Avete mai sentito parlare del concetto paesaggistico, organizzativo e territoriale del geoparco? Trattasi di spazio attentamente definito o vero museo all’aperto, entro cui un comitato internazionale deputato dall’UNESCO ha saputo individuare, dietro attento approfondimento, una quantità giudicata sufficiente di elementi di rilievo derivanti dall’articolata storia fisico-chimica di questo pianeta. In Italia ne abbiamo 10, numero piuttosto elevato in proporzione all’estensione geografica della nostra nazione, riconfermando la nostra popolarità presso l’ente incaricato di catalogare e valorizzare i beni più o meno tangibili dell’umanità. Ma dei “soli” tre posseduti dalla nazione ancor più piccola del Portogallo, Azores, Naturejo ed Arouca, quest’ultimo situato circa 60 Km ad est dalla città di Porto potrà fregiarsi, a partire dalla fatidica metà del mese di ottobre 2020, di un primato alquanto attraente nonché significativo: il possesso esclusivo del più lungo ponte pedonale al mondo. Realizzato secondo una tecnica straordinariamente antica e in origine, rappresentativa in modo esclusivo di un popolo; quello abituato, più di ogni altro, a vivere presso le quote più alte dell’appropriatamente denominato “tetto del mondo” prima il sistema consistente nell’attraversamento di un crepaccio mediante l’uso esclusivo di tre corde trovasse un adattamento moderno e contemporaneo, maggiormente conforme all’occasionale bisogno logistico di trasportare gli escursionisti da un lato all’altro di un grande vuoto. Mai prima d’ora, tuttavia, così lontano, come esemplificato dal nome della struttura stessa: quel 516 Arouca sopra il fiume e relativo crepaccio del Paiva, che intende evidenziare l’effettivo numero di metri attraverso cui l’agenzia di costruzione estrema e servizi d’alta quota Outside Works si è occupata di portare a termine, negli ultimi quattro anni di febbrili lavori, giusto all’apice di quella che potremmo tranquillamente iniziare a definire la seconda ondata del virus Covid-19, prevenendo qualsivoglia cerimonia ufficiale d’inaugurazione. Alla quota massima di 175 metri, per un progetto dalla genesi architettonica non propriamente chiara se non per il fatto di essere intrinsecamente connessa alla versatile società con partecipazioni governative Itecons (Istituto per la Ricerca e lo Sviluppo Tecnologico, Costruzione, Energia e Sostenibilità) per un prezzo complessivo dichiarato di 1,8 milioni di euro. Relativamente basso, considerata la portata del problema risolto e soprattutto il quadro dei lavori inquadrati nel progetto da oltre 60 milioni denominato Norte 2020, per l’accrescimento del valore turistico da parte dell’intera parte regione settentrionale della nazione Portoghese.
Un ponte come questo di suo conto, oltre ad accorciare significativamente le distanze, giunge spesso a costituire un’attrazione turistica degna di nota già in maniera perfettamente autosufficiente, senza neanche mettere in gioco la larga fama dell’intera zona di Arouca presso gli amanti degli sport estremi, tra cui l’alpinismo ed il rafting lungo le acque spesso vorticose del Paiva. In un quadro generale che permette d’immaginare facilmente le prospettive future d’incremento di popolarità grazie alla nuova infrastruttura di comprovata unicità funzionale, la cui natura estetica prevede, tra le altre cose, una pavimentazione pedonabile costituita da una griglia metallica traforata e proprio per questo parzialmente trasparente, molto inadatta a chiunque sospetti anche soltanto remotamente di soffrire di vertigini. E perciò tutti noi sappiamo quanto affascinante risulti essere, al giorno d’oggi, poter provare al mondo il proprio coraggio mediante lo scatto di una o più prove fotografiche delle proprie imprese, da pubblicare come selfie sui social network preferiti di volta in volta…
Tecnicamente parlando, il ponte 516 Arouca si presenta dunque come un insieme di sette cavi di acciaio dallo spessore ed il grado di resistenza particolarmente elevato, tesi fino al punto di formare il caratteristico arco invertito tra le due cose più simili ad un pilone che abbiano avuto modo di essere edificate fin quassù: due torri a forma di V con rinforzo centrale (nei fatti, assomigliano di più a una ∀) saldamente posizionati in corrispondenza della ripida cascata di Aguieiras e l’antistante parete quasi verticale della valle del Paivas. Nel punto saliente di un rinomato percorso escursionistico già oggetto di significativi investimenti, come esemplificato dalla presenza a partire dal 2015 della lunga passerella in legno Passadiços do Paiva, 8,7 chilometri di passaggio tra alcuni dei paesaggi più memorabili del Portogallo, con un alto numero di gradini ed un significativo dislivello. Capace già in se stessa di agire come una sorta di filtro, al fine di selezionare coloro capaci di affrontare un attraversamento tanto drammatico e memorabile, ma non propriamente alla portata di tutti gli orecchi interni. Il 516 Arouca vanta a tal proposito una larghezza percorribile di appena 1,20 metri benché le alte sponde, con rete rigida di protezione, siano in grado di raddoppiare abbondantemente tale misura, per tutti e 127 i moduli “trasparenti” usati per costituire il passaggio pedonabile della struttura. Ad accrescere la motivazione personale a sottoporsi a una simile prova ci pensa la necessità operativa del pagamento di un biglietto d’ingresso, al momento in cui scrivo del prezzo di 2 euro e 50 benché sia possibile ottenere l’accesso incluso nella cifra necessaria ad intraprendere l’intero cammino delle Passadiços antistanti, comunque l’unica via d’accesso facilmente percorribile fino all’inizio dell’attraversamento sospeso della valle sottostante. A patto di riuscire, s’intende, ad accedere al Geoparco date le restrizioni ai viaggi dettate dalle difficoltose implicazioni dell’attuale pandemia. Il numero di occupanti massimi lungo l’intera estensione del ponte si colloca ad ogni modo, indipendentemente da considerazioni relative al distanziamento sociale, sulle 30 persone anche se è ragionevole immaginare che il ponte, in situazioni meramente ipotetiche, possa arrivare a sostenerne in quantità assai maggiore.
L’installazione di un ponte tibetano rappresenta quindi un passaggio obbligato per molte località turistiche dei contesti montani, come esemplificato dalla Svizzera che ne ha un grande numero ed anche la nostra Valtellina, presso cui era custodito dal 2018 e fino all’inaugurazione del 516 Arouca il primato europeo di lunghezza ed altezza, con i 234 metri per 140 dal fondo della valle del Ponte del Cielo, tra Campo Tartano e Maggengo Frasnino. Ma le cose cambiano col passare del tempo ed è per questo che il valore intrinseco di un record è già passato nel momento in cui viene stabilito, aprendo il sentiero a nuove future realizzazioni da parte di coloro che intendono, a pieno titolo, fare il proprio ingresso trionfale tra le pagine della storia.
Viaggiare nella natura è un’attività che possiede, dunque, meriti innegabili e soddisfazioni pressoché immediate. Una volta che s’intenda farlo all’interno di un territorio riconosciuto dall’UNESCO, e proprio in funzione di questo celebrato sulle guide turistiche di mezzo mondo, occorre accettare una soluzione di compromesso tra l’auspicabile solitudine ed il tram tram quotidiano della vita urbana, così convenientemente trasferita altrove. Perché non accettare, quindi, pratiche ancorché ragionevoli semplificazioni o alterazioni della situazione in essere, capace di ricavare un passaggio percorribile da quello che costituiva originariamente soltanto un vasto spazio vuoto… La soluzione tibetana era e resta, d’altronde, il tipo di ponte dal minore impatto ambientale concepibile per l’impiego nel mondo moderno. Ed è largamente palese come nella società corrente, senza una qualche prospettiva di guadagno non possano sopravvivere determinati spazi, splendenti, irraggiungibili e privi di un’adeguata valorizzazione. Tanto vale, a questo punto, avventurarsi lungo la corda tesa delle alterne opportunità future.