Nel campo universale dell’ingegneria possono coesistere modi diversi di raggiungere lo stesso obiettivo, ciascuno frutto di una serie di parametri diversamente complicati da perseguire. Costituisce tuttavia un assioma imprescindibile dei nostri giorni la precipua cognizione che il raggiungimento di un esatto punto d’equilibrio, calibrato attentamente grazie all’uso della matematica e la concatenazione dei diversi punti di supporto, massimizzi l’efficienza garantendo un risultato solido, economicamente vantaggioso e al tempo stesso destinato a durare. Perché possa esistere una contrapposta visione, l’unica scelta possibile è volgere lo sguardo indietro, ai remoti tempi di coloro che pur non possedendo il concetto intrinseco d’infrastrutture poste in essere da remote direttive istituzionali, venivano guidati dal bisogno empirico d’individuare la natura dei problemi comuni, mentre lavorando tutti assieme muoversi verso l’auspicabile indirizzo di un’efficace soluzione. Ostacoli come la ripida gola in questa valle senza nome della zona di Tabasaran nella regione russa del Daghestan, spesso riempita nel corso dei mesi invernali dal vorticoso torrente disceso dallo scioglimento dei ghiacci montani, tale da impedire il transito con armenti o bagagli tra i due villaggi (aul) di Gulli e Shile. Problema d’entità piuttosto significativa come anche testimoniato dal moderno ponte stradale in metallo e cemento che congiunge da circa metà secolo il ripido sentiero oltre l’ostacolo vigente del paesaggio. Ed ancor più palese grazie alla presenza, a qualche dozzina di metri appena, di un qualcosa di molto più singolare che ci porta con la mente fino a un’epoca molto più affascinante dei nostri trascorsi. Un altro tipo di cavalcavia alto ben 10 metri e lungo all’incirca 30, la cui stessa cognizione è la diretta conseguenza di un linguaggio tecnico ed ingegneristico che potremmo definire da ogni punto di vista rilevante l’arte pratica degli antenati. Lo denuncia in modo chiaro il suo eminente aspetto, convergenza di un accumulo di materiali lignei, in larga parte tronchi di quercia ed assi di faggio o noce incuneati gli uni in mezzo alle altre, che lasciano pensare più che altro ad un battello primordiale, stranamente simile alle illustrazioni stereotipiche dell’arca biblica del patriarca Noè. Tonnellate e tonnellate di materiali, collocati nella sostanziale inchiesta sull’accumulo come strumento pratico e risolutivo, senza dimenticare l’obiettivo necessario di poter poggiare l’intero assemblaggio su solide basi rocciose. Già di per se istintivamente affascinante, finché l’ipotetico visitatore non raggiunge la distanza di un indagine più approfondita, scorgendo coi suoi stessi occhi l’eccezionale “dettaglio” procedurale; ovverosia l’assenza, da ogni angolazione ci si metta a guardare, di alcun tipo di chiodo, bullone o altro ancoraggio metallico, per questa completa trasformazione iterativa di un’intera foresta plasmata a misura di tenoni e mortase. Oltre ad innumerevoli punti d’incastro, frutto dei trascorsi secoli di un’incontrastata perizia strutturale di queste genti…
Il ponte privo di fonti storiche acclarate o resoconti oriundi relativi alla sua storia, costituisce in effetti parte inscindibile del patrimonio strutturale di un particolare popolo, quello dei Tabasarani. Uno dei gruppi etnici originari del Caucaso, migrati successivamente all’indebolimento del potere Bizantino verso Oriente e fino alle coste del Mar Caspio, dove istituirono una propria forma di governo basato sulla confederazione di comunità rurali sottoposte all’autorità di un principato feudale ereditario, chiamato Maisumato (XV – XIX secolo). Nel quale venivano equiparata l’autorità del Principe o capo politico, con quella mirata a mantenere il rispetto della Sharia del Qadi, leader religioso comunitario, ancorché non fosse in alcun modo semplice mantenere ininterrotta la comunicazione tra disparati insediamenti di quel territorio discontinuo ed accidentato. Musulmani fin dalla breve conquista della regione da parte dell’Impero Persiano nel IX secolo, queste genti passarono sotto l’egida della Russia zarista a seguito dell’ultima tra molte guerre combattuta tra il 1817-1864, all’interno della quale si dice che gli stessi pastori e agricoltori avessero difeso strenuamente le proprie alte dimore, contribuendo allo sforzo bellico dell’una o dell’altra parte senza mai sottoporsi completamente al potere ed all’autorità centrale di alcuna. Raggiunto dunque il nuovo status quo, viene celebrata in determinati ambienti la maniera in cui essi trasformarono le proprie spade non soltanto in aratri, bensì attrezzi per la costruzione di un ricco repertorio di strutture lignee tra le più complesse ed interessanti d’Europa. Dalle imprescindibili moschee comunitarie alle case-torri degli aul montani, dotati di balconi e logge sporgenti dalla solidità comprovata. Senza dimenticare i numerosi canali, punti di passaggio e per l’appunto, ponti collocati strategicamente al fine di accorciare le distanze e mantenere possibile la condivisione delle limitate risorse a disposizione. Di elementi architettonici comparabili all’attraversamento di Gullisky, come viene attualmente chiamato, ce ne sono in effetti diversi altri, sebbene nessuno raggiunga l’imponenza strutturale e quasi accidentale monumentalità dell’implemento logistico in questione. Il cui elevato grado d’interesse trova sostanziale corrispondenza nella realizzazione di molteplici obiettivi allo stesso tempo. Un ponte costruito interamente in legno infatti non può arrugginirsi, massimizza la solidità trasversale della grana della quercia senza punti di accumulo delle forze ripetitive ed ha la qualità ineffabile di potersi deformare senza per questo perdere l’elasticità inerente. Tanto che, tralasciando la quantità di manodopera ed il tempo necessario a costruire una cosa simile, data la ponderosa quantità ben oltre il ragionevole dei materiali impiegati, una costruzione di tale guisa anticipa molti concetti dell’architettura contemporanea, pensata per assecondare la natura ed il paesaggio piuttosto che impiegarli come piattaforma per le proprie iterazioni conseguenti dal mero calcolo utilitaristico privo di effettivi ragionamenti di contesto. Vedi, ad esempio, la maniera in cui la struttura di Gullisky risulta lievemente obliqua rispetto alla direzione del fiume, aumentando ulteriormente lo sforzo costruttivo ma massimizzando così la stabilità sopra le spalle di appoggio e allontanando il rischio dell’impatto di detriti trasportati dalla corrente.
Onde giungere alla qualificazione finale del manufatto, occorrerebbe a questo punto applicargli una datazione precisa. Il che risulta, nel caso specifico, una questione sorprendentemente complessa. Giacché gli anziani depositari della sapienza degli adiacenti villaggi talabasani parlano entusiasticamente di nozioni tramandate sul ponte risalenti fino a 900 anni prima della data odierna, il che basterebbe probabilmente a rendere il Gullisky una delle più antiche strutture lignee esistenti al mondo, persino più duratura di molti dei templi più volte dagli shintoisti del distante arcipelago giapponese. Il che, anche considerato il clima decisamente più secco del Caucaso, appare come una cognizione particolarmente ambiziosa. Ponendo probabilmente la realtà in un qualche punto indefinito tra tale periodo remoto e le stime pessimiste di circa 150-200 anni, direttamente basate su costruzioni simili precedentemente sottoposte a studi approfonditi in altre regioni del mondo.
Anticipando un capitolo dell’applicazione del metodo scientifico e la datazione al carbonio che, per quanto ci è dato immaginare, potrebbe anche giungere nell’immediato futuro di questo intrigante sito. Anche grazie alla popolarità più volte dimostrata nelle variopinte regioni di Internet delle sue fotografie traslate fuori dal contesto originale d’appartenenza. Là dove l’artigianato pratico di un tempo mantiene, stolido e indefesso, la capacità di affascinare il senso comune dell’epoca digitale.


