L’anguilla che si annida nel dirupo e mostra i denti per assomigliare a un vecchio lupo

Pareidolia è l’umana condizione psicologica, presente in ogni singolo rappresentante della specie, che induce gli osservatori di uno spazio vuoto ad individuare in esso la forma riconoscibile di un volto. Due pertugi diventano occhi, una semplice sasso ci ricorda un naso, i fili d’erba si trasformano nei denti nelle fauci di un gigante in agguato… E così via a seguire. Tendenza frutto di un preciso piano evolutivo, tale approccio all’individuazione di uno schema può in realtà costituire un’utile strumento di sopravvivenza, per individuare il predatore tra i cespugli, la tigre in mezzo al sottobosco, l’irsuto cacciatore pronto ad ululare definendo l’obiettivo del branco. Ed anche in più infrequenti contesti, qualora ci s’inoltri nel vasto mondo sotto la superficie del globo terracqueo, al fine di scovare viste in grado di aumentare il materiale disponibile per questa nostra fantasia allenata. Incredibile, nonostante i presupposti, a vedersi: in mezzo a quelle pietre, il guizzo di un leggero movimento. È l’ombra di quel pesce che il subconscio riconosce, perché sembra avvicinarsi al grugno di un canide di superficie, o in alternativa, lo spettro pensoso di un nostro antenato, trasportato come per magia dentro il palazzo del dio Nettuno. Finché in modo graduale non manca mai d’emergere, spinto dalla curiosità e l’intento indagatorio, mostrando un corpo lungo 180-250 cm che sinuosamente si agita nella colonna che si estende dal sostegno del fondale roccioso. Non è difficile, a quel punto, comprendere il mito della tradizione Tinglit dei Nativi del Nord-Ovest del Pacifico, che chiamavano simili creature Gonakadet, o Konakadeit, ovvero “lupi del mare”, essendo convinti che potessero risalire la costa e visitare gli sciamani per portargli consiglio. Idea in qualche maniera mantenuta anche nel nome scientifico della famiglia degli Anarhichadidae, dal greco anarrhichesis che significa arrampicarsi. Associazione relativamente ragionevole, rispetto a quella del nome comune che allude all’anguilla, con la quale in questo caso non esiste alcun grado effettivo di parentela. Essendo l’intero gruppo biologico dei pesci lupo, diffuso con due generi e cinque specie in entrambi gli oceani che fiancheggiano il continente americano, quello di un’esperta tipologia di predatori attinotterigi (pesci ossei risalenti al Siluriano) per cui la masticazione, e resistenza del palato, costituiscono strumenti niente meno che primari per incrementare le proprie possibilità di sopravvivenza…

Non è facile in effetti prepararsi ad una scena tanto coreografica, come quella di un Anarhichas dell’Atlantico o Anarrhichthys del Pacifico dalle caratteristiche livree grigiastre a pois o righe verticali, che piomba con la propria indole vorace su di un riccio di mare. Ingurgitandolo in sol boccone senza nessun tipo di timore nei confronti dei suoi duri ed appuntiti aculei difensivi. Così come riesce a fare, in modo ancor più facile, con granchi, stelle di mare e vari molluschi dotati di conchiglia, sgranocchiati come fossero perfette patatine messe in tavola da Madre Natura. Il tutto muovendosi in maniera scaltra e ben collaudata anche grazie alle potenti pinne pettorali, nonostante l’assenza dell’organo di galleggiamento della vescica natatoria, che sarebbe nel suo caso controproducente vista la propensione ad insinuarsi nei pertugi e rimanere in prossimità del fondale. Assente, nel caso delle cosiddette anguille lupo, anche la linea laterale fatta eccezione per un limitato susseguirsi di neuromasti sensoriali, utilizzati come di consueto al fine d’individuare grazie alle vibrazioni eventuali prede o il profilo in avvicinamento di un predatore. Benché molto più importanti, per il nostro amico, risultino essere gli strumenti canonici dello sguardo e l’olfatto.
Trattazione a parte merita di suo conto il processo riproduttivo di questi notevoli pesci, per cui la monogamia è una parte irrinunciabile dello stile di vita coniugale, con il maschio e la femmina che tendono a condividere la propria residenza per l’intera vita adulta dopo il verificarsi del primo evento d’accoppiamento. Consistente nella deposizione da parte di lei di una massa gelatinosa delle dimensioni di 10-15 cm, consistente di oltre 10.000 uova. Immediatamente fecondate dal partner dando inizio ad un periodo di cura parentale condivisa, in cui i due lasceranno soltanto a turno la tana, avendo sempre cura che la controparte si mantenga avvolta attorno dall’insostituibile tesoro degli eredi, così da evitare che altri pesci possano anche soltanto pensare di fagocitarli. Fino alla schiusa dopo un periodo di ben 3-4 mesi, cui fa seguito la fuoriuscita delle minuscole larve trasparenti, capaci di svilupparsi gradualmente fino alla misura di 30-40 cm, quando iniziano ad assumere alcune caratteristiche degli adulti fatta eccezione per i toni spenti della livrea. Essendo in genere di un acceso colore rosso e/o arancione, al fine di mimetizzarsi tra le alghe ed i coralli del fondale marino. Particolarmente notevole, già a partire da quel momento, si dimostra l’intelligenza intrinseca di questi animali, capaci di adattarsi ad ogni situazione e addirittura riconoscere gli umani che tornano a fargli visita, aspettando con entusiasmo la canonica offerta di cibo. Una propensione, paradossalmente, capace di causare problemi a lungo termine, data la frequentazione eccessiva da parte dei sommozzatori dei luoghi dove si concentrano le loro tane, portando a potenziali eventi di spopolamento causa l’eccessivo disturbo arrecato. E questo anche senza contare il rischio, sempre presente, di essere accidentalmente morsi da creature che nonostante l’indole relativamente gentile, possiedono una dentatura e un morso in grado di arrecare danni tutt’altro che trascurabili alla mano che si tende per nutrirli.

Poco conosciuti ed ancor meno studiati, probabilmente per l’assenza di applicazioni pratiche di tipo industriale o gastronomico su larga scala, questi pesci non subiscono al momento una pressione particolare dovuto allo sfruttamento incessante dell’odierna società umana. Ancorché parrebbe totalmente ragionevole prospettare, per diverse delle specie esistenti, una lenta ma costante diminuzione della popolazione complessiva, trattandosi di animali situati ad un punto relativamente elevato della catena alimentare, e perciò dipendenti da un ecosistema complesso vulnerabile ai fattori collaterali vigenti.
Utile, in tal senso, l’inserimento all’interno dell’indice internazionale delle specie minacciate secondo il National Marine Fisheries Service statunitense, che limita non solo la commercializzazione delle carni dell’anguilla lupo dell’Atlantico, ma anche la quantità di esemplari accidentalmente catturabili senza andare incontro al rischio di sanzioni commisurate alle circostanze. Così come nel Baltico, la HELCOM del Nord Europa classifica la stessa specie (Anarhichas lupus) come a rischio con diverse significative normative vigenti. Passi funzionali ad una futura conservazione dell’ennesima meraviglia biologica dell’Oceano, un territorio inesplorato dal punto di vista di molti. Nonostante costituisca in modo esistenziale, ancor più che meramente metaforico, la culla stessa della nostra antichissima esistenza.

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