In principio, era il Caos: successivamente alla traduzione pratica del concetto di elicottero, rievocato dai disegni degli antichi progettisti e Leonardo Da Vinci, costruttori come Enrico Fontanini (1877) Gerd Achgelis (1936) e Igor Sikorsky (1939) dovettero venire a patti con alcune problematiche che nessuno, in linea di principio, avrebbe mai potuto prevedere. Per un approccio al volo tanto inerentemente complesso, da essere stato famosamente riassunto dall’autore di romanzi Tom Clancy con la frase: “[Gli E.] non volano semplicemente. Essi vibrano in maniera tanto critica, che il terreno è costretto a respingerli.” Iperbole in effetti non del tutto priva di fondamento, quando si entra nel merito della varietà di forze necessariamente coinvolte nella spinta verticale che permette a un simile apparecchio di sollevarsi. Ma sarebbero state proprio tali vibrazioni, per quanto imprescindibili, a condizionare gravemente per le prime decadi il volo condotto grazie all’uso dell’ala rotante, sperimentare il quale comportava un livello di comfort e sicurezza non propriamente in linea con le aspettative contemporanee. E ciò senza considerare il dispendioso effetto avuto dall’usura nei confronti di parti e meccanismi, che tendevano per questo ad aumentare il proprio peso limitando le prestazioni del mezzo. Era stato presto compreso d’altronde, come il modo per equilibrare l’elicottero passasse necessariamente per la costruzione di un rotore totalmente regolare e prevedibile, in cui ogni componente lavorasse assieme agli altri di concerto, compensando nel contempo eventuali irregolarità nella distribuzione del carico sottostante. Ma le salienti pale erano costruite spesso in legno, proveniente da alberi diversi ed incollato assieme, tanto che identificare le necessità di un particolare progetto, e soprattutto replicarlo in quantità importanti, richiedeva considerevoli capacità manuali ed un certo livello d’istinto. Un modo come un altro per definire coloro che operavano all’interno delle fabbriche con tutte le caratteristiche degli artigiani, se non dei veri e propri artisti. Ma l’unica vera maniera per essere sicuri del proprio operato era misurarlo, in maniera certa ed oggettiva, poco prima del decollo e successivamente ad ogni periodo d’utilizzo sufficientemente lungo. Il che avrebbe portato, già prima dell’arrivo degli anni ’50, alla traduzione orizzontale del comprovato metodo nel mondo dell’aviazione ad ala fissa, consistente nell’impiego di diverse aste di misurazione in corrispondenza del passo dell’elica, per misurarne la regolarità di rotazione. Se non che data l’altezza media di questo nuovo tipo di velivoli, nonché la frequenza con cui l’operazione doveva essere portata a termine, avrebbero agevolato l’ingegnosa semplificazione e velocizzazione di quel particolare approccio. Trasformato nel sollevamento manuale di un oggetto, la cui stessa esistenza sembrava una violazione pratica dell’istintivo senso di prudenza in dotazione agli esseri umani…
“Oggi al lavoro ho sollevato un’asta verticale e l’ho portata a pochi centimetri dal tragitto di una lama che ruotava a una velocità di 600-700 Km/h” non è propriamente il tipo di locuzione che, in condizioni normali, ci si aspetterebbe da una persona sana di mente. Essendo tra l’altro connessa, da un punto di vista concettuale, ad una prassi ormai desueta che risale a un tempo accantonato sulla linea di quel campo tecnologico in continuo mutamento. Là dove il sistema cosiddetto del flag pole tracking o asta di misurazione manuale è stato per lungo tempo l’unica contromisura funzionale alle problematiche di allineamento delle pale, pur essendo strettamente interconnesso all’opera di piloti dalla mano ferma e tecnici il cui sangue era capace di ghiacciarsi nelle vene ogni qual volta entravano entro la letale circonferenza. Giacché la loro mansione sarebbe consistita, come osservabile nei video a corredo, nel portare una parte intenzionalmente fragile di tale implemento, costruita in carta, polistirolo o altro, al passaggio distruttivo del rotore stesso, preventivamente ricoperto di vernici di un colore differente in corrispondenza di ciascuna delle sue componenti. Così che tagliando quel bersaglio 5 o 6 volte al secondo, esso avrebbe al tempo stesso marchiato i segni risultanti, di rosso, verde, giallo e così via a seguire. L’eventuale distanza tra le tacche, in seguito, avrebbe non soltanto reso manifesta l’esistenza di un problema. Ma anche offerto spunto sul metodo corretto per risolverne l’esistenza. Lo stesso parlare al passato di questa prassi, come desumibile dai video reperibili online, non è poi così corretto, visto il suo utilizzo ancora raramente messo in pratica nel campo degli elicotteri leggeri e il volo amatoriale, benché soluzioni assai più tecnologiche costituiscano ad oggi lo standard di questo ambiente. A partire dal sistema stroboscopico introdotto negli anni ’70, basato sull’effetto riflettente di una serie di specchietti posti sulle pale stesse illuminate da una luce potente, di fronte ad un sensore ottico capace di annotare altezza e frequenza dei lampi risultanti. Approccio meccanico perfezionato verso l’inizio degli anni ’90 con l’impiego di laser e sensori elettronici sempre più precisi, fino all’introduzione successiva dei veri e propri elaboratori ad oggi incorporati nel corredo strumentale degli apparecchi. Evoluzioni delle prime “scatole nere” analogiche create da James “Jim” R. Chadwick più di mezzo secolo prima, però stavolta in grado d’interfacciarsi con accelerometri e vibrometri all’avanguardia, restituiti con precisi valori numerici ed analisi statistiche al termine di ciascun volo. Così che gli addetti, in base a un codice del tutto deterministico chiaramente definito nei manuali, possano implementare le appropriate operazioni di compensazione…
Negli elicotteri moderni il bilanciamento del peso ed il conseguente orientamento del rotore avviene dunque tramite l’impiego di tre diversi sistemi. Il primo sono le weight pockets, dei piccoli oggetti cilindrici che possono essere posizionati alle estremità oppure in prossimità del piatto ciclico centrale. Coadiuvati dall’impiego delle trim tabs, elementi non dissimili dai compensatori o flap degli aerei ad ala fissa, mirati a modificare la spinta verso l’alto del flusso aerodinamico sul profilo dell’ala. E come ultimo ausilio, la regolazione delle pitch forks, assemblaggi di tre bulloni di cui due utili soltanto al fissaggio, con il terzo direttamente efficace nel regolare l’inclinazione di un’intera pala. Modifiche come potrete facilmente immaginare straordinariamente sensibili e delicate, il che permette ancora oggi la sopravvivenza delle mistiche implicazioni e l’istinto quasi magico di colui o coloro che ricevono l’incarico di equilibrare l’elicottero in volo.
Ma non, per fortuna, lo sprezzo del pericolo e la sostanziale indifferenza all’eventualità sempre possibile di compiere un gesto inconsulto, o magari distrarsi un attimo, vedendosi strappare con violenza, nella migliore delle ipotesi, il lungo e pericoloso palo di una contundente bandiera. Poiché il volo stazionario a motore potrà anche essere stato normalizzato con il procedere delle trascorse decadi, fino a diventare un’esperienza quotidiana di molti di noi. Ma non cesserà mai di costituire, per i suoi singoli fattori costituenti, una delle più grandi e complicate avventure dell’uomo.


