Lo strano uccello di caverna che si orienta sfruttando l’eco del suo richiamo

E fu così che Alexander von Humboldt, il naturalista, esploratore e geografo più influente della sua epoca, fece un passo nelle tenebre e udì perfettamente il grido corale dei dannati. Un canto intenso e modulato, stridente e che pareva riecheggiare di tutte le sofferenze, il dolore e le ansie del mondo. Egli si trovava sottoterra, ovviamente. Era l’anno 1800. E come il Sommo di cui ben ricordiamo i versi era lontano da casa, aveva disceso un lugubre passaggio “nel mezzo del cammin di nostra vita” e si trovava in quella che senza ombra di dubbio avremmo potuto definire “una selva oscura”. Eppure difficilmente, avremmo potuto chiamare un tale luogo “l’Inferno”. Il grande scienziato ed il suo amico e collega Nicolas Baudin, che lo aveva accompagnato con l’intenzione originaria d’incontrare Napoleone in Egitto, erano perciò saliti l’anno precedente su un’imbarcazione diretta nelle colonie americane, e da lì verso Tenerife, Cumanà e la foce del Rio Negro. Ma prima di raggiungere tale meta nel remoto meridione del continente, avrebbero compiuto una sosta presso la cosiddetta Cueva del Guàcharo (“Orfano”) a 12 Km dalla città di Caripe, in Venezuela. Così chiamata per la popolazione di singolari volatili che la abitavano, anche chiamati alternativamente diablitos (piccoli diavoli) per i loro occhi rossi e l’evidente appartenenza uditiva al mondo sovrannaturale, alternativamente associata al pianto di un orfano che cerca aiuto e protezione. Una collocazione contestuale che non gli aveva impedito, all’arrivo dei europei, di guadagnare un altro e ben più pragmatico soprannome: quello di oilbird o uccello dell’olio, per il ricco contenuto nel suo organismo di tale sostanza, particolarmente utile alla fabbricazione di candele. E lo stesso Humboldt in quel particolare frangente, sfruttava forse proprio una simile fonte di luce, mentre rivolgeva l’attento sguardo alla volta cupa e brulicante dell’ampia grotta. Sopra cui, abbarbicati ad ogni antro, anfratto e spelonca, figuravano degli esseri chiaramente diversi dalla tipica genìa dei pipistrelli. I quali piuttosto, possedevano un manto piumato, le dimensioni approssimative di un piccione e un becco dall’aspetto crudele e ricurvo. Erano loro, molto chiaramente, ad emettere quel suono. Ogni qualvolta, disturbati dall’imprevista intrusione, si staccavano dai loro appigli, volando sicuri verso gli angusti pertugi e i tunnel della caverna, emettendo degli schiocchi particolarmente penetranti che rimbalzavano contro le pareti rocciose. Ora se all’inizio del XIX secolo, una mente insigne come la sua, avesse posseduto una nozione anche soltanto preliminare del concetto di ecolocazione dei volatili, probabilmente Humboldt avrebbe dedicato almeno un capitolo a queste creature nella sua grande enciclopedia “il Cosmo” che avrebbe iniziato a scrivere 40 anni dopo ed a sublime coronamento della sua carriera.
Ma le atipiche caratteristiche, fisiologiche e comportamentali, di quelli che la scienza avrebbe definito Steatornis caripensis sarebbero comparse nella conoscenza collettiva unicamente dopo un ulteriore periodo di 138 anni, con gli studi ed esperimenti effettuati sui pipistrelli da Donald Griffin e Robert Galambos, soltanto successivamente applicati anche alle cognizioni allora disponibili su alcuni dei più imponenti mammiferi marini. Nessuno sembrò tuttavia notare in quei frangenti ed ancora per qualche tempo a venire, come almeno due tipologie d’uccelli possedessero la stessa capacità di emettere un suono e usarlo per orientarsi nella notte: talune specie di rondini, interessate alla caccia d’insetti volanti. E il guàcharo sudamericano mangiatore di frutta, diffuso in Guyana, Trinidad, Venezuela, Colombia, Ecuador, Bolivia, Perù e Brasile. Ma soprattutto associato a quella particolare località di Caripe (da cui il nome scientifico) e la relativa esperienza di Humboldt, così come al significato dell’altro termine latino steatornis (grasso) per l’imponenza e rotondità per nulla trascurabili facilmente raggiunte dai pulcini durante l’epoca del loro sviluppo, prima di smagrirsi con finalità aerodinamiche al raggiungimento dell’età adulta. Apparirà chiaro, dunque, come ci troviamo di fronte ad uno dei casi atipici nel mondo naturale in cui il “piccolo” è in effetti più imponente dei propri genitori, risultando la materia prima preferita dei suddetti produttori di candele in epoca coloniale, ma non necessariamente alcun tipo di carnivoro e/o rapace facente parte del sistema ecologico della catena alimentare. Questo per l’abitudine a risiedere, per una parte significativa del loro tempo, in luoghi semi-sepolti e irraggiungibili, le immutabili profondità del mondo…

Coppie di occhi nelle tenebre incipienti. Grida sinistre e incomprensibili, che sembrano parlare antichi idiomi della Terra. Cosa manca, per accompagnare le migliori scene di un film terrificante che purtroppo, nessuno ha ancora realizzato nella storia della cinematografia di genere contemporanea?

Uno degli spettacoli maggiormente memorabili che è possibile sperimentare presso tale Cueva, ma anche altri luoghi simili come quella quasi omonima situata in Colombia nel dipartimento di Huila, è dunque l’attimo verso il tramonto in cui, come all’udire di un segnale irresistibile, letterali migliaia se non decine di migliaia di questi pennuti dal piumaggio marrone con sporadici pois bianchi decollato tutti assieme verso i propri territori di ricerca, con fonti di cibo nei recessi della foresta antistante. Che includono, per questo essere che è il solo uccello volatile e notturno a trarre sostentamento unicamente dalla frutta, una grande quantità di dendè, nelle corone rossastre appese alle palme straordinariamente nutrienti ed utili, piante che oggi notoriamente costituiscono un problema per la loro coltivazione intensiva a transitorio e insostenibile beneficio del mercato gastronomico globalizzato. Assieme ad altre piante della famiglia delle Lauracee tra cui l’avocado, anch’esso celebre per il suo alto contenuto oleoso e calorico. Ciò che l’uccello impiega, dunque, per riuscire ad individuare tali tesori della natura, è un senso della vista particolarmente specializzato, che vede una preponderante presenza delle cellule chiamate bastoncelli, capaci di amplificare e ricevere anche la minore quantità possibile di luce. In un occhio dalla conformazione sovrapposta estremamente rara nei volatili e che corrisponde a quella di taluni pesci abissali, a chiaro discapito della quantità di cellule a cono, capaci d’individuare e distinguere i dettagli del mondo osservabile, chiaramente poco rilevanti per una creatura che deve preoccuparsi principalmente della propria sopravvivenza. Ed è per la stessa ragione che attraverso i sentieri pregressi dell’evoluzione, in un’epoca remota e incerta, il guàciaro ha guadagnato una specializzazione del suo organo fonatorio della siringa, nonché lo sviluppo ulteriore delle orecchie, necessari a fare uso di quel particolare approccio alla navigazione che tendiamo normalmente ad associare ai chirotteri dalle ali membranose. Con la significativa e indubbiamente suggestiva differenza, come già osservato dal loro primo scopritore scientifico Alexander von Humboldt, di utilizzare una frequenza stridula grossomodo corrispondente ai 2 kHz, per questo perfettamente udibile anche dall’apparato sensoriale umano, a una distanza massima di 150 metri. Ciononostante, data l’oggettiva difficoltà di seguire il movimento di un volatile all’interno delle foreste vergini pluviali, per lungo tempo si sono mantenuti alcuni preconcetti sullo stile di vita di questi uccelli, tra cui l’idea che questi facessero ritorno ogni notte presso la propria caverna di residenza, esattamente come i suddetti pipistrelli. Almeno fino allo studio pubblicato nel 2009 da scienziati dell’istituto Max Planck sull’Ornitologia, tra cui Richard A. Holland, consistente nell’installazione su alcuni esemplari di piccoli ricevitori GPS, utilizzati per studiarne le effettive peregrinazioni successive al sorgere della luna, proprio presso quella stessa caverna e importante sito nazionale venezuelano, che oggi viene definita in certi ambienti “Monumento Natural Alejandro de Humbolt”. In modo tale da scoprire, non senza una certa sorpresa, come gli uccelli oleosi fossero effettivamente inclini a trascorrere nella foresta anche tre o quattro giorni, compiendo un circuito di fino a 150 Km prima di fare ritorno alla caverna, rimanendo totalmente immobili e mimetizzandosi durante le ore diurne. Un significativo vantaggio, in effetti, quando messo a confronto con il loro tipico comportamento all’interno di quest’ultima, caratterizzato da continue liti e scaramucce per il mantenimento del proprio legittimo spazio vitale contro i continui tentativi di usurpazione da parte dei loro vicini. Per una creatura che, in altri termini, necessita di alcuni periodi di pace e tranquillità, piuttosto che l’assoluta e ininterrotta protezione ambientale dai possibili assalti dei predatori. Almeno fuori dalla stagione riproduttiva, quando le priorità risultano invertite giungendo alla costituzione d’irraggiungibili nidi mediante l’utilizzo di guano e fibre vegetali, all’altezza di 10-20 metri dal pavimento della caverna, anch’esso totalmente ricoperto dalle maleodoranti deiezioni dei diablitos. Il legame tra i genitori risulta essere a questo punto piuttosto stretto, mentre proteggono e covano a turno le 2-4 uova bianche. Alla cui schiusa, i pulcini nutriti con il cibo rigurgitato continueranno a crescere e crescere fino al peso di 600 grammi, del 50% maggiore di quello degli esemplari adulti. Ed è sempre stato probabilmente questo il periodo di maggiore vulnerabilità della loro vita, quando le popolazioni indigene ed i loro successivi vicini europei erano soliti recarsi presso i siti ben conosciuti, per prelevarli e trasformarli in preziosa materia prima e spremerne fino all’ultima preziosa goccia di combustibile oleoso.

Al sopraggiungere delle ore notturne, lo stormo di alza in volo alla ricerca delle proprie pietanze preferite. Avocado, olio di palma e le anime perdute degli spiriti smarriti tra gli arbusti. Un altro giorno di lavoro, nelle calde e umide regioni della Terra.

Strettamente interconnessi a una specifica commistione di biomi, che includano ampie caverne a poca distanza da una densa e florida giungla di sussistenza, gli oilbird non risentono tuttavia di alcun rischio d’estinzione corrente, principalmente in forza dell’ampiezza del loro areale di appartenenza. Complice anche la versatilità in materia d’altitudine, che può raggiungere i 3.400 metri di quota, nonché l’inerente inclinazione a spostarsi in massa nel momento in cui una zona dovesse risultare non più utile alle loro necessità biologiche inerenti. Ciononostante, lo IUCN classifica questa creatura come caratterizzata da una popolazione in calo, così da incrementare la già significativa frammentazione di alcuni gruppi regionali indipendenti: vedi ad esempio la colonia insulare sull’isola di Trinidad, costituita da circa 200 coppie in età riproduttiva. La cui sopravvivenza, come spesso accade per i pennuti, è appesa all’altro lato di un piatto della bilancia sopra cui risiede il comune felino domestico. Nemico e distruttore di ogni essere vivente a portata dei suoi retrattili e affilati artigli. Ma alla fine, avete mai sentito niente di più assurdo? Un gatto dentro una caverna. Là dove è molto più frequente, nella maggior parte dei casi, l’incontro con cani tricefali dalle catene tintinnanti. Creature che lo stesso Humboldt, nonostante la notevole esperienza pregressa in campo tassonomico, avrebbe avuto più di qualche dubbio nel riuscire a contestualizzare.

Lascia un commento