L’oblungo pinolo che vorrebbe rendere accessibile il volo intercontinentale privato

L’esigenza di raggiungere rapidamente un luogo, nell’odierna scala dei meriti economici e sociali, ha generato nel corso degli anni un aumento esponenziale della quantità di emissioni a carico di un’atmosfera già gravata da un degrado progressivo delle proprie condizioni eminenti. Per cui una persona che guida per un paio d’ore ogni giorno lavorativo inquina il doppio di chi svolge una mansione prossima al proprio domicilio domestico, e lo stesso tipo di peggioramento può trovare il su riscontro a carico di un dirigente che ricorra all’elicottero una o due volte alla settimana. E che dire invece di coloro i quali, per particolari esigenze della propria qualifica professionale, si trovano a spostarsi ripetutamente da un lato all’altro del globo, dovendo fare affidamento su velivoli di dimensioni compatte per se stessi e il proprio seguito di rappresentanza? Bill Otto, ex-ingegnere della North American Aviation, incaricato cinquant’anni fa di creare tra le altre cose sistemi di guida e navigazione per diversi missili, un siluro per sottomarini e il bombardiere del ’79 A-5 Vigilante, stava per diventare al termine della prima decade del XXI secolo una di queste persone. In forza di una rinnovata carriera come perito d’incidenti aeronautici, tale da portarlo a chiedersi se fosse veramente opportuno continuare a spendere le cifre significative necessarie per trovarsi (praticamente) ovunque senza nessun tipo di preavviso, con singole trasferte capaci di richiedere l’impiego di voli di linea, seguìti da charter verso destinazioni remote, a loro volta prolungati trasferimenti a mezzo strada con ulteriore complicazione logistica dell’intera faccenda. Da qui l’idea di valutare l’acquisto di un piccolo jet privato, e da qui la constatazione di come un simile mezzo di trasporto tendesse ad essere costoso, inefficiente e problematico sotto numerosi aspetti. Siamo nel 2008 perciò quando Bill Otto, sfruttando i contatti ottenuti nel corso della sua lunga esperienza nel settore tecnologico, fonda una startup dotata del suo nome con l’intento di “rivoluzionare l’aviazione” mediante “l’incremento esponenziale dell’efficienza.” Promessa senz’altro ambiziosa da parte di qualcuno che non aveva mai progettato un aereo prima di quel momento, ancorché basata su una premessa alquanto difficile da sopravvalutare: l’ottenimento di uno dei più leggendari Santi Graal dell’aviazione, il flusso laminare puro. Per consentire il fluido passaggio dell’aria oltre le ali e la fusoliera di un aeromobile, senza dar luogo ad alcun tipo di turbolenza. Finalità del tutto perseguibile in maniera teorica. Ma che si è da sempre dimostrata molto difficile da realizzare. Da qui l’aspetto e le caratteristiche senz’altro insolite dell’Otto Celera 500L, come egli avrebbe presto battezzato la sua innovativa creazione. Un apparecchio dalla forma che è stata paragonata nel corso degli ultimi anni ad un ovoide allungato, una mandorla, ma anche una supposta ed il già citato siluro per impiego navale. Termine di riferimento, quest’ultimo, indubbiamente più appropriato, vista la dichiarata applicazione di taluni principi della fisica dinamica (applicabili sia in acqua che nell’aria) originariamente sviluppati dall’ideatore nel corso dei suoi trascorsi in ambito militare. Ecco dunque emergere dall’hangar, con un prototipo costruito a cominciare dal 2005, la forma inconfondibile costruita interamente in materiali compositi, proprio al fine di prevenire alcun tipo di deformazione o vibrazione della struttura durante il volo, una premessa imprescindibile per l’ottenimento dell’obiettivo finale. Ed una quasi totale assenza di finestrini sopra le tre ruote del carrello in grado di sparire completamente all’interno della carlinga, verso l’ottenimento di una superficie totalmente priva di alcun tipo d’irregolarità. Per sollevarsi, agevolmente, nell’Olimpo degli aerei dai più bassi consumi in proporzione alle prestazioni…

L’assenza di finestrini nel prototipo, tra l’altro presenti nell’originale brevetto di Otto, potrebbe far pensare ad una cabina di volo dalle condizioni spartane. Laddove la forma bombata dell’aereo, in effetti, permette quanto meno di creare un habitat ragionevolmente lussuoso.

Il concetto alla base del Celera 500L risulta essere dunque paragonabile a quello di un aereo spia dell’epoca della guerra fredda, per la maniera in cui dovrà idealmente, dopo la sua introduzione prevista entro l’anno 2025, raggiungere la quota 40/50.000 piedi (fino a 15 chilometri) librandosi con le sue ali piccole ed arretrate, dotate di vistose alette d’estremità ed un gigantesco impennaggio di coda, ulteriormente stabilizzato da una seconda pinna perpendicolare al suolo. Il tutto nell’ottica del mantenere il più possibile un punto di passaggio ininterrotto per la resistenza dell’aria, indisturbata da qualsiasi elemento di contesto, incluso il motore: un singolo V-12 a quattro tempi diesel RED A03, utilizzato per far muovere l’elica spingente a cinque pale situata nella parte più arretrata possibile dell’aereo. Al punto, in effetti, da complicarne non poco l’atterraggio e richiedere un addestramento speciale per i piloti, benché massimizzando ulteriormente la probabilità di mantenere un numero di Reynolds al di sotto del 2.000, corrispondente all’ottenimento del risultato aerodinamico cruciale. Tanto importante, in effetti, da permettere all’impianto di soli 550 cavalli di spingere il velivolo da peso probabile di circa 3 o 4 tonnellate fino a 740 Km/h, velocità del tutto paragonabile a quella di un piccolo bimotore a reazione come il Cessna Citation o un Falcon della Dassault. Ma con un consumo di kerosene, ed è proprio questo il fattore cruciale, pari a 30 miglia per gallone, ovvero meno della metà di tali alternative di riferimento. Stiamo parlando in altri termini di un’efficienza a parità di tempo del tutto paragonabile a quella di un grosso SUV, simile a quelli che circolano quotidianamente per le strade delle nostre città. Ed un costo per ora di volo a carico dei sei passeggeri previsti, inclusivo di manutenzione e spese accessorie, non molto superiore a quello del biglietto per un jet di linea a fronte di un’autonomia paragonabile o persino superiore: stiamo parlando, per essere chiari, degli 8.300 Km sufficienti a collegare Roma a Pechino.
Questo, almeno, in base alle caratteristiche e prerogative dichiarate dalla Otto Aviation. Che nel corso dei lunghi anni dalla prima presentazione del progetto, inevitabilmente, hanno sollevato più di qualche scetticismo nel settore dell’industria specializzata. Il flusso laminare puro è d’altra parte assai difficile da mantenere, proprio perché tende a compromettere le capacità di maneggevolezza e stabilità degli aeromobili. Oltre a richiedere superfici straordinariamente lisce e prive di detriti, al punto che taluni alianti (comunque molto più piccoli del Celera) prevedono ad oggi l’utilizzo di pseudo-tergicristalli per rimuovere gli insetti morti dalla parte anteriore delle loro ali. Un altro aspetto preoccupante, certamente meritevole di essere menzionato, è il rischio inerente di far volare un monomotore a quote tanto elevate, laddove la perdita di pressurizzazione dell’abitacolo potrebbe avere conseguenze irrimediabili per l’equipaggio ed i passeggeri. Senza nessun tipo di grado di ridondanza e soltanto pochi attimi, letteralmente una manciata di secondi, per poter indossare la maschera d’ossigeno prima di perdere del tutto i sensi. Altri, nel frattempo, hanno fatto notare quanto terribilmente difficile potrebbe risultare far toccare terra ad un tale velivolo senza incidenti per un pilota normale, non soltanto per l’elica posizionata tanto indietro ma anche a causa della mancanza di visibilità verso il basso, forse la peggiore dai tempi dello Space Shuttle.

La diffusione sul mercato di aerei privati dalla concezione futuribile si è sempre rivelata complessa, soprattutto per la comprovata inadeguatezza di simili apparecchi nel mantenimento delle ambiziose promesse di partenza (vedi, ad esempio, il caso del Beechcraft Starship del 1983-95). Ma se i progettisti aeronautici mancassero di ambizione, saremmo mai riusciti a staccarci da terra?

Eppure nonostante i detrattori, lungi dall’essere un mero sogno della pipa, il primo prototipo del Celera 500L è andato incontro al suo completamento nel gennaio del 2018, per iniziare un programma di test nel 2020 che lo avrebbe portato ad effettuare appena 31 voli prima dell’inizio della pandemia da Covid-19. Avendo a questo punto già raccolto circa 50 milioni di dollari di fondi, la startup texana da appena una trentina di dipendenti di Bill Otto avrebbe quindi iniziato ad adattare la propria offerta alla ritrovata coscienza ecologica del mondo contemporaneo, ipotizzando future versioni a biodiesel o idrogeno del suo avveniristico aeroplano. Il perfezionamento del volo elettrico, d’altra parte, risulta essere ancora agli albori risultando inoltre condizionato da un’irrisolvibile problematica in materia d’efficienza: la maniera in cui le batterie mantengono sempre lo stesso peso dal decollo all’atterraggio, invece di consumarsi nella maniera propedeutica di qualsivoglia alternativa rifornita tramite l’approccio contestuale di un’autopompa. Strumento di cui gli aeroporti, molto probabilmente, non potranno fare a meno tanto presto. Offrendo una ragione ulteriore per cui far stare in aria tanti piccoli aerei con il minimo sforzo possibile, piuttosto che una quantità più limitata di giganti letteralmente assetati di carburante, potrebbe offrire un sentiero alternativo verso la conservazione delle attuali condizioni terrestri. O quanto meno un rallentamento nell’inesorabile scivolata verso il baratro incandescente, di cui ormai molti di noi sembrerebbero aver acquisito la percezione latente.

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