un’esperienza lavorativa presso il team di sviluppo aerodinamico della scuderia di Formula 1 AlphaTauri, rimasta per tre anni parte del vasto repertorio di RedBull. Espressione di un’idea nata per caso, dall’effettiva qualità dei componenti di cui ella poteva disporre in quel particolare frangente. E la domanda che poteva derivarne: che cosa potrebbe mai succedere in senso pratico, se un battello radiocomandato non fosse più dotato di un comune propulsore idrico, bensì un’elica intubata situata totalmente fuori dall’acqua? In maniera non dissimile da quanto avviene in determinate incarnazioni del classico hovercraft, il mezzo anfibio per eccellenza. Soluzione qui abbinata tuttavia non a un cuscino d’aria galleggiante, bensì un corpo sagomato in grado di sfruttare il principio dell’aquaplaning, così come fatto dalle thunderboat ed altri motoscafi ad alte prestazioni utilizzati a partire dall’inizio del secolo scorso in alcune delle più veloci, pericolose gare acquatiche mai sperimentate nella storia. Questo per l’annullamento pressoché totale dell’attrito nei confronti del fluido sottostante, trasformando come unico limite di resistenza quello costituito dalla capacità di deviare il flusso dell’aria attorno al cuneo della carenatura in pieno stato di emersione. Da qui l’iniziativa, da parte di Tamara, di utilizzare come configurazione per il suo progetto una particolare linea aggressiva, che non sfigurerebbe di sicuro nel parco veicoli di Batman o altri supereroi del fumetto post-modernista…
tecnologia
L’Ilyushin Il-20, dissennata idea sovietica di posizionare il pilota sopra il motore
C’è sempre un momento, nella vita di un progettista aeronautico, in cui la linea ideale della spinta innovatrice e quella garantita dalla conoscenza dei modelli sembrano convergere in un punto estremo, eccezionalmente distante dalle convenzioni coéve. Spesse volte, questo accade in un momento prossimo alla fine della carriera, quando ormai i membri delle successive generazioni sono subentrati nella posizione di preminenza un tempo occupata dai loro maestri. Ma particolari circostanze, situazioni contingenti o necessità percepite possono contribuire ad accelerare il tragitto delle persone. Nel 1948, il rinomato costruttore di aeroplani Sergey Ilyushin era una di queste persone. Ero del Lavoro, detentore di svariate medaglie d’onore nonché due volte vincitore del premio Stalin, in modo particolare per aver creato tra le altre cose l’eccezionalmente utile aereo d’attacco al suolo Il-2 Sturmovik dal grande carico esplosivo e le molte bocche da fuoco, che lo stesso leader sovietico aveva chiamato “Essenziale per gli sforzi dell’Armata Rossa, quanto lo sono il pane, l’aria o l’acqua.” E chiamato sul finire della Grande Guerra Patriottica a creare un’iterazione alternativa della stessa idea: il più leggero ed agile Il-1/Il-2l, una versione più leggera e meno armata di quello che sarebbe stato soprannominato il carro armato volante, idealmente utile ad intercettare le formazioni di bombardieri nemici. Mansione nella quale si rivelò essere, in ultima analisi, meno efficiente dell’allestimento di partenza, e che avrebbe visto in seguito deviare l’attenzione del bureau di Ilyushin verso il progetto Il-10, una versione più veloce, maneggevole nonché resistente di quel grande classico dei giorni del conflitto europeo. Su decreto governativo dell’11 marzo 1947, tuttavia, venne determinato che fosse possibile andare oltre, costruire un qualcosa di persino superiore su questi tre punti che costituivano la filosofia progettuale di una classe di velivoli considerati nulla meno che fondamentali nella dottrina militare del tempo. Il risultato sarebbe stato, sotto l’occhio incredulo di molti, l’Il-20 soprannominato Gorbach (il Gobbo). Ecco un volto, per usare un tipico modo di dire, che soltanto il proprio padre costruttore avrebbe potuto amare, concepito in senso meramente utilitaristico e la piena consapevolezza che non sempre il senso comune potesse custodire l’effettiva soluzione dei problemi pratici latenti. Questioni come quella data per scontata fino a quel momento, secondo cui giammai un pilota posto nella posizione tipica avrebbe potuto avere una visibilità ideale per poter vedere ed identificare i bersagli nemici prima d’iniziare il fatidico momento della picchiata finale…
XP-79: l’ala guerriera che seziona il bombardiere nemico
Nel volo acrobatico ad alte prestazioni, nient’altro che un diverso giro di parole in grado d’identificare il combattimento aereo, un problema costante può essere individuato nella condizione accidentale nota come G-LOC (G-induced Loss Of Consciousness) ovvero la perdita di coscienza temporanea da parte del pilota, dovuta al deflusso transitorio del sangue dalla zona del cervello verso i piedi durante una virata particolarmente ardita. Un problema particolarmente sentito durante il grande conflitto degli anni ’40, quando nonostante la quantità di duelli condotti nei cieli d’Europa e del Pacifico, le tute a compressione G risultavano una tecnologia poco studiata e dall’impiego limitato nella maggior parte dei teatri di guerra. Dovette dunque far accendere da subito le giuste lampadine, la proposta del rinomato ingegnere aeronautico Jack Northrop, già capo in precedenza di tre compagnie recanti il suo stesso nome, quando nel 1942 presentò ai capi del settore ricerca & sviluppo dell’Aviazione statunitense una nuova interpretazione del concetto di aeroplano. In cui non soltanto coda e fusoliera venivano sostanzialmente eliminate come superflue, in maniera non diversa dal suo recente prototipo N-9M (un’idea di bombardiere destinato a diventare, moltissimi anni dopo, il B-2 Spirit della Northrop Grumman Corporation) ma il singolo membro dell’equipaggio a bordo di quello che avrebbe assunto la denominazione provvisoria di XP-79 assumeva un profilo aerodinamico dall’impatto sensibilmente minore, trovandosi posizionato in corrispondenza di una bolla panoramica in posizione prona di quella che era sostanzialmente una “falsa” ala volante, essendo dotata anche di superfici di volo in posizione perpendicolare al suolo.
Volare come Superman, con la testa sollevata e lo sguardo rivolto in avanti, le mani protese in questo caso a stringere una cloche simile alle corna di un bovino potrà dunque anche sembrare poco pratico. Ma riprende a pieno titolo e in un certo senso migliora la condizione naturale degli uccelli, permettendo in linea di principio a brevi missioni di essere condotte in modo rapido, efficace, predatorio. Aggettivi altamente desiderabili per questa insolita interpretazione di un intercettore ad alte prestazioni, concettualmente non così lontano dal quasi coévo Me 163 Komet, che un paio d’anni dopo avrebbe visto il compatto caccia tedesco proiettato all’indirizzo delle formazioni d’attacco alleato grazie all’utilizzo di un potente motore a razzo HWK. Laddove la versione americana, destinata a scongiurare un reiterato impiego dei bombardamenti a tappeto che tanto erano costati alla città di Londra durante il sanguinoso periodo della cosiddetta Battle of Britain, di impianti simili ne possedeva ben due, originariamente commissionati alla compagnia Aerojet. Almeno finché, ben prima della realizzazione pratica del velivolo in quelle che erano ormai le ultime battute della guerra, non fu deciso di sostituire i suddetti motori con una coppia di Westinghouse 19B da 5.1 kN cadauno. Abbastanza da spingere il potente apparecchio alla velocità di 880 Km/h, con un rateo di salita di 20 metri al secondo, sebbene un ritmo simile non fosse facile da mantenere particolarmente a lungo. Né aveva bisogno, sostanzialmente, di riuscire a farlo. Giacché una volta raggiunto il nemico l’XP-79 non avrebbe certo perso tempo in lunghi e complicati inseguimenti con la sua scorta. Preferendo piuttosto impattare a gran velocità contro le superfici di volo degli aerei più grandi, vulnerabili e perciò preziosi dell’intero schieramento…
L’oggetto antiquato che previene lo scontro dei treni sul tragitto di un solo binario
Lungo l’angusto binario di Bangalore, un addetto del capostazione tende il braccio destro verso il cielo senza una logica né palese ragione. Stretto in mano, tenuto diagonalmente, un anello di cuoio facente parte di quella che sembra essere una compatta borsa con all’interno un pegno metallico di forma o natura non del tutto definita. D’un tratto, si sente giungere il rumore sferragliante di un treno. Lungi dal muoversi a distanza di sicurezza, l’uomo tende ad alzare ulteriormente il suo misterioso “dono”. Nel mentre una mano similmente protesa compare, con chiara fermezza, dal finestrino laterale della locomotiva. Un lampo, un secco suono, un refolo di vento tra foglie scomposte: il contenitore è sparito. Il treno procede per la sua prossima, remota destinazione.
Diventò presto chiaro, nello spostamento dei convogli attraverso l’energia del vapore, che l’equivalenza univoca di un binario=un treno risultava essere straordinariamente restrittiva, al punto da condizionare ogni tipo di operazione per quel nuovo tipo d’impresa logistica, la ferrovia. Poiché non era sempre praticabile, sia dal punto di vista economico che degli spazi a disposizione, installare sempre ed ovunque al minimo una coppia di binari, affinché le locomotive in direzioni opposte potessero occupare degli spazi paralleli, analogamente a quanto avviene per le automobili sui moderni viali di scorrimento. Il che tendeva a significare, nella maggior parte delle circostanze, un tipo difficile di condivisione, dove un singolo errore commesso dai macchinisti poteva dimostrarsi straordinariamente dispendioso in termini di denaro, continuità del servizio, incolumità dei passeggeri. Il primo inventore a tentare di circoscrivere il problema fu dunque un tale Mr. Henry Woodhouse, incaricato nel 1849 di supervisionare la sicurezza dei tunnel inglesi di Standedge, tra lo Yorkshire e la città di Manchester. Allorché gli sembrò del tutto logico, persino risolutivo, controllare personalmente ogni accesso a quel delicato e singolo passaggio sotterraneo, mettendolo virtualmente sotto chiave mediante l’impiego di un singolare quanto pratico espediente. “Sia dunque spiegato ai macchinisti della compagnia che per poter transitare oltre la mia strettoia, essi dovranno fisicamente stringere in mano un token (pegno) del tutto simile alla staffetta di un corridore. Chiunque si avventuri con il proprio convoglio oltre l’ingresso della galleria senza essere dotato dell’oggetto in questione, verrà personalmente ritenuto responsabile di ogni danno, incedente o ferita risultante dalla sua condotta impropria.” Ecco dunque palesarsi, in altri termini, l’introduzione storica del sistema di blocco a bastone pilota, una soluzione destinata a trovare un dilagante impiego nel secolo successivo e che continua tutt’ora ad essere praticato entro determinati ambiti geografici, in Asia ed altrove, soprattutto se facenti parte dello storico Impero di coloro che vennero governati dalla grande Queen Victoria. Non c’è nulla del resto d’inerentemente britannico, o arduo da replicare, che avrebbe prevenuto l’impiego di tale espediente pratico anche in nazioni di matrice culturale differente, inclusa una larga percentuale dei paesi europei…