È un’illusione rinomata quella della Fata Morgana, estrusione ottica di forme verticali simili a castelli o fortezze, che si elevano al di sopra della linea dell’orizzonte. Una forma di miraggio, causato dalla modifica dell’indice di rifrazione per via dell’inversione termica, esso è noto per la sua capacità, talvolta pericolosa, di sviare i naviganti. Una visione di tipo letteralmente opposto, tuttavia, può effettivamente presentarsi a quelli di loro che transitando in prossimità delle poche terre emerse presso il grande Nord che anticipa il Circolo Polare, dovessero avvicinarsi da ovest al verdeggiante arcipelago delle isole Faroe. Volgendo l’anelito che guida quelle navi verso la presenza paesaggistica che, da un qualsiasi punto di vista immaginabile, parrebbe provenire dall’altro lato della barriera che separa il mondo onirico e la tangibile, umida realtà: nient’altro che un lago. Apparentemente sospeso, sopra l’arco di un possente faraglione, a una quantità spropositata di metri sopra l’infrangersi delle onde, continuando ad un livello superiore l’affascinante ed altrettanto iconica tendenza a rispecchiare il cielo. Uno spazio per la vita ed uno spazio per i sogni, che s’incontrano nella fondamentale intercapedine di due strati sottilmente incoerenti. Sulla base del nozionismo acquisito e a dire il vero, anche la disposizione materiale del paesaggio, oltre l’anamorfica e altrettanto transitoria percezione delle circostanze. Perché questo è Sørvágsvatn, alias Leitisvatn, alias vatnið (“il lago”) principale specchio d’acqua dell’isola di Vágar e l’intero sciame delle sue consorelle, per cui il prato ininterrotto circondato da scogliere alte e inaccessibili è un semplice stato imprescindibile delle cose. Pur essendo, ciò detto, non così tremendamente impervie quanto si potrebbe tendere a pensare. Questo perché il lago serpeggiante in questione, con un’area totale di 3,4 Km quadrati, è alla base di un celebre fraintendimento delle percezioni visuali, particolarmente diffuso nell’epoca di Internet, che porta a sopravvalutare in modo significativo i presupposti dell’unicità del suo paesaggio d’appartenenza. Ecco dunque, senza nulla voler togliere a simili meriti ereditati, l’effettiva (strabiliante) verità delle cose…
Trenta metri sono il massimo, l’assoluta estremità effettiva che raggiunge il dislivello di una riserva d’acqua in apparenza “impossibile” per l’assenza di affluenti o fonti visibili di qualsivoglia natura. Questo perché Sørvágsvatn, così come il vicino Fjallavatn di 1,03 Km (secondo lago faroese per dimensioni) è alimentato dalla sola acqua piovana, ma a differenza di quest’ultimo scarica costantemente una certa quantità delle sue tramite una scrociante cascata, il salto marittimo di Bøsdalafossur. Al che verrebbe lecito chiedersi, vista la vicinanza notevole di un suo intero lato alla costa, perché ciò non si verifichi anche in proporzioni decisamente maggiori. Il che ci riporta alla questione dell’illusione di cui sopra e tutto ciò che questo comporta, una volta trasferito all’effettiva dislocazione orografica degli elementi. Perché se non è in alcun modo verificabile, una volta lasciata l’angolazione magica di riferimento, l’originale sensazione che il lago si trovi a 256-376 metri d’altezza dal livello del mare, proprio queste sono d’altra parte le massime elevazioni delle rispettive scogliere antistanti, in buona parte responsabili della forma concava dell’isola, tale da permettere la conservazione delle acque lacustri. Ciò a causa di un fenomeno geologico noto come cuesta, che porta all’emersione asimmetrica di una serie versanti collinari, accentuato nel corso dei secoli dalla pressione incessante degli elementi. Casistica non del tutto inaudita ma qui capace di porre in essere i fondamentali presupposti di un qualcosa che non è osservabile altrove, né in alcun modo affine al senso comune dei suoi fruitori.
Eppure nonostante tutto va pur sempre sottolineato come l’isola di Vágar, terza per dimensioni dopo quelle di Streymoy ed Eysturoy, possieda una caratteristica apparentemente in conflitto capace di donargli una qualità davvero preziosa: quella di essere, di gran lunga, la più pianeggiante di tutte le isole Faroe. Ragion per cui furono gli inglesi a sceglierla, nell’ormai remoto 1940, per la creazione di un aeroporto militare finalizzato a proteggere una delle parti più remote, ma pur sempre strategicamente rilevanti, del dominio incontrastato di Sua Maestà. Con la decisione particolarmente condivisibile di porre in essere la pista proprio accanto al lago, proteggendola dall’avvistamento nemico grazie all’interferenza prospettica offerta dal sopra menzionato succedersi di versanti di franappoggio. Offrendo, nel contempo, una pratica e riparata pista di decollo per gli idrovolanti proprio grazie al lago di Sørvágsvatn. Il che avrebbe dato vita ad una lunga e proficua collaborazione tra gli isolani e militari britannici, capace di migliorare l’intera infrastruttura del territorio grazie alla creazione di una cava di bitume che funziona tutt’ora. Per non parlare dell’eredità preziosa della pista di decollo stessa, rimasta inutilizzata dopo la fine della guerra fino al 1963, quando una coppia di residenti e aviatori locali, Fjørðoy e Larsen, ne fecero la pista di riferimento per il loro servizio regolare di trasferte a bordo di un Douglas DC-3. Il semplice ed umile inizio di quella che sarebbe diventata, in seguito, la compagnia con base locale della Iceland Air. Nonché fondamento di ulteriori e significative infrastrutture future, tra cui sarebbe impossibile non citare il complesso tunnel di Vágatunnilin, via di collegamento sottomarino con la vicina e molto più popolosa isola di Streymoy.
Magnifico, surreale ed ultramondano, il lago sospeso campeggia dunque al centro d’innumerevoli foto create ad arte, diventate ancora più efficaci e convincenti grazie alla frequente prospettiva sopraelevata concessa dall’odierna tecnologia dei droni. Il che non dovrebbe, idealmente, togliere alcunché ai suoi meriti esteriori degni di essere notati e celebrati, così come fatto lungamente dagli abitanti degli immediati dintorni. Tra cui vige, fin da tempo immemore, la disquisizione toponomastica data ad intendere poco sopra, per qui la popolazione prossima di Leiti vorrebbe chiamarlo, per l’appunto, Leitisvatn.
Laddove il termine impiegato più frequentemente fa piuttosto riferimento al piccolo villaggio di Sørvágur, senz’altro più lontano ma anche fondato (si dice) in un’epoca anteriore, e per questo legittimo depositario di un’opinabile diritto alla priorità. Il che ha portato negli anni a scegliere semplicemente di chiamare tale luogo con il termine generico vatnið, che tuttavia sembra esulare dalle scelte nozionistiche dei non-nativi. Quasi a voler incoraggiare un’annosa faida non del tutto o necessariamente bonaria, in una forma di ripicca nei confronti di quelle stesse genti che un tempo attaccavano le coste meridionali, dal ponte di navi agili e scattanti come soltanto i popoli vichinghi potevano vantarsi di possedere. Assieme alla visione, mai direttamente citata in alcuna saga, di un lago fluttuante, ove potessero specchiarsi gli Dei asgardiani, nella legittima ma falsa aspettativa di restare in ogni attimo più elevati dei loro sottoposti mortali. Perché nessuno può ignorare l’apparente verità che filtra oltre lo spazio delle sue pupille. Per quanto mortali, immortali o metaforiche possano riuscire ad essere. Ovvero custodite nello spazio digitale, che sostiene l’immaginazione imprescindibile e fondamentale delle idee.