Visita nell’inaudito canyon greco della pioggia che non ha mai fine

Panta rei, tutto scorre: locuzione lapidaria che riesce a sottintendere l’apprendimento di un assioma privo di limitazioni apparenti. Poiché imprescindibile risulta essere l’attribuzione, ad ogni oggetto, fenomeno o imperfetta circostanza, dei processi ininterrotti nell’essenza stessa della Natura. In cui la più basica ed insignificante delle trasformazioni implica, ciò non di meno, radici profondissime fin dalle remote profondità della scienza. Un movimento tra i più semplici da tradurre in parole, basandosi sull’amena osservazione dei modelli, risulta tal proposito essere quello dei fiumi. Zone lineari tratteggiate nel paesaggio, risultanti dalla mera progressione gravitazionale, che porta tutte le acque della Terra a protendersi verso il vasto mare Oceano. Per quanto lontane e irraggiungibili possano essere, nei loro principi generativi, le precipue fonti della loro provenienza. E di sicuro non vi sono molti altri, tra i corsi d’acqua dell’intera area ellenica, a presentare un percorso remoto e qualche volta irraggiungibile quanto quello del Krikeliòtes (o Krikelopòtamos) fiume singolare che scaturisce presso l’innevata vetta del Velouhi, massiccio di 2.315 situato nella Grecia centrale. Per poi attraversare senza grosse deviazioni la regione periferica dell’Euritania, antico luogo noto per la sua altitudine mediana particolarmente elevata. E la maniera in cui i diversi popoli nativi, formato dai discendenti dei Cureti e dei Lelegi già nell’epoca delle possenti poleis del Mondo Antico, furono unificati dal re Etolo, che seppe crearne l’identità storica e culturale. Valida a resistere, nei secoli a venire, a diversi tentativi d’invasione o coinvolgimento nelle numerose guerre dei bassopiani, tra cui il lungo conflitto tra Atene e Sparta (431 a.C.) l’invasione della Persia (426 a.C.) e la disputa territoriale ellenica contro la Macedonia (323 a.C.). Almeno finché la lega degli Etoli, come avevano iniziato a farsi chiamare, non abbandonò la propria neutralità per schierarsi al fianco dei Romani nella battaglia di Cinocefale (196 a.C.) diventando nei fatti uno stato cliente della maggiore potenza del Mediterraneo. Mentre l’unicità territoriale e paesaggistica di questi luoghi avrebbe nondimeno continuato a costituire, in maniera pienamente valida e apprezzabile, unica meta possibile di un pellegrinaggio rimasto segreto fino ai giorni immediatamente antecedenti all’epoca odierna. Perché mai non dovremmo, perciò, scegliere di prendere visione con i nostri occhi di una simile meraviglia? Là, dove il sopracitato corso d’acqua sembra immergersi e insinuarsi progressivamente in mezzo ad uno stretto canyon. Sebbene il termine corretto in questo caso sia “gola”, in mezzo a un tratto semi-coperto lungo all’incirca un centinaio di metri. Il cui nome risulta essere, per l’appunto, Panta Brechei (Πάντα Βρέχει) o “Piove Sempre” con riferimento a una caratteristica ambientale che sembra emergere direttamente dall’esposizione di un paesaggio fiabesco; mentre plurime cascate parallele, disposte lungo l’ergersi perimetrale di siffatte ruvide pareti, scrosciano maestosamente verso il basso. Spezzate a portate a disperdere le proprie gocce costituenti lungo un’area vasta, almeno in apparenza, quanto il cielo stesso e creando i presupposti per migliaia di possibili arcobaleni. Di un luogo che sarebbe degno di essere visitato da letterali decine di migliaia di persone l’anno, se soltanto non fosse così terribilmente complicato da raggiungere anche con le più moderne tecnologie di navigazione computerizzata…

Dopo il tratto della gola, il fiume Krikelioti confluisce nel più vasto e turbinoso Trikeliotis, dove è spesso praticato il rafting, sia autogestito che nel quadro di corsi aperti a vari livelli di praticanti. Un modo certamente pratico e veloce di scendere a valle, sebbene manchi di risolvere il problema di tornare all’automobile, possibilmente lasciata all’altro capo estremo dell’indimenticabile esperienza.

“La giusta ricompensa viene a chi è capace d’impegnarsi, possiede pazienza e spirito d’abnegazione” spiegano la maggior parte delle notazioni turistiche reperibili su Internet sul tema della gola del Panta Brechei. Proseguendo nel descrivere la letterale Odissea che gli aspiranti sperimentatori dovranno intraprendere, in uno dei tre percorsi da trekking tutti egualmente articolati e complessi, previo raggiungimento dell’area interessata tramite l’impiego di un affidabile veicolo a quattro ruote motrici. Possibilmente impiegato, nella prima e più semplice delle tre proposte, per recarsi fino al villaggio di Karpenisi, per poi proseguire fino al percorso di trekking che costeggia il fiume Krikelioti, proseguendo verso Gavros, Prousos e Tornos. Chiunque volesse d’altra parte accorciare la camminata a un paio d’ore piuttosto che l’intera giornata, avrà invece due alternative a disposizione: dirigersi da Karpenisi a Megalo Chorio, varcando il passo del monte Kaliakouda oppure utilizzare il passaggio verso Rachi Timfristou, Krikello e Domnist. Tutti itinerari altrettanto validi, sebbene di difficoltà e lunghezza differente, a raggiungere il riconoscibile ponte il ponte sospeso di Stournaras-Roskas e da lì discendere, con la massima cautela, nella gola sottostante della pioggia eterna, ma non prima di aver attraversato un tratto del corso d’acqua con numerose pozze profonde impossibili da aggirare, dove sarà necessario immergersi fino alla vita per guadarle nel corso delle stagioni piovose. Ragion per cui alcuni scelgono di compiere l’impresa trasportando nella borsa una pratica muta da sub, non propriamente un equipaggiamento standard da prevedere a fronte di un’escursione montana.
Per quanto concerne una disanima dell’aspetto scientifico e per così dire oggettivo di una meta tanto caratteristica, sarà possibile effettivamente definire il Panta Brechei come un tratto fluviale scavato nella pietra carsica dall’erosione a partire dall’acqua disciolta progressivamente dai ghiacciai soprastanti dei monti Kaliakouda e Platanaki, visivamente e concettualmente non così distante dal tipico slot canyon dei territori ad oggi più aridi degli Stati Uniti, come doveva presentarsi molti secoli o millenni prima dell’epoca odierna. Potendo condividerne al tempo stesso, almeno in linea di principio, l’alto potenziale di pericolo in caso d’improvvisi temporali e relativi acquazzoni, causando l’intrappolamento di coloro che dovessero trovarsi all’interno nel momento meno appropriato, sebbene la lunghezza relativamente contenuta di un simile passaggio, assieme alle caratteristiche climatiche del meridione europeo, possano limitare in tal caso la portata del rischio. Tanto che in effetti, almeno a quanto risulta essere apprezzabile online, non si hanno notizie d’incidenti pregressi nelle immediate vicinanze della celebre gola Euritanense. Il che non dovrebbe, d’altra parte, prevenire il giusto grado di cautela da parte di chi fosse interessato a sperimentarla.

Proseguendo il tema degli sport estremi praticati nell’antico territorio degli Etoli, non è difficile comprendere la collocazione ideale che riceve in questi luoghi la bicicletta in discesa, vista la quantità e complessità degli onnipresenti tornanti stradali. Un tipo di passatempo per il quale, stavolta, resta opportuno possedere un certo livello d’esperienza pregressa.

Che un intero fiume possa essere parzialmente nascosto alla vista, scomparendo all’improvviso al di sotto della linea dell’orizzonte, è una questione già abbastanza notevole ed affascinante. Mentre l’effettiva maniera in cui un’intera massa d’acqua, disgregata e spezzettata in un milione di gocce sfolgoranti possa ricadervi sopra come un velo barbagliante, può essere una scena degna d’ispirare le opere di un grande artista. A patto che quest’ultimo sia anche dotato, fatto possibile ma non del tutto scontato, di una propensione singolare a lunghe quanto faticose sessioni di trekking, lungo tre dei percorsi più articolati e complessi di tutta la Grecia. Il che semplifica, ed al tempo stesso valorizza al massimo le cose, nel momento in cui si prende atto dell’esistenza odierna di registrazioni e fotografia digitale. Gli strumenti che più di ogni altro rendono inclusiva e coinvolgente l’esperienza dei paesaggi irraggiungibili o remoti. Per cui la presa di coscienza pratica e personale, basata sull’osservazione diretta della cosa stessa, può tendere a diventare largamente facoltativa. Ma non è forse proprio questo, ad accrescerne ulteriormente l’inerente merito d’esistere, a vantaggio collaterale di chi ha conservato la capacità di apprezzarla?

Lascia un commento