La massiccia isola dei sogni petrolchimici a largo del Mar Cinese Orientale

Navigavamo a vista in quel tratto di mare che prende il nome di Oceano delle Tartarughe Grigie, senza idee specifiche per il nostro domani. A quel punto s’iniziò a capire che ogni forma di lavorazione, intesa come parte o fase di un processo industriale complesso, potesse venire scollegata dall’esigenza di una ragionevole coerenza territoriale. Permettendo la concentrazione di stabilimenti, uomini, mezzi all’interno di un singolo luogo, con tutti i vantaggi che tendono a derivarne. Non è forse molto più semplice da organizzare, un impianto tecnologico, quando ciascuno dei suoi singoli elementi si combina in gigantesco organismo, supervisionato dal “cervello” di un polo d’organizzazione capace di comprendere ogni cosa allo stesso tempo? Anche quando meramente concettuale, ovvero inteso come la realtà organizzativa super-partes, che deriva dalle interazioni ragionevolmente informali tra i gangli interconnessi della collettività in divisa. La collettività indivisa, da ogni punto rilevante che possa essere circostanziato nell’evolversi dei tempi presenti. Quando la natura sembra essere scomparsa o in qualche senso equivalente, essersi evoluta in qualche cosa di totalmente nuovo.
È una sorta di visione fuoriuscita da un antico film di fantascienza, Trantor o Coruscant, miraggi di città tentacolari in grado di coprire interamente un pianeta. Oppure un’isola, vedi quella di Yushan, situata in corrispondenza del doppio estuario dei fiumi Qiantang e Yangtze (il Fiume Azzurro). Una zona d’interscambio commerciale importantissima fin dai tempi dell’antico Impero, inteso come territorio sotto il controllo del figlio del Cielo all’interno della propria Città Proibita. Un uomo, un simbolo, un condottiero. E in seguito un partito, con tutta la dedizione ideologica che tende a derivarne. E dopo ancora, la scintillante spinta dell’accumulo incitata dal Dio denaro.
Gli obiettivi di comunismo e capitalismo tendono a convergere nell’iniziativa oggetto del nostro esame, varata nel 2016 con il nome commerciale di Zhejiang Petrochemical e l’investimento di 250 miliardi di yuan. Per la prima volta diventata produttiva nel giro di appena tre anni, creata per il piano di modernizzazione statale sull’esempio di una delle principali storie di successo dell’intera Asia Centrale. Sto parlando dello spazio reclamato al mare dell’isola Jurong a Singapore, che da più di un quarto di secolo è riuscita a diventare uno dei poli principali al mondo nella raffinazione del petrolio, senza che una sola goccia di greggio venga fisicamente estratta dal sottosuolo entro un raggio di 1.000 chilometri dalle sue coste ricoperte di asfalto bituminoso. Il che ci aiuta ad identificare il nesso principale dell’intera faccenda, coadiuvata dall’esigenza fondamentale di poter accogliere il maggior numero di navi nel più breve tempo possibile, tramite una serie di moli tesi a protendersi verso l’infinito oceano del cosmo terrestre. Annientamento di ogni tipo di distanza proprio grazie all’uso degli stessi carburanti, e tutti quei prodotti che provengono da siti come questi. Almeno finché il punto dell’origine di tale significativa opulenza non si troverà a sfumare, come tanti altri mitici tesori nell’antica storia dell’umanità…

Come altrettanti salvadanai pronti a ricevere il proprio prezioso contenuto, le torri di raffinazione sorgono a creare scorci di un paesaggio ultraterreno. O forse maggiormente affetto dal singolare intento della concretezza, rispetto a qualsiasi altro sia mai stato creato fino all’odierno contesto.

C’è d’altronde uno specifico vantaggio, nel mettersi a investire solamente sulla produzione, piuttosto che nell’intera filiera a partire dall’estrazione di una particolare risorsa dal sottosuolo. Nella misura in cui ciò permette, adattandosi alle fluttuazioni ed inerente fluidità del mercato, di scegliere una nuova fonte principale anno per anno, facendo seguito all’integrazione che è la base dell’odierna società globalizzata. Una ragione valida quanto qualsiasi altra per prendere una terra emersa relativamente contenuta, con alcuni villaggi di pescatori ed un paio d’industrie navali prossime al fallimento, per mettersi rapidamente ad appiattire qualsiasi asperità o dislivello del suo territorio. Procedendo quindi a ricoprirla di solido cemento, base per le fondamenta di un qualcosa che potremmo definire niente meno che monumentale. Così file di torri di frazionamento e serbatoi di stoccaggio, letterali foreste di ciminiere, innumerevoli chilometri di condotte… Affinché ogni passaggio dei diversi e paralleli processi di trasformazione chimica possa compiersi con lo stesso elevato livello d’efficienza, veicolando il prodotto finale alle navi cisterna pronte per portarlo ai clienti e committenti di ciascun ciclo produttivo. Sostanze come formaldeide, etene, butene, butadene, ogni possibile derivazione aromatica del benzene, possibilmente utilizzata nella produzione di carburanti per l’aviazione, oppure i gas sintetici che costituiscono lo stato intermedio del metanolo. E soprattutto il paraxylene, idrocarburo utilizzato nella produzione di un’alta quantità di polimeri, per il quale la Cina è già diventata totalmente indipendente proprio grazie all’inaugurazione del complesso della Zhejiang. Per un totale di quantità di petrolio sottoposto a processazione stimato attorno ai 20 milioni di tonnellate annui, una volta che verrà portata a termine la seconda fase di completamento del progetto prevista entro il 2025 e ciascun singolo elemento che lo compone potrà dimostrare di aver cominciato a funzionare a regime. Finalità perseguita, quest’ultima, proprio grazie ai numerosi incentivi offerti alla spropositata quantità di personale che si è trasferito nel corso di questi ultimi anni nell’arcipelago di Zhoushan, inclusa l’isola maggiore di Daishan, situata 4 miglia nautiche a est dell’ormai completamente trasformata Yushan. E che ha visto la sua popolazione letteralmente triplicare dall’inizio della decade scorsa, in cui ospitava appena 3.000 persone all’interno di un ambito per lo più rurale. E che oggi ha visto nascere in quantità notevole complessi d’appartamenti, strutture d’accoglienza, ristoranti di alto livello e spazi d’interscambio sociale, con conseguente aumento significativo dei costi della vita e delle proprietà corrispondenti.

Nonostante le apparenze, il colore non è del tutto assente dall’isola futuristica di Yushan. Occorre soltanto cercarlo nella verniciatura dei tubi, i cartelli di avviso, la tinta anti-nebbia delle ciminiere maggiormente svettanti. Un diverso tipo di fioritura, sui confini dell’eterna e irragionevole Primavera…

Una realtà di avanzamento lungo il corso della scala sociale che i media sotto il controllo del governo centrale non hanno esitato a definirla come un vero e proprio miracolo, citando l’espressione tradizionale cinese secondo cui un Singolo Capello Può Influenzare il Corpo Intero, mentre 23 partner d’investimento provenienti da tutto il mondo inclusa l’Arabia Saudita iniettavano a partire dal 2021 nel progetto una liquidità complessiva pari ad ulteriori 12 miliardi di yuan. Portando all’ulteriore ampliamento del complesso per dozzine di miglia a l’effettiva realizzazione del concetto di partenza secondo cui “Un’isola, una funzione”, perfettamente analoga al cuore pulsante di una delle principali tigri economiche dell’Asia Orientale. Ma se c’è qualcosa a cui un paese dalle proporzioni territorialmente piccole come Singapore non può ambire nello stesso modo della Cina, ciò è senz’altro il più alto livello di assoluta specializzazione. Ed il modo in cui i sopra implicati organi di quel grande essere tentacolare che è lo stato, possono crescere o adattarsi, sulla base di una finalità coerentemente dedicata alla realizzazione di qualcosa d’inusitato. Proprio perché impossibile su scala meno che totalizzante, prima o dopo quel particolare quanto effimero momento storico che prende il nome di Età Moderna.

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