Il singolare suono scricchiolante del caviale puchi-puchi o uva di mare

Terrore inespresso e descritto solo parzialmente dagli antichi naviganti del Mar del Giappone, l’umibōzu (海坊主 – monaco di mare) era una creatura gigantesca simile ad una medusa, che sorgendo tra le onde minacciava, e qualche volta annegava, l’intero equipaggio delle imbarcazioni intente a percorrere una rotta poco conosciuta. Capitando al giorno d’oggi in un fornito ristorante appartenente a quella stessa radice culturale, tuttavia, è possibile ordinare l’umibudō (海ぶどう – uva di mare) una pietanza particolarmente distintiva che davvero molto poco, per non dire nulla, ha da spartire con l’universo sovrannaturale dei mostri marini. Verde, granulare, serico piattino di quella sostanza che può essere chiamata il puro spirito del mare, per l’aspetto ed il sapore che notoriamente riesce a caratterizzarla: un sentore vagamente salmastro, che richiama i crostacei, il brodo di pesce, le spezie, i granchi incline a scatenarsi in una serie di caratteristiche ondate. Questo perché la forma di quel cibo è connotata, molto distintivamente, da una serie di naturali capsule o palline, attaccate ad uno stelo centrale (stolone) in rispettive file suddivise due a due. Come tante caramelle, o palline di non-zucchero, in una maniera inconcepibile per quanto concerne le piante terrestri. Questo perché la Caulerpa lentillifera, come recita il suo nome scientifico, è un’eclettica rappresentante dello stesso genere di alga tossica e per questo priva di predatori che ha recentemente invaso il Mediterraneo ed altri mari della Terra, riconoscibile per le sue lunghe foglie sfrangiate, capaci di costituire delle vere e proprie foreste sommerse. Pur essendo, distintivamente, composta da una singola ed enorme unità biologica, contenente al suo interno una pluralità di nuclei interconnessi tra loro. Di gran lunga l’organismo unicellulare più grande al mondo, dunque, con fino ai 3 metri e le 200 fronde d’imponenza per le sue varietà maggiormente diffuse, questo tipo di vegetazione è stata sfruttata in Estremo Oriente fin da tempo immemore in gastronomia, per la sua capacità di sposarsi idealmente con il gusto umami (旨み) o xiān wèi (鲜味) ovvero la concentrazione glutinosa dei brodi e degli arrosti, considerato in questi luoghi uno dei principali sapori percettibili dall’apparato gustativo umano. Benché il fascino, nel qui presente caso, vada ben oltre le semplici papille e la percezione sensoriale del palato, data la ben nota caratteristica della variante sferoidale di possedere una consistenza estremamente distintiva e memorabile, tale da mettere immediatamente a rischio l’importante direttiva internazionale di “non giocare col cibo”. Come desumibile dai soprannomi attribuiti ad essa nei contesti giapponesi, che includono l’onomatopeico puchi-puchi e pluriball, marchio commerciale riferito alla carta d’imballaggio ad aria a cui siamo soliti riferirci come millebolle. Apprezzatissimo e valido strumento nella lotta quotidiana allo stress, così come sembra esserlo il suono prodotto all’interno delle nostre bocche mentre siamo intenti a masticare questo singolare tesoro marino. Che in termini di meriti nutrizionali e la possibile importanza come super-cibo del nostro futuro, non sbaglieremmo a descrivere come “oro verde” dei sette mari…

La raccolta sistematica delle alghe è un’industria che richiede investimenti iniziali non trascurabili, ma come tutte le attività fondate sulla naturale proliferazione di organismi vegetali, non tarda a restituire nel giro di qualche anno degli ottimi guadagni. Dopo tutto, non si tratta d’altro che di trarre beneficio da processi che procedono in maniera naturale a ad ogni giro dell’instancabile lancetta delle ore.

Una pianta, dunque, ma diversa. Coltivata per la prima volta in maniera estensiva nella provincia di Cebu delle Filippine, attorno agli anni ’50 del Novecento, la Caulera lentillifera si è progressivamente diffusa nei territori limitrofi adeguati alle sue necessità biologiche, risultando particolarmente apprezzata presso l’isola giapponese meridionale di Okinawa. Un luogo in cui le alghe sono un elemento di primaria importanza nella dieta locale, con benefici effetti per longevità media delle persone, sensibilmente maggiore di senso statistico a quella riscontrabile in qualsiasi altra comunità del mondo. Tanto che l’ennesimo soprannome utilizzato in questi luoghi per l’alga, alternativamente detta “uva della longevità”, appare come una reputazione almeno in parte meritata, per i suoi provati effetti capaci di stimolare la funzione pancreatica ed agevolare l’efficacia dell’insulina allontanando l’insorgenza del diabete. Ma anche un contenuto proteico di prima classe, inclusivo di magnesio e terpenoidi emoagglutininici favorevoli al potenziamento degli anticorpi, senza per questo massimizzare l’apporto calorico o l’aumento di lipidi. Un cibo di prima classe per quanto concerne le sue qualità inerenti, quindi, soprattutto se mangiato crudo come amano in modo particolare fare gli abitanti di almeno due dei principali arcipelaghi dell’Estremo Oriente. In quel piatto esteriormente accattivante che prende il nome prototipico di caviale di mare, assomigliando a una versione smeraldina delle apprezzabili uova di pesce, tanto spesso utilizzate nella preparazione di sushi dalla complessa produzione artigianale. Laddove l’unico apporto ulteriore a cui viene concesso di accompagnare questa specifica proposta gastronomica è un piattino di salsa di soia o sanbaizu, una combinazione di quest’ultima, aceto e la sostanza alcolica zuccherina del mirin. In cui i rametti d’uva vengono intinti uno ad uno tramite l’uso delle bacchette, prima di essere introdotti in bocca scatenando il loro concerto coordinato di suono e sapore. Raramente condita in modo elaborato, benché usata qualche volta come contorno per il sashimi, la C. lentillifera compare quindi in una pletora di piatti regionali quasi del tutto identici tra loro, come ad esempio il latok indonesiano, particolarmente popolare nella grande isola del Borneo, dove questa varietà viene coltivata lungo una notevole estensione del territorio. Con modalità particolarmente facili da immaginare, inclusive di ampie distese sabbiose a poca profondità dalla superficie marina, attrezzate di lunghe corde o altri punti d’appoggio semoventi, sopra i quali è agevolato l’attecchimento dei rizomi (pseudo-radici) della pianta, per favorirne una più rapida e conveniente raccolta. Soltanto in Vietnam, a quanto viene riportato online, sussiste un approccio alternativo consistente dell’utilizzo di vere e proprie vasche isolate dall’ambiente naturale, possibilmente al fine di favorire un migliore raccolto nonostante gli spazi più limitati di cui si dispone.

A quanto pare un chiaro esempio di gusto acquisito, l’apprezzabile caviale verde richiede una particolare predisposizione a sperimentare nuovi e imprevedibili sapori. Ma la maggior parte di coloro che imparano a gustarlo, in seguito, difficilmente mancano di ripetere l’esperienza ogni qual volta se ne presenti l’opportunità.

Recentemente sottoposta ad una codifica completa del suo genoma, con un occhio di riguardo almeno in parte favorito dalla propria importanza commerciale nell’intero territorio asiatico, l’uva di mare ha quindi rivelato almeno in parte la natura dei suoi segreti. Tra cui le lunghe e sofisticate serie di geni omeobox, incaricati di memorizzare e sviluppare le forme complesse di ogni organismo vivente, che permettono a una singola cellula di diventare a tutti gli effetti simile a una pianta, e i tratti ereditari potenzialmente poco conduttivi a farla riprodurre in modo rapido ed efficiente. Al fine di applicare, in futuro, una selezione più attenta e la possibile individuazione di stirpi di discendenza particolarmente degne di essere preservate.
Così come avveniva all’epoca delle dame e dei samurai, quando l’equipaggio di una nave in viaggio verso la Corea o la Cina riceveva la cortese richiesta da parte del titanico e medusoide umibōzu di presentargli un barile o secchio in cui annegarli uno ad uno. E coloro che riuscivano a salvarsi erano soltanto quelli abbastanza furbi, o informati, da dargliene uno privo di un fondo, approfittando dell’attimo di perplessità dello yōkai per mettere in atto la propria fuga. Una sorta di selezione sovrannaturale a beneficio di coloro che sapevano manipolare la realtà in base alla propria personale convenienza. I quali mai e poi mai, avrebbero esitato nel provare ad assaggiare un cibo tanto strano e sorprendente, valido a fare da apripista per il futuro arricchimento, nonché la semplice sopravvivenza, di una società ormai prossima al cambiamento.

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