Grandi centri sottoposti alle attenzioni spesso problematiche del colonialismo europeo, le capitali dei diversi stati dell’Africa centrale hanno visto avvicendarsi nel corso del secolo passato diversi luoghi di concentrazione del potere costituito: l’ufficio del governatore, la piazza del mercato, il municipio, l’edificio assembleare del concilio cittadino. Strutture a loro modo valide nel soddisfare le necessità amministrative delle generazioni, ma nessuna rilevante in senso internazionale quanto l’unica capace di trascendere l’importante barriera dei confini nazionali: sto parlando, se non fosse già evidente, della sede locale della banca BCEAO (Banque Centrale des États de l’Afrique de l’Ouest) istituzione finanziaria posta in essere per custodire, promuovere e gestire l’essenziale istituzione del franco CFA, utilizzato come valuta comune in ben 14 paesi. E regolato, come ultima deriva del pugno di ferro di un tempo, dalle inflessibili ed indiscutibili decisioni della Banca Centrale di Francia. Forse proprio questa la ragione, o il punto di partenza di una sorta di ribellione esteriore, per cui molti degli svettanti uffici di suddetta organizzazione hanno visto e continuano a impiegare il coinvolgimento di validi architetti africani, ciascuno dedito a suo modo a celebrare la ricca eredità vernacolare degli edifici facenti parte della sua antica discendenza. Nessuno dei quali forse celebre, e con ottime ragioni aggiungerei, al pari del membro fondatore dell’ONAT (Ordine degli Architetti Togani) Kwami Raymond Thomas Farah, notevole mente creativa dietro il più alto ed isolato edificio di tutta Bamako, capitale nonché principale metropoli situata entro i confini del Mali. Sotto ogni punto di vista rilevante una fortezza fin dalla sua costruzione nel 1994, ma di un tipo non del tutto privo di una grazia latente, nella sua lieve rastrematura che dovrebbe ricordare, idealmente, la sagoma bucolica di un termitaio. Incorporando allo stesso tempo le linee verticali della facciata e in numerosi “punti” delle sue finestre, disposti in modo tale da ricordare le due celebri moschee di Timbuktu e Djenné, i più grandi edifici costruiti con la tecnica del banco, un tipo di mattone in fango e involucri del grano fermentati, capace di resistere alle limitate precipitazioni di questa particolare area geografica. Dal colore rossiccio tendente all’arancione, volutamente utilizzato per le mura iconiche di un edificio alto ben 20 piani, il cui contenuto ed immediati dintorni restano in modo molto intenzionale totalmente misteriosi per gli abitanti dei quartieri antistanti. Un punto fermo del mistero utilizzato, all’interno di qualsiasi cultura, per rafforzare ed incutere l’appropriato grado di soggezione. E massimizzare, per quanto possibile, l’effetto straniante di questa specifica classe di edifici…
Chiamata anche la torre con le orecchie di pipistrello, per i complessi ornamenti appuntiti situati in corrispondenza del suo tetto all’altezza di 80 metri, il singolare grattacielo rappresenta un orgoglioso simbolo, ma anche la torre inespugnabile di un giogo economico che non si è mai davvero ritirato dalle sponde del fiume Niger, presso cui sorgono le sue possenti mura. In tal senso viste come una sostanziale isola urbana ostile, le sedi della BCEAO sono quasi sempre circondate da mura invalicabili ed ampi parchi scarni d’alberi o altri arredi, lasciando che il sole cocente dell’Africa tropicale batta e renda inavvicinabile quel sacro selciato. E dove l’economia locale lo permette, esse stesse costruite con i materiali di maggior solidità strutturale, a sostenere l’impressione che debbano varcare intonse i secoli di molte generazioni a venire. Una sensazione accentuata, nel caso della torre di Bamako, dal suo riprendere e sostituirsi in qualche modo alla sagoma riconoscibile del mercato cittadino, un’altra struttura in stile neo-saheliano risalente al 1923, andata completamente distrutta durante un incendio degli anni ’90 privando la città di uno dei suoi punti di riferimento di maggio rilievo. Così come oggi la strada del Boulevard du Peuple, che raggiunge il corso d’acqua in un punto dove approdano regolarmente le canoe dei pescatori, vede oggi sorgere il tratto divisorio di questo nuovo mondo in essere, dove le decisioni prese a Parigi influenzano le possibilità di uomini e donne locali di arrivare finanziariamente fino alla fine del mese. Laddove l’ombra prodotta da una meridiana tanto massiccia, almeno in parte riconducibile all’aspetto autorevolmente minaccioso di talune torri iconiche dell’ambito fantascientifico odierno, potrà costituire l’analogia molto più iconica degli originali fortini delle forze di occupazione provenienti dal Nord del mondo, sebbene mascherata da una patina di energia espressiva e stilistica utile a coltivare i meriti dello stile architettonico circostante. Almeno per quanto ci è dato di conoscerlo, ancora oggi, dopo le prime esplorazioni del XVIII e XIX secolo, prima delle quali il territorio dell’intero Impero del Mali ebbe valide ragioni al fine di rimanere per lo più inesplorato, vista la rinomata, e largamente comprensibile ostilità dei suoi abitanti. Fino alla sofferta conquista di una testa di ponte non lontano dall’odierna Bamako da parte del generale Gustave Borgnis-Desbordes, realizzata nel 1883, valida per poter porre le basi della trasformazione un quarto di secolo dopo in capitale del Sudan francofono, un ruolo che sotto più di un punto di vista mantiene ancora oggi. Così efficacemente dimostrato con l’implementazione, proprio nel 1994 corrispondente all’inaugurazione di questo edificio, della storica decisione presa in Europa di dimezzare in modo univoco il valore del franco CFA, misura idealmente utile a migliorare il successo delle esportazioni sul mercato internazionale. Ma che avrebbe finito, nel contempo, per danneggiare in modo significativo le prospettive economiche di un’intera generazione maliana. Il che, per quanto ci è dato di comprendere, potrebbe aver sorpreso o lasciato senza validi argomenti a sostegno del progetto pressoché alcuno dei suoi principali sostenitori…
Certamente inviolabile, brutalista a suo modo (o quanto meno brutale) l’edificio BCEAO locale finisce dunque nella sua bellezza senza tempo per costituire soltanto la testa visibile del grande serpente, che in base a un recente sondaggio pubblicato online costituirebbe la principale figura ricorrente negli incubi della popolazione di una buona parte dell’Africa contemporanea. Magnifico e terribile al tempo stesso, miraggio evanescente all’apice di una difficoltosa traversata nel deserto. Che potrebbe offrire un valido punto di ristoro ed abbeveramento dei viaggiatori, se soltanto si degnasse di aprire le sue porte invalicabili. Se soltanto si azzardasse a farlo. Accontentandosi di contro del costituire, grazie alle sue mura inconfondibili, un possibile punto d’inizio per la costituzione di un nuovo metodo valido ad interfacciarsi con gli antichi modelli. A punto di accettarne l’importante quanto imprescindibile contaminazione ad opera di coloro che non hanno mai sentito, nel profondo, l’esigenza di ergersi a tutelarli.